In Evidenza, Storie di Sicilia
Antichi mestieri. ‘U scarparu (il calzolaio) e ‘u custureri (il sarto)
Da qualche anno a questa parte, nella riviera jonica (e non solo), è esplosa la moda della riscoperta dei cosidetti “antichi mestieri”. Allo stesso modo anche le tradizioni popolari più antiche, che fino a non molti decenni orsono costituivano semplicemente il “pane di tutti i giorni” della gente comune, adesso diventano oggetto di studio e di corsi per la formazione professionale, se non addirittura di propaganda politica. Si vuole dunque fare un passo indietro? Lo credo difficile! Infatti, mestieri come: ‘U CUSTURERI (il sarto), ‘U FALLIGNAMI e ‘U SCARPARU (il calzolaio, inteso come riparatore e risuolatore, ma anche come produttore di scarpe su misura) – solo per fare degli esempi – così come venivano intesi all’epoca non hanno più motivo di esistere se non in rare circostanze, non fosse altro che per antieconomicità e la moda del consumismo butta e ricompra.
‘U CUSTURERI (il sarto)
Veniva chiamato così il sarto di paese. Questo mestiere non viene più esercitato perchè, da ormai parecchi anni è stato soppiantato dala confezione, più economica e sbrigativa. Oggi, chi deve comprare del vestiario, si reca in uno dei tanti negozi di abbigliamento della città e, dopo aver scelto, secondo il proprio gusto e le proprie possibilità economiche, ne esce soddisfatto dell’acquisto fatto. In passato, invece, chi si rivolgeva ‘o custureri, al sarto, (comunque, persona dotata di portafoglio un po’ al di sopra della media), doveva munirsi di tanta pazienza per essere accontentato.
Dal catalogo aggiornato, bisognava fare la scelta della stoffa, sceglire il materiale, (es. lana, cotone, lino), scegliere il colore, ritirarla dallo stabilimento, scegliere il modello preferito, fare delle prove indosandolo e attendere il proprio turno. Certo, se lo scopo era quello di farsi fare un abito ‘su misura’, cucito a mano, allora valeva proprio la pena di andare a trovare il sarto di fiducia. La grande soddisfazione, era quella di sentirsi dire poi: “stu vistitu ti casca a pinnellu”! cioè, sembra disegnato col pennello.
Il sarto, prima di iniziare il lavoro, doveva prestare molta attenzione a prendere tutte le misure necessarie relative alla giacca (larghezza spalle, lunghezza manica…), ai pantaloni (giro vita, lunghezza gamba, cavallo…), al gilè, al cappotto o al mantello che il cliente desiderava e, per questo, si serviva d ‘u metru.
‘A fobbicia, detta anche ‘a frovicia, non era altro che le affilatissime forbici in acciaio che servivano a tagliare la stoffa; ‘a ugghia (l’ago comune per cucire); ‘u sìgnu (il gesso colorato) per eseguire dei segni sulla stoffa e poi tagliarla; ‘u ferru (il ferro da stiro di varia grandezza) che all’epoca era a carbone e solo in segiuto venne soppiantato da quello elettrico con spruzzo di vapore. Tantissimi erano gli attrezzi del sarto, che venivano tirati fuori dai cassetti nel momento del bisogno e usati sul grande tavolo da lavoro in legno.
C’è da dire che, a differenza di altri mestieri, quello del sarto, era considerato un lavoro leggero, pulito remunerativo; si svolgeva in casa al riparo dal caldo e dal freddo, e per tali motivi, erano molti gli apprendisti giovani che, dopo aver appreso le necessarie conoscenze e capacità, decidevano di mettersi in proprio oppure di andare a lavorare in città.
Aggiungo anche che: oggi, sebbene le cosiddette “pezzi ‘ntò culu” non le porta più nessuno, poichè in paese per chi volesse risparmiare ci vengono in contro i negozi cinesi, il Sarto propriamente detto, ritrova una posizione di privilegio molto distante dal popolo, solo quale atelier di alta moda per le grandi ditte (come: Armani, Missoni, Cavalli, Ferrè, ecc.), che producono capi unici, dai costi stratosferici e che vengono presentati nelle sfilate di tutto il Mondo, da modelle e modelli di grande fama per facoltosi multimiliardari e nulla più. Ma questo è un’altro discorso.
‘U SCARPARU (il calzolaio)
Negli anni ’50 in tutti i paesi della nostra isola esercitavano questa attività parecchi calzolai a cui il lavoro non mancava mai. Oggi, a praticare questo mestiere, sono rimasti solo alcuni artigiani, e mi sa che nel giro di qualche anno scompariranno anche queste poche botteghe che ormai si limitano solo a rifare suole e tacchi.
