Storie di Sicilia
CAPITOLAZIONE DELLA TERRA DI SAVOCA DI FRONTE ALLE ARMI FRANCESI (1676)
AVVERTENZA
Pubblichiamo nella sua lezione, correggendo talvolta la punteggiatura, un documento non conosciuto da quanti presero a narrare i memorabili eventi della città di Messina nel secolo XVII. Ce ne fè dono l’estinto nostro amico Avv. Carlo Toscano, il quale lo avea rinvenuto fra le carte dell’avol suo, cancelliere comunale di Savoca nel 1820, quando in quel comune, fra i tumulti suscitati dai carbonari, la plebe mise a fuoco l’archivio.
Trattandosi di copia non autentica, è a credere che l’antico cancelliere per se medesimo, o per altri che ne avesse vaghezza, trascrivesse la capitolazione dall’originale, perito dipoi nell’incendio. Ed è per tale incendio, che ci torna impossibile il raffronto, agevole solamente in Parigi, dove si custodisce l’altro originale pel duca di Vivonne. A cagione della vittoria riportata sul mare dai francesi, contro l’ammiraglio olandese Ruyter, i ministri di Luigi XIV posero con ogni cura insieme quanto s’atteneva all’impresa di Sicilia.
Studi ormai ben lunghi di giure internazionale e di storia, ci hanno apprestato occasione di legger molte convenzioni militari. Versano queste per solito, sugli onori concessi o negati alle milizie capitolati; sulla consegna delle armi, delle fortezze, delle provincie; sullo scambio dei prigionieri di guerra; sugli obblighi di coloro che si ritraggono dalla ostilità.
Nel documento qui pubblicato, si conviene l’escarcerazione d’Antonio De Hox, condottierio dei savocesi, e si patteggia inoltre che i francesi concedano le dovute capitolazioni, al capitano ed alla soldatesca di presidio nel castello. Ma tolti questi patti e pochi altri, la convenzione meglio che alle cose militari, ha riguardo alle future relazioni di Savoca con l’archimandrita di Messina; alle preminenze ed alle esenzioni novellamente concesse alla terra; all’elezione dei giurati e d’altri ufficiali; alla riduzione delle prestazioni annue, in danno dè creditori.
Perché il Vivonne fu così arrendevole alle inopportune pretese degli abitanti di Savoca? – Temevano quei di Messina che gli spagnuoli, appena lo avessero consentito gli avvenimenti, munissero di nuove armi e di più forte nerbo d’uomini una posizione, che loro dava modo do spinger le forze su per le giogaje dè monti peloritani, a dominare e conquistare la città ribelle.
Ciò ben sapevano i savocesi, i quali traendo partito da sifatti timori, attuavano né capitoli di resa, desideri da tempo inascoltati, nella speranza di dare assetto migliore alla terra, e di alleviar la miseria dei contadini. Per amore del luogo natio, non s’accorgevano come i loro scaltrimenti riescissero inutili, quasi due secoli prima che una profonda rivoluzione e sanguinosa rinnovasse l’Europa.
Quanto poi al duca di Vivonne, nel sottoscrivere con apparente leggerezza i patti proposti dai terrazzani, ei si mostrò di gran lunga più scaltrito ed accorto di costoro. Tolse subito a se medesimo ed a Messina i temuti pericoli, mentre gli rimaneva per contro abbastanza di tempo, a spazzar via le capitolazioni, se pure a Spagna non fosse tornato l’imperio di Sicilia. – È noto come il fratello della marchesa di Montespan fosse simulatore espertissimo, e cinico dispregiatore di qualunque fede, di qualunque legge; e non è a dubitare che Luigi XIV e Colbert, ajutando i messinesi, avessero precipuamente in animo d’indebolir la Spagna, contro cui i francesi guerreggiavano; od in ogni conto, di avvantaggiarsi nelle stipulazioni di pace, siccome in Nimegra avvenne.
