Roccalumera, Storie di Sicilia
Le miniere di allume in Sicilia… e ad Allume, frazione di Roccalumera
Nel 1535, l’imperatore Carlo V, quale campione della fede religiosa cristiana, riportava una grande vittoria sotto le mura di Tunisi, annientando le selvagge orde musulmane, al cui comando vi era il famigerato pirata Barbarossa. Sembrò, almeno per quel momento, che il pericolo turco fosse scongiurato. Carlo V era raggiante di gioia per il felice esito dell’impresa, con la quale la Cristianità era riuscita a vincere gli infedeli. Durante la presa di Tunisi si distinse, fra i tanti valorosi capitani di Carlo V, il ventottenne don Ferrante Gonzaga. Fu lui, infatti, a lanciarsi, per primo, contro il nemico riuscendo a trapassare con la lancia un capitano dei Mori e a contribuire in modo determinante alla felice conclusione dell’impresa. Del suo valore fu testimone lo stesso Carlo V, il quale lo ebbe, come fedele paladino, sempre a sè.
Dopo aver trionfato, a Tunisi, sui nemici della Cristianità e aver fatto tirare un respiro di sollievo in particolare modo alle popolazioni rivierasche siciliane, terrorizzate dalle scorribande dei pirati maomettani, Carlo V decise di visitare la Sicilia e così realizzare un desiderio accarezzato da tempo. Nelle città da lui visitate, a partire da Palermo per arrivare a Messina, attraverso i centri che si trovavano sulla strada regia: Gangi, Nicosia, Troina, Randazzo, Moio, Taormina, S. Alessio, Scaletta, venne accolto come magnanimo e vittorioso sovrano. Grandi feste Messina riservò all’imperatore: sugli archi di trionfo si poteva leggere: “Al vittorioso imperatore Carlo, Padre della Patria, vincitore dell’Africa, pacificatore del paese”, oppure: “Sul quale il sole mai non tramontava”, con l’implicita allusione all’impero.
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Prima di lasciare Messina, l’imperatore destinò come vicerè di Sicilia don Ferrante Gonzaga.
“Era espediente che Carlo lasciasse al governo di Sicilia un vicerè che fosse insieme eccellente politico e valoroso capitano…
Questo cavaliere in verità aveva tutti i requisiti per reggerci e custodirci; avvegnachè, quantunque ancor giovane, era saggio ed ornato di virtù, ed oltre a ciò era riputato per uno dei più bravi capitani che avesse l’imperatore, come ne aveva dato recente riprove così nell’impresa di Tunisi…”, in questi termini , a proposito dei requisiti che doveva possedere il vicerè, scriveva il regio storiografo, abate benedettino, Giovanni Evangelista di Blasi e Gambacorta.
E don Fernando Gonzaga, detto anche, nei documenti, don Ferrante e don Ferdinando, aveva tutte le carte in regola, secondo le vedute dell’imperatore, a ricoprire quell’importante carica di vicerè di Sicilia. Infatti, con diploma donato a Grand il tre marzo 1540, gli donava: “Tutti ed interi i fabbricati, le miniere e le vene di allume esistenti nel regno di Sicilia, confinanti col territorio di Fiumedinisi, col territorio della terra di Savoca, con il villaggio di Mandanici, con la spiaggia e con altri confini con un territorio di 25 miglia tutt’intorno…”.
Il re giustificava questo suo atto di libertà col ricordare le prodezze compiute da don Ferdinando nella presa di Tunisi: “In expugnatione civitatis Tuneti, ubi in nostra presentia, ut nobis, et ortodoxae fidei morem generes, primus, solus, et ante omnes hostile proelium summa cum strenuitate, intrepido et constanti animo inire ausus, Maurum quemdam lancea perfossum humi mortum penitus tradideris…”.
Certamente le miniere di allume, nella mente del re, rappresentavano un dono di grande valore e sicuramente gradito. Infatti l’allume nei secoli passati era molto commerciato.
Per il commercio dell’allume – uno dei prodotti più ricercati dai mercanti medioevali, poichè era indispensabile all’industria tessile, in quanto veniva usato come mordente, si svilupparono, a partire dal secolo XIII dei veri e propri monopoli (cartelli). Una potente società genovese “La Maona” (che indicava allora le grandi compagnie marinare e commerciali) dominò il mercato dell’allume durante i secoli XIV e XV. Allora la maggior parte dell’allume era prodotto in Asia Minore.
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Infatti, prima che in Occidente si scoprissero giacimenti di allume, era l’Oriente a produrlo e ad esportarlo. Con la caduta di Costantinopoli (1453), però, rifornirsi di allume, per gli Occidentali, diventò molto difficile, sia per gli alti prezzi praticati dai Turchi, che ne erano divewntati monopolisti, sia anche perchè il mare era malsicuro per gli atti di pirateria ad opera degli staterelli musulmani formatisi sulle coste africane. Dopo la conquista turca, quindi, l’allume orientale disparve quasi completamente dal mercato. Pertanto non è del tutto infondato pensare che in Occidente si fu costretti ad iniziare ricerche di cave di allume. Necessità fa virtù!
