Storie di Sicilia
L’EMIGRANTE SICILIANO IN TERRA STRANIERA. STORIE DI IERI… MA NON SOLO
Per tutti era terminata la guerra. Per loro, però, ne cominciava subito un’altra: l’emigrazione. Il fronte era l’Europa industriale. Era l’Inghilterra, precisamente. Quì dovevano imparare a combattere contro un clima maledetto. “In una sola giornata – ti dicono ancora oggi – quì si vedono tutte le stagioni”. Il tempo cambia continuamente e sempre in peggio, si guasta… E poi combattere con una lingua incomprensibile, con un ritmo di lavoro da prima nazione industriale europea (la pausa-pranzo anche oggi è di mezz’ora!) e con un nuovo status: diventare operai da contadini che si era prima… E, in fondo, conbattere con una nuova identità: sei migrante. Sei una razza inferiore, vieni da altrove. E questi eravamo noi, gli italiani!
Le righe che avete appena letto, provengono da una pagina di un libro: “VANGELO DEI MIGRANTI” (pubblicato nel 2010) di Renato Zilio, missionario scalabrinano, nato a Dolo (Ve) nel 1950, che ha fatto studi universitari a Padova, in campo letterario, e a Parigi in teologia e che attualmente vive a Londra. Zilio, ha scritto vari libri.
Dallo stesso libro leggiamo: “Lo spirito di famiglia è un vero tesoro che i nostri emigranti hanno saputo esportare all’estero. E li ha fatti sopravvivere nelle più differenti condizioni di vita: quando ad esempio, affrontavano la vita rude degli anni Cinquanta o Sessanta, alloggiati in baracche di legno d’inverno e d’estate, ammassati tra uomini soli… Ma in seguito li senti esclamare: “Noi sì che abbiamo fatto l’unità d’Italia!”. E venendo quì in emigrazione un friulano sposare una siciliana o un napoletano prendere una calabrese, capisci quanto questo sia vero. Con uguale familiarità ti parlano in casa e ti fanno gustare insieme il Friuli e la Sicilia, Napoli e l’Aspromonte… e ti stupiscono di emozione.
Se vogliamo sorriderci sopra, leggiamo: “Franco ricorda ancora quando si andava a fare la spesa e c’era sempre chi si accucciava, sbatteva le ali e diceva: “Coccodè”… era per comprare delle uova!”.
Tornando seri, leggiamo a proposito di Inghilterra: “Si arrivava quì con la seconda elementare o anche meno, ma con una grande fede, un enorme coraggio e… i propri santi patroni. Sì, li trovi tutti nella chiesa della Missione italiana di Bedford. Allineati, luminosi, tutti in fila lungo le pareti, come una stupenda processione che ogni domenica ti aspettava.
L’orgoglio italiano si nota in tante cose. Le più comuni sono la cucina, il vino fatto in casa, il proprio orto-giardino – una vera delizia da vedere – con il fico, la vigna, il limone, l’olivo, i peperoni… Da generazioni, infatti – viste le penalties per l’introduzione di alcool -, i nostri emigranti portavano l’uva dall’Italia per fare quì sul posto il prodotto tipico per… sentirsi italiani nel Paese della birra.
Ma, in queste pagine, vengono riportate anche cose positive a proposito della Terra fredda: “Can I help you?” è la prima frase al telefono della nostra segreteria subito dopo il saluto. Deve aver imparato dagli inglesi. “Posso aiutarla?”. Se lo sentono rivolgere all’improvviso, colti di sorpresa, anche tanti italiani che capitano a Londra e che in un modo o nell’altro si sentono perduti… Basta un volto interrogativo, un ansioso guardarsi attorno o un gesto inutilmente ripetuto… e qualcuno si avvicina, lanciandovi un sorridente: “Can I help you?”. Un altro mondo, un altro stile si direbbe.
Riportiamo ancora: Mai avrei immaginato di passare un giorno sotto il Big Ben, davanti al Parlamento inglese, come un manifestante in corteo, con il cartello stretto in pugno. Abituati come si è a guardarlo con l’occhio del turista o quello distratto di un abitante di Londra. Ed è successo qualche giorno fa, il 4 maggio: è stato straordinario. Eravamo in migliaia.
Migliaia erano i cartelli arancione con scritto Srengers into citizens: da stranieri a cittadini. Un fiume lunghissimo, un’arteria viva che percorreva il centro città mentre i policemen dappertutto cercavano cortesemente di arginare questa colata lavica arancione, che dalla cattedrale scendeva al Parlamento. Immagine efficace per dire quanto il lavoro di questi stranieri è un’arteria invisibile che irrora tutta una società. Ed era per chiedere di regolarizzare 500mila immigrati che da tempo lavoravano in Gran Bretagna.
ARTICOLO CORRELATO: “VIVERE ALLA FRONTIERA” di Renato Zilio (missionario)
E per completare il pezzo, una poesia tratta dal libro di Zilio:
Odissea di un migrante
Come un seme
sono uscita dalla terra.
Come unseme sono nata
nella mia terra di povertà e di miseria.
vengo dal profondo sud dell’Italia,
dalla Moldavia, dalla Tunisia, dalle Filippine…
–
Sì, la mia terra è rimasta
incollata alla pelle del mio seme,
all’anima della mia vita.
Ma come seme
tenevo stretta tra le braccia
tutta la speranza del mondo,
ogni attesa dell’universo.
Allora, come un vero seme
il vento mi ha scossa,
mi ha percossa,
mi ha dispersa altrove.
–
E ho attraversato
il mare e l’oceano.
Ho conosciuto
l’esilio e la paura,
il coraggio, il sogno e l’amicizia,
la danza e la lotta vera.
Ho conosciuto
la speranza e le illusioni,
il pianto e la preghiera.
–
Comeun seme il cuore mi è scoppiato,
perchè ho dovuto nascere di nuovo.
Sì, la mia vita è sempre impastata
di morte e di rinascita, di fame e sete di dignità,
di paura, di vergogna e di nostalgia,
di solidarietà nuove e di speranze mai finite…
–
E quante volte ho dovuto morire:
io non sono che un seme nella mia vita di migrante,
destinato a nascere e a scomparire sempre,
e ancora nuovamente…
–
Ma verrà un giorno, sarò un albero, finalmente,
nella terra degli altri e farò frutti e meraviglie
che mai nessuno ne avrà visto di uguali!
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