Non sappiamo se le promesse date con tanta solennità in pro di Savoca, ottenesser la sorte toccata a quelle verso la città nostra; vorremmo attendere a tale indagine, ma molte e dolorose cure ce ne distolgono. Chi vorrà illustrare il documento cercando i fatti, non ometterà di esporre quali fossero gli ordinamenti siciliani nel secolo XVII, e quanto disagio cagionassero alle terre le signorie, massime se appartenenti a lontani feudatari ecclesiastici, com’erano nel caso di Savoca, gli archimandriti di Messina.
12 Marzo 1906
Pof. Giacomo Macrì.
CAPITOLAZIONE
Jesus Maria Joseph
Ritrovandosi soggetta da più tempo la Terra di Savoca con soi Casali e tutto il Regno di Sicilia, sotto il governo del Rè Cattolico; ed occorrendo in questi tempi che il Rè Cristianissimo abij passato li eserciti in questo Regno, avendo ricorso all’aggiunto della Città di Messina, di cui questa Terra è distrittuale, e per l’addietro non li è stato permesso concorrere coll’intenzione di detta Città; Ultimamente, ritrovandosi il Campo Francese in questi giorni nella Marina di S. Alessio, trovandosi soggetto e reso detto Castello di S. Alessio, con altre Terre a detta di Savoca vicine; ed essendo stato Inviato a detta Terra un Tamburo, accompagniato con il Cavalier di Chiè sotto il 23 ottobre p. p. ed altro sotto il 25 dello stesso, anteponendocci da parte dell’Ecc.mo Sig. Vicerè, il Sig. Duca di Vivonne, che dovesse concorrere a render Vbidienza a detta Maestà Cristianissima, anteponendocci la molta Clemenza e benignità d’essa, con tuttoché detta Terra si trovasse in qualche parte provista di munizione, Bastimenti[1] così di Vivere come di Guerra, presidiata di Soldatesca, di Cittadini di detta Terra, e munita di necessarie fortificazioni e sito eminente precipitoso, che dall’istessa natura li è stato attribuito, per onde se stimasse abile a potere resistere all’assalto del esercito Francese; non però per queste cause, hà devenuto detta Terra con suoi Casali, a rendersi all’Vbidienza del Sig. Duca di Vivonne, Vicerè a nome della prefata Maestà Cristianissima, come Terra distrettuale di detta nobile ed esemplare Città di Messina; ma sotto l’infrascritti patti, privileggi, exenzioni[2], grazie ed altri, quali detto Ecc.mo Sig. Duca promette Verbo Reggio (sic) che siano inviolabilmente osservati, e dalla prefata Maestà e suoi successori, puntualmente mantenuti ed Illibati.
1. E primo che li popoli di detta Terra e suoi Casali, e habitaturi in essi, etiamdio che fossero Messinesi, e loro effetti e beni che siano in alcun modo e tempo dalli Soldateschi del Campo, condotti all’acquisto di detta Terra e del Regno di Sicilia, Saccheggiati, Molestati, Inquietati, o Castigati; e che dovendo entrare Soldatesca in detta Terra, debba entrare come Amica, e come se entrasse nella Città di Messina, senza operare differenze. Dovendosi in detta Terra trattenere Soldatesca di presidio, si debba trattenere nel Castello di essa, senza scomodare ò perturbare per l’albergo o riggetto[3], a detti Popoli e loro Case; che siano trattati dalla Maestà Cristianissima, e Sig. Vicerè, e altri Comandanti e Soldatesche, conforme se dal primo giorno avessero concorso con detta Città di Messina; et ex nunc pro tunc, li popoli di detta Terra e suoi Casali, permettendo fedeltà e obbedienza alla Maestà Cristianissima, e per essa all’Ecc.mo Sig, Duca di Vivonne suo Vicerè, ed al presenti residente nel Campo, all’assedio della Scaletta.
