Storie di Sicilia
COME SI MANGIAVA UNA VOLTA. UNA CUCINA SANA E GENUINA
La cucina della cultura contadina di un tempo era molto semplice e genuina, ma gli antichi ci raccontano anche, che spesso era poco abbondante, viste le condizioni economiche delle famiglie che lavoravano la terra nei campi. La frutta era a portata di mano: ficalinni, (fichi d’India), pùma, (mele), pira, (pere), fica, (fichi), pira spineddhi, prùna, (prugne), nespuli, (nespole), girasi, (ciliegie), e poi gli ortaggi, broccoli, lattughe, asparagi da fare con le uova, cavolfiori, minestra ì campagna, ecc. A pranzo bastava un primo che eri sazio: pasta c’à faciòla, (pasta e fagioli), pasta e linticchia, pasta chi favi, ù maccu, (si tratta di una crema di fave realizzata con una cottura prolungata di fave secche alle quali veniva aggiunta una verdura, solitamente delle bietole, e servita con il solo condimento di olio d’oliva. Veniva consumata come minestra o piatto unico. È un piatto povero della cultura contadina e nello stesso tempo molto nutriente. Risale all’antichità in quanto sembra fosse conosciuto al tempo degli antichi romani), pasta ch’ì patati e lardu, pasta c’ù ‘zzugu e lardu ì maiali. Come detto, ci si riempiva la pancia con tutte pietanze di prodotti sani e genuini, e c’è chi afferma che si viveva maggiormente in salute nonostante il duro lavoro.
Quando si faceva il pane, prima di infornarlo, una pagnotta già lievitata veniva fatta friggere (cuzzòla fritta) o arrostita sulla brace (cuzzòla ‘rrustuta). Tutte le famiglie tenevano nel cortile dietro casa le galline e qualcuno anche il maiale (nutrito con ghiande, ficodindia, crusca ed erba), che veniva, o venduto à fèra d’ì ‘nnumali (mercato del bestiame) di Santa Teresa per ricavarne un bel gruzzolo di soldi o se le condizioni economiche della famiglia lo permettevano, veniva ucciso per Natale “per uso famiglia” per farne salame, pancetta, sasizza, (salsiccia), saìmi, (sugna, che generalmente veniva inserita ancora calda e liquida all’interno di una vescica animale. Una volta fredda e solida, diventava il burro dell’epoca), suppissata, (particolare tipo di salame più simile alla salsiccia), sangunazzu, (insaccato contenente prevalentemente interiora e sangue di maiale), frittuli o ziringuli, (la materia prima della frittola è il risultato di una particolare lavorazione degli scarti della macellazione del vitello), lardo e così era assicurata una buona scorta alimentare per tutto l’inverno. Alcuni, allevavano anche un vitello in casa, (al piano terra c’era generalmente la stanza adibita a stalla, e salendo per una scala di legno si giungeva all’abitazione), che ingrassavano nell’arco di un anno per poi venderlo poi ai macellai della zona.
Da qui il modo di dire: Cu si marìta sta cuntentu un ghiornu / Cu ‘mmazza ù porcu sta cuntentu n’annu. Nei giorni di festa e nei matrimoni, si facevano delle schiticchiate; allora sì che si poteva strafare: maccarruni ‘ntò zùgu d’ù maiali, sasizza, cost’ì maiali supra a bracia, e poi, castratu ò furnu, caprettu ‘nfurnatu, il tutto era sempre accompagnato d’u pan’i casa e d’u vinu d’à nostra vigna. E poi c’erano i liquori fatti in casa: rosolio e nocino, come dolci: noci, fichi secchi, mostarda secca (con aggiunta di cannedda, cammommu, garofulu e mennuli ‘ntustati ), castagne, mandorle, insomma tutta roba di altri tempi il cui sapore si è già ormai perduto nella memoria dei nostri padri.
NOTA: Dalla rielaborazione (ed integrazione) di un testo di Salvatore Coglitore.
The Heatlhy and Genuine Old Sicilian cuisine
The cuisine of the peasant culture of the past was very simple and genuine, but the ancients also tell us that it was often poor, given the economic conditions of the families who worked in the fields. The fruit was at hand: “ficalinni” (prickly pears), “puma” (apples), “pira” (pears), “pruna” (plums), “nespuli” (medlars), “girasi” (cherries), and then the vegetables: broccoli, lettuce, asparagus, cauliflower etc.
A single dish was enough for lunch: “pasta c’a faciòla” (pasta and beans), “pasta e linticchia” (pasta with lentils), “pasta chi favi” (pasta with fava beans), “ù maccu” (a fava bean cream made with prolonged cooking of dried beans and vegetables), “pasta ch’i patati and lardu” (pasta with potatoes and lard). People used to eat healthy and natural ingredients, and there are those who say that life was healthier despite the hard work.
Before baking the bread, a loaf of rising bread was fried or grilled over coals. All families then kept chickens in the backyard and someone even the pigs, which were either sold in “a fera of ì ‘nnumali” of Santa Teresa (the cattle market) or killed for Christmas to make salami, bacon, “sasizza” (sausage), “saimi” (lard inserted when still warm and liquid inside an animal blister and eaten as butter, once cold and solid), “suppissata” (a particular type of salami), “sangunazzu” (a sausage containing pig’s blood and innards) and lard.
Some also raised a calf in the house: on the ground floor the room was generally used as a stable, and the first floor could be reached by a wooden staircase. The calf used to grow fat in a year and it was sold to butchers.
Hence the saying: “Cu si marìta sta cuntentu un ghiornu / Cu ‘mmazza ù porcu sta cuntentu n’annu” (“Who gets married is happy for a day, who kills the pig will be happy fort the whole year”).
Then there were the homemade liqueurs, such as “rosolio” and “nocino”, and the sweets: walnuts, dried figs, dried mustard, chestnuts, almonds. These were all kinds of food whose flavor is now lost with time.
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