Storie di Sicilia
ALL’ITALIA UNITA SEGUI’ L’UNIFICAZIONE DEL CAPITALE E DEL DEBITO PUBBLICO
Alla formazione del capitale liquido del nuovo regno, la Sicilia concorreva, assieme alle provincie del regno napoletano, con quota pari a 443 milioni di monete su un totale di 668.
Nitti, chiedendosi dove era, intorno al 1860, la ricchezza d’Italia, pubblicava il seguente quadro:
Sicilia e provincie del napoletano monete in milioni 443,2
Lombardia monete in milioni 8,1
Ducato di Modena monete in milioni 0,4
Parma e Piacenza monete in milioni 1,2
Roma monete in milioni 35,3
Romagne, Marche, Umbria monete in milioni 55,3
Piemonte, Liguria, Sardegna monete in milioni 27,0
Toscana monete in milioni 85,2
Veneto monete in milioni 12,7
La SICILIA E LE PROVINCIE DEL NAPOLETANO avevano il doppio della ricchezza di tutti gli altri stati della Penisola messi insieme.
Poichè le monete ritirate, in gran parte d’oro e d’argento, erano sostituite con carta moneta, i governi del nuovo regno potevano disporre di enormi riserve in metallo prezioso con cui pagare le metrie prime e quant’altro occorresse a sviluppare l’industrializzazione ed il livello di vita del nord del Paese.
Grati per il “vantaggioso cambio” i siciliani cantavano, in quel periodo,
“L’oru e l’argentu squagghiaru ppi l’aria, di carta la visteru la Sicilia”.
Maffeo Pantaleoni, nel 1891, provava che il Mezzogiorno d’Italia contribuiva assai più del Settentrione alle entrate dello Stato, e precisamente avendo il 27% della ricchezza nazionale, pagava il 32% delle imposte.
Lo stesso Nitti, nel suo libro “Nord e Sud”, calcolava che lo Stato, nel ‘900, spendeva 71,15 lire annue per ogni abitante della Liguria e solo 19,88 line annue per ogni abitante della Sicilia.
Egli non poteva, ahimè, immaginare che, a distanza di 150 anni, nulla o quasi sarebbe cambiato della sua proporzione.
Nel 1861 la Sicilia, a fronte di una bilancia commerciale attiva quattro volte superiore a quella del Piemonte, concorreva al debito pubblico unificato con appena 6.800.000 lire, su un totale di 111.000.000 e contro i 62.000.000 del regno Sabaudo.
A tal proposito, nella Relazione presentata dal Consiglio Straordinario di Stato, convocato in Sicilia in sostituzione della mai creata Assemblea Costituente, il 19 ottobre 1860, e che aveva visto la partecipazione dei più eminenti uomini siciliani del tempo (Ugdulenda, F.Amari. F.Ferrata etc.), era stata richiesta, a fronte del ridottissimo debito pubblico isolano, una rendita adeguata in favore dell’Isola per la creazione di un sistema esteso di lavori pubblici.
Era stato richiesto, nel caso in cui fosse stata decisa l’alienazione e la liquidazione dei beni ecclesiastici, che ” il ricavato di dette vendite fosse destinato a speciale beneficenza della Sicilia” . Ed era stata infine auspicata la creazione di speciali zone franche che, con l’imminente apertura del canale di Suez, avrebbero potuto trasformare l’Isola in un importante emporio di commercio con i paesi orientali.
La Relazione, considerata da tutti un documento di enorme valore sul piano economico e sociale, subiiva però la totale indifferenza del governo di Torino.
Continua…
(Tratto da “LA STORIA REQUISITA” di Giuseppe Corrao)
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