2.Che li popoli di detta Terra di Savoca e suoi Casali, non possono essere costretti in alcun tempo, a dovere impugnare armi contro l’esercito della Maestà Cattolica, se non che a difesa di detta Terra, avendo però li bastimenti così di Viveri come di Guerra; e trattandosi di Guerreggiare contro l’altre nazioni, che detti Popoli debbano servire alla Maestà Cristianissima di questo Regno, ed in particolare in custodia di detta Terra e Casali, senza dovere imbarcare per fuori Regno di Sicilia, eccetto però di quelli che volontariamente vorranno servire.
[1] Voce adoperata ad indicare ciò che è bastevole, ripetuta col significato stesso nell’art. 2
[2] Testo: expenzioni, che non ha senso.
[3] Ricetto: la parola è sfigurata secondo la pronuncia di Savoca.
3. Che detta Terra stia nell’osservanza di tutti soi giurisdizioni, sopra li suoi Casali di Casalvecchio, Pagliara, Locadi, Palmolivo, Missarìo, ed Antillo, Casali soggetti alla Giurisdizione di detta Terra dominante; li quali Casali non possono domandare ò avere Segregazione di dominio di detta Terra, in alcun modo o tempo, ma sempre siano soggetti a detta Terra; e l’esercizio di giurisdizione delli officiali di detti Casali si estenda solamente nelli loru Circuiti, per la Forma del libro delli Costituzioni di detta Terra e Casali, seu lu libru del Segretu; delli quali Casali, caso che alcuno o più d’essi si trovassiro soggiogati ò resi al esercito[1] Francese, che quello o quelli s’intendono ò siino restituiti alla giurisdizione e soggezione di detta Terra, e che sempre siano Casali soggetti a quella, ed al esercizio della Giurisdizione d’essa.
4. Che il territorio di detta Terra con si possi in alcun tempo diminuire, ò aggregarsi in parte con altra Terra o loco, ma che stia sempre come per il passato, Includendo in detto Territorio e giurisdizione, il Fego[2] dell’Abazia di S. Pietro e Paulo di Agrò, esistente nel Territorio di detta Terra.
5. Che detta Terra di Savoca e predetti Casali, sia e s’intenda come per il passato, terra distrittuale di detta nobile ed esemplare città di Messia; e che goda tutti i privileggi, preheminenze, exenzioni[3], franchezze ed altri conforme a detta Città; e che per Privileggio speciale, li popoli di detta Terra e soi Casali, godono come divino godere, come fossero Cittadini di detta nobile et exsemplare Città di Messina; e che nelli parlamenti generali da farsi, debba intervenire detta Terra e suo Procuratore, da parte sua e soi Casali, conforme entrirà in detti perlamenti detta nobile et exsemplare Città di Messina; e che sempre siano esenti d’impositione e Gabelle.
6. Che li popoli di detta Terra e soi Casali, e tutti loro effetti e beni, si intendino e siano esenti di dovere pagare qualsivoglia sorta di debiti correnti, e rendite di cenzi bullali, e legati secundum formam bullae, et ad pias Causas, li quali debiti, cenzi e legati siano, e s’intendono esenti e cancellati, etiam se fossero qualitercumque[4] privileggiate, e si dovessero a qualsivoglia persona o Regia Corte, overo Deputazione del Regno, ed altri assignatarij di rendite, ò alla religione di Malta et altri; e questo stante le tante soggiogazioni che si trovano fatti, che si hanno andato corrispondendo tanto lungo tempo, con essere entrati a’ Creditori per raggione d’interusurij[5], il quadruplo e forse più della sorte delli Capitali, e mediante che li beni stabili sono ridotti a poca rendita; per le quali Cause li Popoli sono tutti ridotti in povertà; eccettuati però le suggiogazioni dovuti alle Chiese et Conventi per loro manutenzione, e li legati lasciati alle Chiese a raggione di dieci per cento secondo la forma della Bolla, e celebrazione di messe, li quali s’intendono discalati da oggi innanti alla mettà, alla raggione di cinque per cento; con questo che corrano a detta raggione da oggi innante, e che li decorsi maturati si intendono esenti; ed in caso di restituzione, si debba solo pagare la metà delli Capitali, a detta raggione di cinque per cento.