–
Proprio nell’immediato dopoguerra, chi possedeva delle vere scarpe (c’era perfino chi al posto di esse indossava “i baccùzzi”, pezzi pi copertone d’auto legati ai piedi col fil di ferro o addirittura si camminava scalzi – “a ‘ppedi ì fòra”), se queste erano rotte si andava a rattoparle sotto e anche sopra d ‘U SCARPARU. Ma “u scarpau” realizzava anche le scarpe su misura, e ciò era un lusso assoluto perchè tranne che prodotte da lui non se ne trovavano in giro.
Incominciamo ad esaminare il lavoro che ‘u scarparu doveva affrontare per portare a termine un paio di scarpe, e l’utilità dei vari attrezzi.
Sul desco, un tavolo basso di legno chiamato anche ‘a banchitta, venivano posti gli attrezzi che si usavano più frequentemente: chiòva (chiodi), ‘ncodda (colla), fòbbici o fròvici (forbici), fùmma, lèsina, raspa, spàcu, tàcci, ecc.
Egli iniziava il suo lavoro misurando, per prima cosa, la lunghezza del piede del cliente usando ‘a staffa, per le altre misure adoperava ‘u metru. Indossava ‘u fantali, un grembiule di pelle oppure di stoffa resistente e tagliava per mezzo d’u trincèttu” (un attrezzo in acciaio affilatissimo) ‘a pèddi, ‘a fòdira e ‘i sòra, lapelle le fodere e le suole necessarie. Poi, affusolava lo spago e fissava alle due estremità ‘i ‘nzìti, setole di maiale o di cinghiale per infilarlo meglio nei buchi delle suole e passava sopra ‘a cìra vergini oppure ‘a picirèca, la cera vergine oppure la pece greca per farlo scorrere più facilmente nei buchi e incominciava a cucire. Per mezzo della lesina, faceva dei buchi nella pelle, la cuciva con la fodera e la sistemava, con chiodini piegabili chiamati simenzi o tèchis, sopra ‘a furma, arnese di legno. Con un oggetto simile ad una spazzola, di forma ridotta, chiamato ‘u cardu, fornito di piccoli chiodi sporgenti, puliva le suole per incollarle prima della cucitura.
Per ogni operazione posedeva gli strumenti adatti:
‘A LESINA, attrezzo col manico in legno e punta ad ago in acciaio, era dritta, storta e ‘a canàli, la prima serviva per fare i buchi nelle tomaie e cucirle nella pelle, la seconda, con punta curva, per fare i buchi nelle suole e la terza, con la punta incavata, per bucare la gomma. ‘A FURMA, attrezzo di legno di varie misure, serviva per modellare la scarpa; ‘U FERR’I BATTIRI, un ferro di forma particolare, sul quale veniva battuta la suola per renderla più fitta e tenere meglio i chiodi; ‘U FUSU, attrezzo di ferro, serviva per filare o afusolare lo spago; ‘U MARTILLUZZU, martello di ferro, di forma allungata, era adatto per mettere i chiodini nei tacchi delelle scarpe delle donne; L’OTTACI, oggetti di lamiera, avevano la funzione di fermare più saldamente una cucitura; ‘U PED’I PORCU, attrezzo di ferro, riscaldato serviva rifinire le scarpe, passando le cera turca; ‘U PIRCIATURI, attrezzo di ferro, serviva per fare buchi di varia misura; ‘A RUTINA, attrezzo di legno che finiva con una ruota di ferro, serviva per segnare i punti che dovevano essere dati alla stessa distanza; ‘A STAPPA, attrezzo formato da una striscia di tela smeriglio fissata su una base di legno, serviva per affilare ‘u trincettu; ‘A TACCIA, chiodo particolare con la testa larga, si adoperava per rinforzare e consumare di meno le suole delle scarpe, una sorta di tacchetti da calcio; ‘I ZIPPI, chiodini di ferro per tutti gli usi, in special modo per montare le scarpe sopra ‘A FURMA; Infine, sistemati i tacchi, la scarpa veniva lucidata passandovi sopra, per mezzo di una spazzola, ‘U CIROTTU, una crema protettiva colorata. Il lavoro era completo.
ARTICOLI CORRELATI:
ANTICHI MESTIERI: ‘U FIRRARU o ‘U FUGGIARU (il fabbro e maniscalco)
ANTICHI MESTIERI. ‘U GHIANCHE’RI (il macellaio)
2 Commenti
Nina
Giovanni hai fatto un quadro dettagliato di alcuni antichi mestieri come è nel tuo stile. Il mondo corre sempre in aventi e indietro non si torna. Non sappiamo se è un male o no. Io nel mio piccolo, siccome non mi piace portare con me i miei saperi, più volte ho scritto qua e là che vorrei trasmetterli a chi ne ha il piacere, non voglio niente un cambio! Non interessa a nessuno!!!
Giovanni Bonarrigo
Questo metodo di “comunicazione” diretta è quello che già nel 2007 mi diede le PRIME soddusfazioni a livello internazionale sul mio primo blo “IL GRIDO”. Commenti, confronto, (anche grazie a traduzioni dallo spagnolo e dall’inglese…). Tutto è cambiato oggi. Grazie Nina di aver commentato direttamente sul blog.