Storie di Sicilia
IL SICILIANO: LINGUA E DIALETTU. “Chissi nun nni ponnu arrubbari”
In un era in cui la globalizzazione, le grandi intese internazionali, la diffusione di internet e dei mezzi di comunicazione di massa ha portato sempre più ad una trasformazione del nostro linguaggio, inserendo a pieno titolo nella lingua italiana vocaboli ormai ritenuti “di uso comune” (inglesismi-francesismi, ecc.), che ne è e che ne sarà del nostro idioma siculo?
Già idioma! Perché il dialetto siciliano è da considerarsi tale a tutti gli effetti per svariate ragioni. Ragioni storiche, culturali e geografiche che hanno fatto si che nei millenni questa “lingua”, parlata da più di cinque milioni di persone (e almeno altrettante nelle comunità siciliane di emigranti all’estero), «abbastanza distinto dall’italiano tipico da poter essere considerato un idioma separato, una lingua propria».
Quindi non un semplice dialetto, anche se persino noi siciliani abbiamo sempre avuto un atteggiamento negativo nei confronti del nostro linguaggio, guardandoci bene dall’utilizzarlo in alcuni contesti, vergognandoci quasi nell’utilizzarlo quotidianamente, calpestando così le radici stesse della nostra cultura, facendo si che rimanga una “lingua romanza” relegandolo solo ad un utilizzo più folkloristico-culturale che linguistico.
Un “complesso di inferiorità” che la navigazione nel mare del web e dei social network stà sicuramente accentuando, ma che in realtà ha radici ben più profonde e lontane nel tempo, che «identificano il siciliano come la lingua dei gruppi sociali economicamente e culturalmente più svantaggiati».
Io per primo mi sono chiesto il perché di questo! Perché il siciliano è sempre stato una lingua parlata e usata nella forma scritta solo nelle canzoni e nelle poesie dialettali. E riconducendo ciò ad una scarsa conoscenza dell’argomento ho voluto documentarmi, non fosse altro per aiutare chi, come me, vuole restituire dignità alla nostra storia millenaria, anche se per fare ciò il primo passo è ammettere la propria ignoranza. Che è nulla in confronto al fatto che dobbiamo reagire a questo scippo culturale che noi stessi stiamo perpetrando nei nostri confronti, ridando dignità ad una lingua e ad una letteratura più che degni di rispetto.
E in un contesto come FurciSiculo.net, nel quale ho sempre dato grande risalto a canti popolari e poesie dialettali, ritengo questo argomento sia essenziale e faremo, quindi, nei prossimi appuntamenti, un breve excursus in quelle che sono le radici storiche e le influenze che hanno caratterizzato il dialetto siciliano.
Per concludere e rimandarvi al prossimo appuntamento, ribadendo ancora una volta i concetti sopra espressi, voglio segnalarvi una significativa poesia dialettale del poeta bagherese Ignazio Buttitta, considerato il massimo esponente tra i poeti contemporanei che hanno scelto di esprimersi in siciliano. ’A scialàtibi ‘i carni…
LINGUA E DIALETTU
Un populu mittitilu a catina
Spugghiatilu
Atttupatici a vucca,
E` ancora libiru.
Livatici u travagghiu
U passaportu
A tavula unni mancia
U lettu unni dormi,
E` ancora libiru.
Un populu
Diventa poviru e servu,
Quannu ci arrobbanu la lingua
Addutata di patri:
E` persu di sempri.
Diventa poviru e servu
Quannu li paroli nun figghianu paroli
E si mancianu tra d’iddi.
Mi nn’addugnu ora
Mentri accordu a chitarra du dialettu
Ca perdi na corda lu iornu.
Mentri arripezzu
A tila camuluta,
Chi tisseru li nostri avi
Cu lana di pecuri siciliani.
E sugnu poviru:
haiu i dinari,
e nun li pozzu spenniri;
I giuielli,
E nun li pozzu rigalari;
U cantu
nta aggia
cu l’ali tagghiati.
Un poviru
c’addatta nte minni strippi
di matri putativa,
chi u chiama figghiu
pi nciuria.
Nuatri l’avevamu a matri,
Nni l’arrubbaru;
Aveva i minni a funtana di latti
E ci vippiru tutti,
Ora ci sputanu.
Nni risto` a vuci d’idda,
A cadenza
A nota vascia
du sonu e du lamentu:
chissi nun nni ponnu arrubari.