7. Che la creazione dei Giurati di detta Terra e suoi Casali, la debbano sempre fare li popolo per scrutinio e Casciarizzo[6], conforme sì à soluto fare per il passato, essendo eletti Giurati, le due persone che averanno più voti; e che li Giurati debbino esercitare l’officio, dal primo di Settembre, per tutto il mese d’Agosto; quale passato, siano privi dell’amministrazione di detto loro officio, dovendo fare ogni anno la sua creazione nella penultima o ultima Domenica
[1] Testo: esercizio.
[2] Feudo, conforme al dialetto siciliano.
[3] Testo: expensioni.
[4] Testo: quantunque.
[5] Interusurium fu detto dai giureconsulti romani l’interesse, o l’utile dell’usura.
[6] Voce del dialetto rispondente all’italiano Cassettone. Il Pasqualino la definisce : .
Nelle pubbliche votazioni, si deponevano schede o pallottole di colore differente secondo il si ed il no, nel cassetto che portava il nome delle persone in precedenza abilitate agli uffici.
d’Agosto, sotto la pena di onze 100 a tali Giurati, che lasceranno di fare tale Creazione, applicate al Regio Fisco; con questo che l’Archimandrita che sarà, debba intervenire o mandare Procuratore nell’una ò nell’altra Domenica, e non mandando persona l’ultima Domenica, se possi fare la Creazione con lo intervento dell’Arciprete di detta Terra, in loco dell’Archimandrita, et in suo defetto uno delli Priori o Guardiani delli Conventi di detta Terra; et che l’Arciprete sempre debba sedere etiam come Arciprete, in detta Creazione, et in suo defetto come sopra, conforme per il passato; e non intervenendo li Giurati innanti che finisci il mese d’Agosto, possono in tal caso li popoli, o nel ultimo giorno d’Agosto, o principio di Settembre, fare la Creazione con l’intervento, in loco delli Giurati, delli Guardiani e Priori, o superiori delli Conventi, o di dui Cappellani li più antichi.
8. Che li Capitani di detta Terra si eligano ogni anno dall’Archimandrita come al solito; e che si eligano persone Circomspette, habili e sufficienti, di buona vita e fama; e che detto officio non si possa vendere, come si ha soluto indovutamente fare per il passato; e che non si possa conferire per mezzo di regali né directe, né indirecta, né per via d’obbligazioni fatte per altri tanti contanti o polize; e constando[1] d’essersi conferito tale officio per via di prezzo ò regalo, in tale caso l’officio di Capitano caschi in persona dello Giurato di detta Terra il più vecchio, il quale possa e debba exercitare l’officio per quella indizione, nella quale occorrirà il caso; tutto per non dar campo, e per levare l’occasione d’essere vessati li Popoli.
9. Che l’elezione del Giudice, che dovrà agn’anno eleggere l’Archimandrita di detta Terra di Savoca, dovendo esercitar l’officio di Giudice e Giurato, non possa farsi in persona di persone, che prima dalli Popoli alcuna volta non siino stati eletti e creati per Casciarizzo nel officio di Giurato, Sindaco, Detentore, o Tesoriero di detta Terra di Savoca; tutto ad effetto che detto officio si conferisse a Persone di buona qualità; che l’Archivario e Conservatore delli scritturi di detta Terra, si debba eliggere dalli popoli per creazione o per scrutinio, il quale sia vitalizio, ed in Caso di prosecuzione del Archivario, medio tempore[2] che sarà provisto di giustizia, amministri detto officio quella Persona, la quale avrà avuto più voti nella Creazione fatta, appresso la persona eletta, per sino che detta persona sarà provvista di Giustizia, ò morta in prosecuzione; Con dovesi fare le solite giuliane[3], ogni volta con l’intervento delli Giurati, non obstante che per il passato detta elezione è stata fatta del Archimandrita.
