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Antichi mestieri. ‘U ghiancheri (il macellaio) parte prima
Esistente e resiste ancora oggi, in sporadici casi, nella sua origianaria funzione di “artigiano della carne”, ù ghianchèri, il quale rientra di diritto fra fra quelle attività secolari di bottega nella quali oltre al servizio veso il cliente, si instaurava, durante l’intera settimana un vero e proprio rapporto di amicizia e dialogo, dialogo ormai impossibile in una società moderna dai ritmi frenetici, vedi gli attuali supermercati e soprattutto ipermercati.
BREVE STORIA:
Da esperienze e conoscenze personali, posso affermare che era generalmente il martedì il giorno destinato alla macellazione. Infatti, quasi ogni comune aveva un proprio macello o mattatoio che dir si voglia (luogo provvisto di postazioni dotate di “curruli“ (carrucole), e le rastrelliere con “i crocca“ (i ganci). Nell’ufficio del macello, si pagava una tassa per ogni bestia macellata e tutte venivano visitate dal veterinario prima che la carne e le interiora fossero caricati sull’apposito trasporto carni. Nella stessa mattinata, arrivava (assieme alla carne) la cosiddetta “quaddumi“ (le interiora e quant’altro). Così i clienti potevano comprare “ù ficutu“ (il fegato), “ù còri“ (il cuore), “ù primuni“ (il polmone), “à mèusa“ (la milza), “à trippa“ e quant’altro.
Il vitello o vitella, arrivavano in macelleria già sezionati in quarti, (anteriori e posteriori), i “quatti avanti“ (quarti anteriori), venivano prontamente disossati, tolte le costole, usando due coltelli, uno sottile e affilatissimo e uno tozzo e robusto. I suini e gli ovini invece arrivavano suddivisi a metà.
‘A GHIA’NCA. COM’ERA?
‘A ghiànca (a Palermo viene ancora denominata “à Vuccirìa“, famosa l’omonima opera pittorica di Renato Guttuso). Ma, come la immagginiamo questa macelleria di mezzo secolo fa e oltre? Se non ricompresa in un mercato all’aperto come la ritraeva il Guttuso, spesso, era una stanzetta di pochi metri quadri dal pavimento in scaglietta, le mura rivestite con “ì mattunèlli“, piastrelle bianche e, al posto degli attuali banchi frigo c’erano un banco di mattoni (rivestito come il resto della stanza). “Supa ò bancu“ era posta “à bilànza“ (la bilancia) e sotto c’èra “ù casciuni“ (il cassetto che fungeva da cassa), al posto delle attuali celle frigorifere c’era “à ghiaccèra“ (una stanzetta in mattoni, nella quale veniva posta la carne rinfrescata con balle di ghiaccio che nella zona ionica venivano acquitate ad Alì Terme presso “à fabbrica dù ghiacciu“ e spesso le stesse venivano portate a destinazione legate sul portabagagli di una bicicletta.
All’esterno, à ghianca, in molti casi aveava uno o due ganci in ferro dove appendere le carni e/o tabbelle tipo “suino nostrano”, ma c’era anche una vetrinetta in ferro e vetro nella quale veniva esposta “à testa dù bòi“ (la testa del bue) o “ù cannaròzzu“ (l’esofago) o altro, per attirare i passanti che si era macellato lo stesso giorno.
La carne veniva lavorata “supra ò cippu“ (sul ceppo), ceppo di legno che altro non era che un pezzo di tronco di “ruulu” (quercia). E c’era chi voleva “ù capuliatu“ (il tritato), o “canni pì rrùstiri“ (carne per arrosto), “canni pì bugghiri” (carne per bollito), “à sasìzza“ (la salsiccia), ecc. ecc.
U’ ghiancheri, (dal “fantàli“ o “panannanza“ (grembiule) sporco di sangue, genericamente persona di costituzione robusta e di dura tempra, in sè univa spesso fiuto dell’affare in sede di acquisto, nonchè qualità affabulatorie in sede di vendita). Per preparare le fettine, spesso usava – oltre o “cuteddu longu” (un coltello dalla lama lunga e larga – non esistevano le affettatrici) il quale, come tutti i coltelli, veniva affilato con “l‘azzarìnu” – anche “ù mmaccabracioli” (batticarne). Per sezionare le ossa, veniva usato “ù quattiaturi“ (la mannaia).
IL BESTIAME NELLE CASE DI CAMPAGNA
L’attività dù ghianchèri iniziava con l’acquisto delle bestie, le quali, prima dell’avvento dei commercianti veri e propri, si operava prevalentemente nei paesini di campagna. Non era raro che nella stessa abitazione, al piano superiore, “supra ò sularu“ (sul solaio, in travi di legno e tavole), vivessero i familiari ed a quello inferiore ingrassassero maiali, pecore, galline, persino vacche e buoi. Senza contare “ù sceccu” (l’asino, che veniva usato per i lavori in campagna e per trasportare le derrate). Quindi, ù ghianchèri, in diverse occasioni accompagnato dal “sinzàli” (mediatore), passava casa per casa e, dopo una più o meno breve trattativa timbrava quanto acquistato “c’ù mèrcu“, (strumento in ferro che colpendo l’animale lasciava un timbro, intagliato sulla pelle). Pare che al tempo, “la paola data fosse impegno”.
-> Redazione.
N.B: Nella foto (da sinistra): Anna Caltabiano, Adele Bonarrigo e Cesare Carmelo Bonarrigo, ù ghianchèri (il macellaio) mio padre.
La riproduzione della foto è riservata.
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