Storie di Sicilia
“I DETTI DELL’ANTICO” – DONNE, AMORE, MATRIMONI, SAGGEZZA POPOLARE
La Regione siciliana ha, recentemente, istituito il R.E.I. (Registro delle Eredità Immateriali) con lo scopo di salvaguardare il patrimonio culturale immateriale. Tra le cosiddette eredità immateriali rientrano le tradizioni orali, il linguaggio, i saperi legati all’artigianato tradizionale che si trasmettono oralmente di generazione in generazione e che, quindi, corrono un notevole rischio di dispersione.
.
I proverbi erano il codice non scritto e il vangelo del povero, ma il loro uso nella prlata quotidiana, era abituale anche nelle classi sociali più elevate; in mancanza della scrittura erano le espressioni proverbiali a ricordare al contadino i lavori agricoli da fare (la semina, il raccolto, la potatura, ecc.) o come comportarsi in particolari situazioni, come vedremo in dttaglio.
.
La Sacra Bibbia contiene, nell’antico testamento, il “libro sapienziale dei Proverbi” attribuito a Re Salomone. Termini come “salomonica decisione” o “parràu Salumuni” sono, ancora oggi, largamente usati nel nostro lessico.
Si occuparono di proverbi Erasmo da Rotterdam, Nicolò Tommaseo e, con particolare riferimento alla Sicilia, Giuseppe Pitrè, secondo il quale i proverbi costituiscono (il più grande tesoro del popolo”. Anche Leonardo Sciascia fu estimatore dei proverbi siciliani e ne indagò il significato più profondo.
.
Lassaru dittu l’omini ddotti: “U diavulu a fimmina non ci potti”.
(Ci hanno tramandato – hanno lasciato detto – gli uomini dotti: “il diavolo contro la donna nulla ha potuto”).
.
Non sù li bbeddi chi si fannu amari ma su’ li modi e li duci paroli.
(Non sono le belle che si fanno amare, sono i modi e le parle dolci).
.
L’amuri senza cori è comu lu manciari senza sali.
(L’amore senza cuore -senza sentimento- è come il cibo senza sale).
.
Quannu ddui si vonnu, centu non ci ponnu.
(Quando due si vogliono -si amano- cento non possono nulla).
Il vero amore, trionfa -secondo questo detto- contro tutto e contro tutti.
.
Si voi pirdiri l’amicu o ti mariti o ti fai zzitu.
(Se vuoi perdere l’amico o ti sposi o ti fidanzi).
Presumibilmente, l’impegno del fidanzamento e/o matrimonio, rappresentava nella saggezza popolare un distacco dalla mondanità dell’amicizia e una totale impegno verso la famiglia.
.
Cu si marita sta cuntentu un-gghiornu, cu mmazza un-porcu sta cuntentu n’annu.
(Chi si sposa rimane contento un giorno, chi uccide un maiale rimane contento un anno).
Sebbene il parallellismo può sembrare stridente, nella saggezza popolare di un tempo, mentre la gioia per il matrimonio e conseguente consumazione dello stesso si esauriva nell’arco delle 24 ore, la macellazione di un maiale -dal quale si realizzavano insaccati, lardo e quant’altro per la famiglia, davano sostentamento per un anno intero).
.
L’omu porta u bbeni, a-fimmina u manteni.
(L’uomo porta il bene, la donna lo mantiene).
Il marito, unica fonte di guadagno all’epoca, portava in casa il salario, i prodotti della campagna e della stalla, alla moglie era demandato il compito importante di non sperperarlo facendone buon uso.
.
A quasetta è u spassu da schètta.
(La calza è il passatempo della signorina non sposata).
Si diceva un tempo alle ragazze: “a fatti a cuasetta”. Con ciò si confinava la giovane ad un compito limitativo. Lavore a maglia, cucire, realizzare indumenti in casa erano tuttavia lavori utili all’economia della famiglia.
.
Fimmina di ddiciottu, omu i vint’ottu.
Una volta, era ritenuta cosa saggia che fra i due sposi ci fosse una differenza di dieci anni e che fosse la moglie ad essere la più giovane. Nonostante la miseria e la fame dilagante, ci si sposava giovanissimi. Oggi, i 28 anni del marito ed i diciotto della moglie, sono diventati in molti casi: 38 e 28.
.
A fimmina chi mmovi l’anca si non è buttana picca cci manca.
(La donna che muove l’anca -che si dimena camminando- se non è puttana poco ci manca).
Fra i detti popolari si giungeva a precisazioni anche molto più esplicite di questa: in questo caso, la donna non è seria se da segnali evidenti con il corpo tipo sculettare.
.
Ti ricordi quann’erumu zziti chi manciaumu zzuccarati? Ora chi semu maritati: cauci, pugna e tumpulati.
(Ti ricodi quando eravamo fidanzati, che mangiavamo le zuccherate? Adesso che siamo sposati, calci pugni e schiaffi).
Il periodo del fidanzamento nei ricordi degli sposati in questo detto rimanda ai ricodi della dolcezza. “I zuccarati” sono dei biscotti dolci rivestiti con dei semini di sesamo. Da sposati, cominciavano i litigi, le baruffe perfino cruente.
.
Cu si marita ntò quartèri bbivi ntò bbiccheri/ Cu simarità à-stanìa bbivi ntò ciascu e non vidi chi cc’ìa.
(Chi si sposa nel quartiere beve nel bicchiere/ Chi si sposa con estranee beve nel fiasco e non vede che c’è dentro).
Un tempo, sposarsi una ragazza vergine era cosa di vitale importanza, tanto che si considerava “compromessa” quella ragazza che avesse consumato anche un solo rapporto sessuale. A tale scopo, sposarsi una del quartiere era garanzia di purezza, mentre avventurarsi con una estranea quasi certezza di essersi accollato delle corna pregresse.
.
NOTA: Testi tratti dal libro: “I DETTI DELL’ANTICO” di Santo Lombardo. Pubblicato nel gennaio 2010.(Riproduzione Riservata).
Invia un Commento