10. Che li Mastri Notari dell’officio delli Giurati, e Corte Capitaniale di detta Terra, si debbano eligere con dover fare la nomina li Giurati di detta Terra, nominando quattro persone virtuose e prattiche, di buona vita e fama per ogni officio; e di quella nomina, l’Archimandrita debba fate l’elezione di detti Mastri Notari, di due persone nominate.
11. Che l’Archimandriti che pro tempore saranno eletti, non ostante che l’Archimandritato non sia beneficio Curto ma semplice, con tutto ciò per maggior beneficio di detta Terra e suoi Casali, e di tutta la sua Giurisdizione Archimandritale, per lo più dell’anno debbano far residenza in detta Terra di Savoca, coma Capo di tutta la Giurisdizione Archimandritale; et il resto nella nobile città di Messina come Metropole; e che dell’Emolumenti di detto Archimandritato, ne debbano conseguire trecento scuti l’anno, le tre Parrocchie di detta Terra, mediante la loro necessità; e questo per aversi esperimentato quanto inconveniente e disservizio è stato, l’attribuirsi per il passato detto beneficio, in persona che abitasse in Roma; e che il clero di detta Terra, stante la su detta residenza, non sia obbligato a pagare raggioni di Visita.
12. Perchè il territorio della Terra di Savoca consiste in quarantaotto Feghi, di li quali spettano all’Archimandrita Ventiquattro, e altri 24 spettano a detta Terra chiamati Zafari[4], avendone anche l’uso detti Casali, con le consuetudini et
[1] Testo: esortando.
[2] Nel testo, la parola tempore fu mutata in sempre.
[3] Giuliana si chiamò in Sicilia, il compendio per alfabeto degli atti contenuti in un volume.
[4] Zafara è nel dialetto l’itterizia, tolta l’ultima sillaba alla voce zafarana. E come dal color zafferano degli itterici, ebbe nome la loro infermità, così questi feudi furon chiamati Zafare dal colore giallognolo delle terre, disadatte ad ogni cultura e nude anche ai dì nostri.
osservanze contenti nel libro del Secreto[1] quali stiano in suo robore, e si debiano osservare particolarmente per le trazzere Filattò[2], et appartati uso di paschi, jus lucrandi, et altri in detto libro contenti; e pagando detta Terra e soi casali e tutti i beni existenti in detto territorio, a detto Archimandrita le ragioni di decima di vettovaglie, musti, animali, et altri soggetti a decima, si domanda per ciò che tutti le raggioni di decima di detto Territorio, si dismembrassero delle rendite Archimandritali, e si attribuiscono a detta Terra e suoi Casali; delli quali in quanto a quelli che doveriano in futurum pagare li Popoli di detta Terra e Casali e loro beni, siano esenti e franchi, ed in quanto a quelli che doveranno pagare le persone esteri in detto Territorio, restino per detta Terra con l’infrascritti desposizioni[3].
13. E che per ricompenza di tali emolumenti di decima, s’attribuiscano a detto Archimandritato li sudetti 24 feghi nominati Zafari, li quali s’incorporino all’Archimandritato dell’istesso modo e maniera, conforme detto Archimandritato ha tenuto detti 24 feghi nominati boschi; e con lo istesso jus di pascolare li Cittadini di detta Terra e Casali, nelli tempi soliti, conforme si ha costumato per il passato, e con l’istessi Carrichi di Filattò, appartati trazzeri, uso di pascoli e Signorie, conforme per dette osservanze, e prosecuzione[4] di coltivare, seminare, e usufruttuare li Padroni delli possessioni esistenti in detti Zafari, del istesso modo e forma conforme nelli sudetti 24 boschi, restando solamente per detta Terra e suoi Popoli, la Zafara di Mondello, incominciando da mezza Zafara della contrada di S. Carlo, abasso fino alla marina, includendo tutte le chiuse nobili, fino alla Fiumara delli Pagliara; con questo però che li boschi di S. Marina e Cuolo, Mancusa delli Pagliara, l’acqua di Savoca e Marzulli , non obstante che siano delli 24 boschi dell’Archimandritato, perché beneficati in vigne, celzi, et esserci pochi alberi d’agliande, per onde sono di poca rendita all’Archimandritato, restino per detta Terra e suoi Casali e per li Padroni in quelli existenti, come chiusi nobili[5]; con questo che alli Cittadini di detta Terra e Casali, resti lo jus lignandi, e di cogliere agliande[6] et altri frutti salvaggi, come è stato solito.
