Storie di Sicilia
FIUMEDINISI. RITROVATO (nel 1993) IL MONASTERO DI S. NICANDRO. I DOCUMENTI DICONO CHE…
FIUMEDINISI. Ritrovato l’antichissimo monastero di San Nicandro. Sul “Giornale di Sicilia” del 18/06/1993, a firma di Ugo Smeriglio, veniva pubblicato l’articolo secondo il quale il prof. Angelo Cascio avrebbe (attraverso studi e ricerche) individuato i resti dell’antico monastero di S. Nicandro proprio sul territorio fiumedinisano.
In data 15/07/1993 il Comune di Fiumedinisi, inviava al suddetto professore una lettera – protocollata con il n° 3746 e firmata dall’allora sindaco Geom. Totaro Gino – nella quale, l’amministrazione di allora si dichiarava “vivamente interessata al recupero ed alla salvaguardia di tutte quelle testimonianze che hanno fatto la storia di questo comune”. Nella stessa lettera, quindi si invitava il prof. Cascio ad un incontro al fine di approfondire il tema.
Di seguito vi riportiamo quanto in nostro possesso al riguardo.
Il MONASTERO BASILIANO DI SAN NICANDRO DI SAN NICONE DI FIUMEDINISI
Del monastero di S. Nicandro di S. Nicone non rimangono che pochissimi resti: appena una piccola parte del muro frontale, che lascia intravedere la porta d’ingresso, ed un tratto del muro maestro – lato nord – con una piccola finestra che dà sulla spelonca. Quest’ultima, invece, e non poteva essere diversamente, è rimasta intatta nel corso di tanti secoli perché disegnata e creata dalla stessa natura con materiale roccioso. La spelonca formava un tutt’uno con la costruzione in muratura del tipo “solerata”, cioè con solaio abitabile, a cui si accedeva tramite una scaletta posta accanto alla spelonca.
Si fa fatica a trovare i resti del monastero perché, trattandosi di piccolo cenobio di poca importanza e con poche prerogative, non molte memorie – almeno sinora – sono venute alla luce. A ciò si aggiunge anche, per complicare le ricerche, l’opinione di alcuni studiosi che hanno affermato, senza alcun apporto documentario, che detto monastero passò, nel Cinquecento, ai Carmelitani. Poiché, come leggeremo appresso, questi ultimi costruirono un proprio convento presso la chiesa della Santissima Trinità di Fiumedinisi, i detti studiosi hanno finito con l’ubicare il monastero di S. Nicandro di S. Nicone nella odierna località chiamata “Santissima”, non tenendo altresì in debito conto il persistere attraverso i secoli del toponimo S. Nicandro, ovvero, come risulta dai documenti del Seicento, S. Licandro, dato al luogo dove si trovano i suddetti ruderi.
Nella spelonca posta nell’abitato di S. Nicone viveva, attorno agli anno 1090, da eremita, il monaco Biagio, sicuramente devoto di S. Nicandro a cui aveva dedicato la sua grotta.
Il santo Nicandro (uomo che vince) aveva un culto particolare nel messinese e veniva festeggiato il 19 settembre. L’esperienza della vita ascetica era un periodo indispensabile per poter in seguito, ed in miglior modo, affrontare la vita religiosa in comune. Lo stesso S. Basilio (329-379), legislatore della vita monastica, alle cui regole si ispirarono i monaci suoi seguaci, detti quindi basiliani, fece esperiena diretta di vita anacoretica ed anche, nei monasteri fondati da Pacomio, dove i monaci viveno insieme, di vita cenobitica. Il monaco Biagio quindi, ben temprato nello spirito per la vita solitaria condotta e ormai deciso a formare una comunità monastica, anche perché da monaco basiliano doveva rinunziare a persistere nell’ascetismo individuale ed a rifiutare la concezione eremitica, faceva supplica al conte Ruggero per ottenere la facoltà di trasformare in monastero la sua tranquilla spelonca “… Messane cum te piissimum monachum Blasium virum in devotione et gravitate multo rum fide digno testimonio commendatum reperissemus atque cupientem habitare et in monasterum erigere quietam illam speculam sancti patris nostri Nicandri quae est infra casrum Sancti Niconis ut qui iam prius in ipsa habitaveras. Hanc tuam bonam electionem acceptantes voluimus ad commendationem erectionem et costitutionem illus monasterii donare tibi… “.