Nni risto` a sumigghianza,
L’andatura,
I gesti,
I lampi nta l’occhi
Chissi nun nni ponnu arrubbari.
Nunnni ponnu arrubbari
Ma ristamu poveri
E orfani u stissu.
Un Commento
VITTORIO SARTARELLI
La lingua Siciliana – Dialetto o Vernacolo?
La lingua di un Popolo è anche la storia di quel Popolo. E la storia ricca e varia del popolo siciliano non poteva far altro che produrre un lessico altrettanto ricco e vario. La base lessicale del Siciliano è, molto probabilmente, derivata dal Latino; però, in effetti, nel lessico della lingua siciliana è possibile trovare grecismi, arabismi, normannismi, catalanismi, francesismi, spagnolismi, eccetera.
Essi rappresentano le impronte della Storia dell’Isola, fatta di invasioni e di innumerevoli contatti con le genti del Mediterraneo e d’Europa.
Il dialetto o vernacolo, è l’idioma particolare di una regione contrapposto alla lingua comune ufficiale e letteraria. Mentre una lingua ufficiale può articolarsi in letteraria, tecnica, usuale ed espressiva, il dialetto rimane connotato per lo più a un livello espressivo. I rapporti di convivenza tra lingua e dialetto hanno determinato influssi reciproci che si risolvono in un avvicinamento del dialetto alla lingua o in una penetrazione di elementi dialettali nella lingua stessa. E il Siciliano è anche lingua che ha apportato (e continua a farlo) del lessico ad altri idiomi principalmente all’Italiano.
La Lingua Siciliana viene considerata una lingua romanza al pari dell’Italiano, del Francese, dello Spagnolo, del Portoghese, del Rumeno del Catalano e di tutti quei dialetti o lingue che sono derivati dal passaggio progressivo dal Latino a una lingua “volgare”, completatosi nelle linee più importanti intorno al periodo medievale. Una stessa lingua può presentare vari aspetti in relazione ai diversi bisogni espressivi che si vogliono soddisfare: si realizza così una lingua usuale di cui ci si serve per la quotidiana comunicazione con la gente media della propria collettività, una lingua espressiva solitamente riservata alla più ristretta cerchia dell’ambiente familiare e delle amicizie, una lingua letteraria per comunicare con ambienti sociali più elevati culturalmente.
Parlando, infine, della capacità espressiva di un idioma e ancora meglio di un vernacolo, cose c’è di migliore come espressione letteraria nella lirica siciliana, del suo dialetto, creando un linguaggio originale e verace che trova riscontro nell’uso quotidiano e popolare della comunicazione più diretta e verista e quindi più comprensibile e penetrante verso un ventaglio più ampio di strati sociali, ma essenzialmente rivolto al popolo. Il dialetto è essenzialmente lingua e non può trascurare nessuno dei linguaggi che codificano la storia e l’identità di un popolo.
La distinzione poi, tra il dialetto e il vernacolo è sottile, si potrebbe dire che il vernacolo è il dialetto parlato dal “popolino” dalle persone meno colte di una città ed alle quali si perdona una libertà di linguaggio ed espressioni inammissibili tra persone colte; tuttavia è proprio questa l’impronta che caratterizza la dignità del dialetto, quale strumento primario nella formazione di una identità linguistica e storica delle gente di un territorio che, in questo modo, testimonia la generosità e l’amore per la propria terra, per la storia, lingua e cultura dei propri avi.
La lingua madre per i siculi è il Siciliano e l’Italiano è come se fosse la seconda lingua, il nostro idioma per noi è una grande ricchezza che ci rende diversi anche se uguali. Con le nostre specificità linguistiche e culturali legate al territorio, alla Storia, alle tradizioni a connotazioni uniche che ci permettono di esprimere quella sicilianità che ci contraddistingue e ci onora. Le persone anziane di un territorio, rappresentano oggi, gli autentici scrigni di esperienza di vita, di valori umani, artistici e spirituali, i quali si possono apprendere ed essere tramandati quasi grazie alla conoscenza del dialetto. E, a proposito di quello che significa per un popolo la sua identità linguistica, c’è una poesia di Ignazio Buttitta, il poeta dialettale siciliano forse più importante e rappresentativo del XX secolo, che evidenzia in modo quasi scultoreo il disagio morale e psicologico che provoca la perdita di questa identità.
Vittorio Sartarelli