14. E perchè tra li altri bolli e debiti esistenti, e cancellati come sopra, ve ne sono alcuni che si doveriano a persone Messinesi, e volendo detta Terra deportarsi con detta Città e Popoli, con dovuta ed antica Giurisprudenza, pertanto si contenta detta Terra di Savoca, che in compenza di detti debiti e bolle di dette persone Messinesi, s’attribuisca a dette persone Messinesi, seu a detta nobile Città, la raggione di decima delli musti di tutte le vigne di persone Messinesi, existenti in detto Territorio, come d’altri qualsisia negozij soggetti a decima, che persone Messinesi dovevano pagare a detta Terra; e che per tal causa detta Terra e casali e loro popolo siano obbligati a pagare li debiti, li bolli, rendite, decorsi et altri qualsivoglia interessi, che pro modo si dovessero a dette persone Messinesi, li quali siano e si jntendono esenti[7], e non contentandosi detti Messinesi della compenzazione e cancellazione sudetta, con atributione di detta decima, in tal caso
[1] Secreto o Segreto era il ministro nobile delle dogane, ed in genere qualunque ufficiale chiamato all’esazione delle regie imposte.
[2] Si chiamarono trazzere nell’isola nostra, le vie di campagna talvolta assai larghe, per le quali traverso beni feudali od allodiali, si esercitava il transito dei pedoni, dei carri, dei bestiami.
[3] Testo: deposizioni.
[4] Testo: Esecuzione.
[5] Chiusa nobile vale bandita, cioè un tratto del feudo, in cui il signore vietava a tutti per bando, la caccia, la pesca, l’uccellagione, il pascolo.
[6] Ghiande.
[7] Nell’art. 12, tolte all’archimandrita le decime, si cancellarono quelle dovute da savocesi, lasciandosi alla terra le altre dovute da persone estere. Erano fra gli esteri i messinesi, i quali qui si esentano dalle decime, in compenso di rendite, soggiogazioni, censi, a loro danno aboliti per l’art. 7. Oltracciò la terra di Savoca si obbliga a pagar gli arretrati di soggiogazioni o rendite dovute ai messinesi sino al giorno della capitolazione, tuttoché ai debitori pel citato art. 7, fossero stati rimessi anche i decorsi.
che detta decima di persone Messinesi ed altri esteri, e loro beni existenti in detto Territorio, li quali spettano a detta Terra, si mettano in depositione, e con quelli si vadano sodisfacendo li debiti, bolli, rendite, che pretendono dovere avere dalli Popoli di detta Terra e Casali, tanto le persone creditori Messinesi, quanto le persone di detta Terra e Casali e le bolle delle Chiese come sopra discalate; e finita che sarà detta sodisfazione, le dette rendite di persone Messinesi ed estere, vadano al Patrimonio del Rè Cristianissimo come regalia o Donativo, che detta Terra per li presenti Capitoli li fa gratis et gratiose; et contentandosi detta Città di detta compenzazione, in tal caso, restando a detta Terra le raggioni di decima delle persone exteri existenti in detto Territorio, di dette raggioni di decima detta Terra ne fece e fa regalia e donativo a detta Maestà Cristianissima, e suo Patrimonio Reale.