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Con tanto entusiasmo e con tanta gioia, a proposito del ritrovamento, nel 1462, di giacimenti di allume nei monti della Tolfa, lo scopritore, Giovanni, figlio del celebre giureconsulto padovano Paolo du Castro, ne diede notizia al Papa Pio II.
“Porto a Vostra Santità la vittoria sui turchi, poichè costoro estorcono alla cristianità più di trecentomila ducati all’anno per l’allume, del quale noi abbiamo bisogno per colorire. Ebbene di questa materia colorante, io ne ho trovato sette montagne, tanta, che potrebbe bastare per sette parti del mondo”.
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Per lo stato pontificio l’attività estrattiva rappresentava una fonte di guadagno non indifferente e nella prospettiva di altri profitti futuri si fece obbligo agli appaltatori, per non diminuire il patrimonio forestale, di ripiantare lo stesso numero di alberi che via via venivano tagliati per fare funzionare i numerosi forni necessari per la produzione dell’allume. Il governo pontificio ben presto, tuttavia, affidò lo sfruttamento e la vendita dell’allume ai Medici.
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Per le miniere di allume di Roccalumera non conosciamo nè il nome dello scopritore, nè la data in cui vennero scoperte. Pur tuttavia, grazie alla gran mole della documentazione reperita e studiata, siamo in grado di poterne tracciare, per tutta la prima metà del Cinquecento, anche, e a maggior ragione, una rapida e succinta descrizione, rimandando ad altro tempo, la pubblicazione di un nuovo lavoro, però, questa volta, di largo respiro e sempre relativo alle miniere di allume.
Da un documento che porta la data “Catania, 18 aprile 1402”, possiamo dedurre che, agli inizi del ‘400, nei luoghi vicini al monte Scuderi, in Fiumedinisi, in Alì, vi fossero probabilmente miniere di allume, di argento, di ferro, di rame, di zolfo.
Infatti il suddetto documento non è altro che l’autorizzazione concessa dal re Martino a Bertu Billuni di Messina, a Filippo di Aczano doi Pizolo e ad Andrea Carlino di Napoli, per poter loro “chircari et operari in li preditti minieri tutta quilla chi ad ipsi sirra possibili tantum di alumi quantu di argentu, di rami, di sulfaru, di ferru, di pulviri di gamillu, quantu eciam di omni altru mitallu terra et petra ki pozunu truvari in tutti li terri di li loki preditti et in dicta muntagna di munti Scueri exceptu miniera di auru…”.
Si trascrive quì appresso l’intero e prezioso documento:
“Martinus etc. stratico iuratis et magistro procuratori nobilis civitatis Messane Philippo Romano baroni Flumenis Dionisii ac capitaneo et aliis officialibus casalis Ali et aliorum locorum distrittus dicte civitatis consiliariis familiaribus et fidelibus nostris gratiam etc. havendula exellencia novamenti informatoni per Bertu Billuni di Missina Philippu di Aczanu et Andrea Carlinu di Napuli nostri fidili ki li contratti et territorii di li ditti loki et eciam in la muntagna di munti Scueri su minerii di alumi, di argentu, di rami, di sulfaru, di ferru, di pulviri di gamillu, et altri pulviri et mitalli, ad humili supplicacioni di li predicti Bertu, Philippu di Aczanu di Pizolu et Andria li havimu concessu chi pozanu chircari et operari in li predicti minieri tutta quilla chi ad ipsi sirra possibili tantum di alumi quantu di argentu, di rami, di sulfaru, di ferru, di pulviri di gamilla, quantu eciam di omni altra mitallu terra et petra ki pozanu truari in tutti li territorii di li loki preditti et in la dicta muntagna di scueri exceptu minera di auru ala quali fachimu omnimunda proibitioni dannuli licencia ki pozanu chircari et operari ut supra per tri anni continui et completi videlicet pro omnis undecine dodecine et tercidecine indictionis proxime futurarum vulendo nichilominus ki li predicti bErtu et compagni sianu tinuti di dari et pagari ala curti nostra dui per chintinaru di tutti li quantitati di dinari provenienti et ki trahirannu di li vindicioni ki farannu di li mitalli et pulviri predicti promittenduli ex pacto di non consentiri ki infra li dui anni primi silicet undicine et duodecine indictionis nulla altra persona poza ne digia affidarisi in li territorii predicti a chircari et operari li supracitati minerii….
Pertanto alla luce di questo provvedimento amministrativo, possiamo supporre, senza tante ambagi, che le miniere di allume non siano state ancora scoperte, ma che sia già stato individuato il luogo, in cui, più o meno, esse si trovino. Tuttavia solamente a partire dai primi del cecolo XVI – per tutto il cecolo XV non siamo riusciti a reperire finora appropriati documenti – le notizie documentarie sulle miniere si fanno via via più doviziose.
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N.B. Testi tratti dal libro “ALLUME E LE SUE MINIERE”, pubblicato dall Casa Editrice “Il Lunario” (nel novembre 1995) e curato dal prof. Angelo Cascio.
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Foto (ingresso miniere di Allume) di Domenico Crisafulli.
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