Il gran conte di Sicilia e di Calabria Ruggero, accogliendo benignamente la richiesta del piissimo monaco Biagio, persona di grande devozione e dignitosa di comportamento, e avendo altresì nel suo programma di governo anche quello di ricompensare e colmare di ogni beneficio coloro che dedicavano la loro vita servire e a lodare Dio, gli concedeva il privilegio di erigere e di costituire canonicamente il monastero. “…agros et montes et omnia que in eis sunt conclusa donavimus tibi presignificato devotissimo monacho Blasio ut constituas et augeas hoc monasterium et iis qui post te preerunt ipsi pro salute animae et peccatorum remissione mei atque omnium heredum et successorum meorum …”. E gli donava anche un appezzamento di terra con i campi ed i monti ed ogni cosa in essa racchiusa, affinchè il monastero potesse avere i propri redditi e potesse prosperare negli anni a venire. Inoltre il gran conte ordinava espressamente che tutti gli animali posseduti dal monastero avessero libertà di pascolo in tutte le regioni. “… non solum autem hec habeatis verum quotquot animalia possederit monasterium volumus ut libere pascua habeant in omni nostra regione …”.
La proprietà era così circoscritta: “come sale il torrente d’acqua che scorre tra S. Pietro fino alla Catuna che si estende per grande superficie ed ha come limite dei suoi confini Itala fino al colle dell’abitato di S. Nicone, dove si trova il pozzo ed il torrente discende lungo la via fino al grande fiume ed il fiume similmente discende sino a dove abbiamo fatto inizio, chiudendo così il circuito”. Il documento munito del sigillo di piombo fu consegnato al monaco Biagio nel mese di novembre dell’anno 6602, che corrisponde all’anno dell’Era di Cristo 1093. Si diceva che il monastero di S. Nicandro di S. Nicone era un piccolo cenobio e, in quanto tale, dopo pochi decenni dalla sua fondazione, passava nel 1131 alle dirette dipendenze dell’archimandrita del SS. Salvatore di Messina, perdendo così la propria autonomia non solo contabile – le rendite andavano a favore dei monaci del SS. Salvatore – ma anche organizzativa – l’egumeno economico veniva nominato dallo stesso archimandrita. Per fondare un monastero erano sufficienti due o tre monci, così infatti stabiliva l’imperatore Leone il Filosofo con la novella XIV. “… dove si trovano due o tre monaci uniti insieme sotto il mio nome e Dio è con loro, è sufficiente fare un monastero… “.
Nel 1394 il monastero di S. Nicandro di S. Nicone di Fiumedinisi figura come semplice possedimento terriero amministrato da persona estranea all’ordine monastico. Si parla infatti nel documento di un certo Franchino Marisca che non figura né come monaco né come converso. “…il 15 dicembre 1394 nel terzo anno di Martino re di Sicilia, e nel XVII anno di Maria regina, dinanzi ai giudici della terra di Fiumedinisi distretto della nobile città di Messina, è stata fatta una ricevuta di fra Paolo, per grazia di Dio e nella sede apostolica, archimandrita del grande monastero del Santissimo Salvatore di Messina, con la quale libera e tacita Franchino Marisca riguardo all’amministrazione della grangia di S. Nicandro di Fiumedinisi”.
Nel documento come anche nei successivi documenti si omette il termine di S. Nicone per designare il monastero di S. Nicandro perché sostituito da Fiumedinisi. Da un documento riguardante l’Archimandritato del SS. Salvatore di Messina apprendiamo che, nel periodo compreso tra il 1542 e il 1555, il monastero di S. Nicandro di Fiumedinisi veniva riedificato per ordine dell’archimandrita Annibale Spatafora “…sanctus Nicandrus in flumine dinisii nuper reedificatus per presentem archimanditram”.
Il termine reedificatus fa pensare che il monastero era stato abbandonato nei tempi precedenti. Come si è detto, infatti, già nel 1394, non vi erano monaci e, per essere nuovamente abitato, era necessario ricostruirlo perché rovinato materialmente. Nell’apprendere che il monastero basiliano di Fiumedinisi fu riedificato nel periodo 1542 1555, però, possiamo escludere in modo certo che esso passò ai Carmelitani. Questi ultimi erano presenti in quel tempo in Fiumedinisi con un proprio convento costruito negli anni 1537 e seguenti ed ubicato accanto alla chiesa della Santissima Trinità. “…concesserunt per patentes facultatem patri frate Francisco Vaccari priori dicti conventus ut possit fabricare conventum in loco prpre flumen sancti dionisii ubi est ecclesia sub titulo Santissime Trinitatis quam sibi pro ordine concessit reverendissimus episcopus messinensis…”, infatti la facoltà di poter fabbricare – ex novo – il convento carmelitano di Fiumedinisi la ebbe il priore del convento carmelitano di Messina, padre priore Francesco Vaccari, dai reverendi padri Aloisio Tenzonne, vicario generale visitatore, e da Antonio Marinarium con visitatore. Questi ultimi erano stati incaricati dal padre generale Nicola Audet a visitare i conventi carmelitani della Sicilia. Il primo convento visitato fu quello di Messina nel giorno 11 ottobre 1537; in quell’occasione si stabiliva anche di costrire il convento carmelitano di Fiumedinisi in una contrada diversa da quella in cui anni dopo veniva riedificato il monastero basiliano. In quest’ultimo nell’anno 1594 l’archimandrita del SS. Salvatore di Messina distaccava il monaco fra Paolo Staiti.
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