15. Che l’ Ill.mo Sig. D. Giuseppe Castelli, Vescovo eletto della Città di Patti e sua famiglia, D. Giovanni Battista Castelli Governatore dell’armi di detta Terra, D. Placido e D. Gasparo Castelli e loro famiglia, D.na Theresa Castelli e Galifi e sua famiglia, D. Giovanni Villa di Cane, lo quale si trova confinato in detta Terra per ordine del Governo Spagnolo e sua famiglia, Pietro, Vincenzo e Felice lo Rè, et il Sig. Giovanni Triscritti, non siano in modo ò in conto alcuno molestati, così essi come loro beni, tanto per li contravenzioni e disobedienze di bandi, promulgati così per ordine dell’Eccellentissimo Senato di detta nobile Città, come di detto Eccellentissimo Sig. Vicerè, e pene in esse contente, come per altra qualsivoglia colpa che se li attribuisce, delli quali siano e s’intendano plenariamente assolti e liberati, come se mai li avessero incurse, o per loro fosse stato permesso; e che a quelli, non solo se li permette ridursi con loro cose e famiglia in detta Città, ed il transitu in quella di loro robbe, beni et effetti, arnesi, vettovaglie, seta, oro, argento, apparati et altri, li quali non li possono esseri così per strada, come in detta Città molestati, ma che ancora se li restituiscano li loro beni, per causa di tali contravenzioni, inobedienza, delitti, ed altri, da loro in detta Città ed altre parti incorporati, così per la detta Città, come di detto Eccellentissimo Sig. Vicerè; il che si debba osservare per tutti altri Messinesi oriundi, come per privilegio, che nel tempo del presente arendamento, si trovano in detta Terra e Casali, che quocumque modo venissero comprisi nella continenza di tali beni, avvisi, ed altri, et che in quelli potessero essere pregiudicati ò molestati per detta Città, ò per detto Eccellentissimo Sig. Vicerè et Governo Francese.
16. Che il Sig. D. Carlo e D. Xaverio Castelli ed altri di loro famiglia, che si trovano carcerati in detta Città, si excarcerassero; e che se li restituissero loro beni ed effetti incorporati.
17. Che il Sig. Cavaliere D. Antonio De Hox, il quale si trova prigioniere, preso nella Terra della Forza, quando si trovava accompagniato con cinquanta Vomino di Savoca, che furono debellati da detta Terra di la Forza, e furono forzati abbandonarlo, con la perdita di trenta forzoti, fosse excarcerato; e che se li concedesse il passaggio per dove a detto Cavaliere piacerà, a contemplazione della Terra di Savoca.
18. Che avendosi scarsezza di vittovaglie, in tale caso detta Terra e suoi Casali sia preferita in tutta la sua porzione, di quelli fromenti e vittovaglie che vi saranno; ed avendo modo detta Terra di portare in qualche tempo vittovaglie in essa, così per mare come per terra, non li possono essere molestati, impediti, sequestrati, o presi in tutto ò in parte, quali si compenseranno in loro porzione.
19. Che l’Archimandrita non possa avere giurisdizione temporale contro li popoli di detta Terra e Casali, se non che spirituale tantum come è solito, e che non possa molestare, carcerare, o aver manu etiam colla Giustizia temporale né spirituale, sopra le persone di Giurati Sindaco; ed altri officiali di detta Terra eletti dal Popolo, mentre stanno amministrando loro officii; nel qual tempo s’intenda sospetto, e che non possa prosequire persone di detta Terra e Casali ad istanza del Fisco, circa delitti di usura pravitate, ma ad istanza di parti tantum.
[1] Resa.
[2] Nativi di Forza d’Agrò.
20. Che li privileggi di detta Città e soi distrittuali, si debbono interpetrare et sentire primariamente sempre a favore di detta Terra e Casali di essa, posponendoli quante volte occorrerà fra loro litigare.
21. Che al Capitano e soldatesca di presidio nel Castello di detta Terra di Savoca, si concedano le loro Capitolazioni dovuti e competenti, per aversi trattenuti in detta Terra da circa anni due, e deportati da buon Gentiluomo, e da boni soldati, non intricandosi a Cosa alcuna, che a far l’esercizio del Rè Cattolico.
22. Che caso in detta Terra, restasse qualche poco di vettovaglia et altre cose commestibili, comprati col denaro della Reggia Corte, restano per peculio di detta Terra; e che lo Illustrissimo Sig. D Giuseppe Castelli, in potere di cui si trovano, li debba consegnare a persona eligenda dalli Giurati di detta Terra di Savoca, per effetto sudetto.
23. Che la Terra di Savoca, dovendosi formare la milizia del Regno, sia Capo di bandiera, e che tenga sotto di se li Casali e terra d’Alì, Fiumidinisi, Itala, Mandanice, Limina, Forza, la Mola, Ruccella, e tutte altre terre che erano innanti sotto detta bandiera; e che li Casali debbano abbassare, e prendere mostra in detta Terra, che debba avere il primo luogo colla bandiera di Randazzo; e che la piazza di detta bandiera sia nella Città di Tavormina; e dovendo marciare in Messina, abij il loco nel Castello del Salvatore, in tutte le preeminenze antiche.
24. Che il Casale di Locadi e suoi Popoli sii soggetto alla giurisdizione del Capitano et officiali di Savoca; e che il Capitano ed officiali delli Pagliara, non possono esercitare giurisdizione in detto Casale, ma che il Capitano di Savoca tenga in detto Casale di Locadi, un Caporale e compagni.
25. Che il Fego della Batia di S. Pietro e Paulo d’Agrò, existenti nel territorio di detta Terra di Savoca, per essere beneficato in vigne, e per quelle non si possa vendere l’Erba, né si possono passare bestiami, ma che li stabili existenti in detto Fego, si habbiano come chiusi nobili, con pagare solamente a detta Terra, le raggioni di decima di musti, vittuagli ed altri, more solito.
26. Che ogni volta che occorrirà conferirsi l’Archimandritato, sempre si intenda conferito colle osservazioni, e sotto la forma delle presenti Capitolazioni, sotto le quali l’Archimandriti tutti si debbano deportare.
Sotto le quali Capitolazioni, diritti, privileggij, Gratie ed altri, s’habia per detta Terra e popoli d’essa, divenuto al rendimento di detta obbedienza della Prefata Maestà Cristianissima, e per mezzo dell’Eccellentissimo Sig. Duca di Vivonne, suo Vicerè alla conquista di questo Regno, acciò quelli si osservassero sempre, in ogni futuro tempo in perpetuo dalla Maestà Cristianissima e suoi posteri, e loro Signori Vicerè, che al presente è, et pro tempore saranno, in vim rescripti et Privilegii, con potestà di potersi ridurre il presenti scritto in stampa.
Dato nel Campo Francese innanti la Scaletta, oggi tre novembre 1676.
Io Marasciallo Duca di Vivonne. – Per ordina di S. E. Dautiez.
Approbati dalla Terra di Savoca, oggi 4 novembre 1676
Stefano Trischitta Capitano di Giustizia e Consolente
Giacomo Trischitta Giurato
Francesco Trimalchi Giurato
D.Bartolomeo Trischitta Sindaco e Consolente
Natale Trischitta Capitano di fantaria e Consolente
Lorenzo di Savoca Capitano di fantaria e Consolente
Giuovanni Trischitta Capitano di fantaria e Consolente
Francesco Trischitta Capitano di fantaria e Consolente
Francesco Crisafulli Alfiero e Consolente
Notar Giovanni Salvatore Consolente
Felice Trischitti Consolente
Pietro Cuzzaniti Consolente
Giacomo Trimalchi Consolente
Francesco Maria Scarcella Consolente
Giuseppe Nicotina Consolente
Gio. Battista Coglituri Consolente
Dom. Pagano Consolente.
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NOTA: Riproduzione riservata
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