Storie di Sicilia
FIUMEDINISI: TERRITORIO, COLTIVAZIONI, SVILUPPO DEMOGRAFICO, I PRIMI FEUDATARI
IL TERRITORIO E L’AMBIENTE: Tra i promontori del Capogrosso e dell’Arghennon Akron (Capo Alì e Capo S. Alessio), in una delle valli dei Monti Peloritani, anticamente detti Nettunei, sorge Fiumedinisi. Il nucleo abitato, la cui altitudine sul livello del mare è di m 190, è un agglomerato di case situate sulla sponda destra del torrente omonimo. Lo stesso fiume è gonfio e impetuoso nella stagione delle piogge e quasi asciutto nei restanti mesi dell’anno. Nasce in contrada Scala e raccoglie le acque delle fiumare Santissima e Vacco, nonché di innumerevoli piccoli affluenti. Dopo aver percorso circa Km 20 sfocia nel mar Jonio, dividendo i Comuni di Nizza di Sicilia e Alì Terme.
Il bacino del Nisi è ristretto ma interamente montagnoso; è costituito da rocce scistose cristalline e da filladi. I calcari cristallini (gneiss, micascisti, anfiboliti) abbondano nella parte alta del distretto, mentre il tronco inferiore è scavato quasi interamente negli scisti filladici. Gli studiosi della materia ritengono gli gneiss, i micascisti, gli scisti anfibolici sottostanti alle filladi come arcaici (Laurenziani e in parte Huroniani) e collocano gli scisti filladici nella parte dell’Huroniano, formanti cioè gli orizzonti superiori delle rocce scistose cristalline.
Nel territorio si ergono le cime più alte della catena peloritana. Pizzo Poverello (m 1279), Monte Scuderi (m 1253), Pizzo Croce (m 1214), Pizzo Cavallo (m 1210) e Pizzo di Frinzi (m 1200). Confina a Nord con i Comuni di S. Pier Niceto e Monforte S. Giorgio, a Nord-Ovest con S. Lucia del Mela, a Nord-Est con Messina, ad Est con Alì e Itala, Sud-Est con Alì Terme, a Sud e ad Ovest con il territorio del Comune di Nizza di Sicilia, ancora a Sud con Roccalumera ed infine ad Ovest con Mandanici.
Il territorio comunale risulta di 3.599 ettari ed è tra i più vasti della fascia jonica messinese, sviluppandosi da una altitudine di 53 metri a 1216 metri sul livello del mare. La superficie dei terreni coltivati è di 2.774 ettari, come si rileva dal censimento agricoltura del 1982.
Nel 1852 risultava di salme 1.483,606 delle quali 10,778 coltivate in agrumeti, 1,030 in canneti, 11,869 in gelseti, 4,811 in seminativi irrigui, 8,181 in seminativi arborati, 122,919 in seminativi semplici, 13,364 in uliveti, 573,335 in pascoli, 5,872 in vigneti arborati, 53,993 in vigneti semplici, 2,926 in ficodindieti, 2,128 in castagneti, 456,198 in boschi, 216,177 in terreni improduttivi e 0,029 in suoli di fabbricati rurali.
Le risorse sono principalmente agricole: agrumi, olivi, viti e castagni sono le colture più diffuse. Artigianalmente si producono ottimi formaggi e salumi. Troviamo anche alcuni allevatori di ovini, suini e bovini.
Nelle sue contrade vi sono moltissime sorgive d’acqua, tra cui la ricca sorgente della Santissima che contribuisce al grande fabbisogno di acqua della città di Messina. Esistono pure alcune fonti di acque minerali, utilizzate per cure idropiniche nelle affezioni renali. L’aspetto più importante del paesaggio vegetale è costituito dalle valli che scendono al mar Jonio, e dalle alture che più immediatamente vi si affacciano.
Sul Monte Scuderi si trovano alcune rare erbe medicinali che attraggono gli amatori di botanica. Il leggendario monte, famoso sin dall’antichità per i tesori che sembra custodire nelle sue viscere, è un grande macigno di calcare oolitico, costituitosi nel secondo periodo dell’età mesozoica.
Il vasto territorio montano di Fiumedinisi è fornito di parecchie strade carrozzabili, che consentono lo snellimento del traffico viario e il raggiungimento di località importanti per l’economia agricola della zona. Anticamente, vigneti, uliveti, mandorleti e cereali sono state le colture prevalenti; successivamente venne ampliata la coltivazione del gelso, indispensabile per la produzione della seta. Negli ultimi due secoli la maggiore produzione agricola si è avuta dalla coltura degli agrumeti ed in particolare del limone speciale “Interdonato”. Tra le varie specie vegetali si riscontra la rara “Pteris vittata”, pantropicale, che non esiste in altri terreni siciliani. Notevoli anche gli ericeti ad erica arborea le cui ceppaie vengono utilizzate nella lavorazione delle pipe. Vi sopravvive e vi staziona anche la Coturnice siciliana (alectoris graeca), una specie quasi in via di estinzione.
Il numero degli abitanti di Fiumedinisi, attraverso i secoli, è stato sempre variabile, a causa di disgrazie naturali, di eccidi bellici e di gravi epidemie. Dai vari censimenti, antichi e moderni, rileviamo alcuni elementi che danno l’indice di popolazione nelle varie epoche, ma gli stessi dati spesso non tengono conto dei numerosi abitatori delle campagne. Da documenti e da fonti bibliografiche si è potuto rilevare il numero degli abitanti di Fiumedinisi in determinati anni, che vengono esposti come segue:
Anno 1958, (Abitanti 2.443), 1652 (3.112), 1678 (2.396), 1682 (2.667), 1.714 (2.996), 1798 (2.133), 1799 (2.134), 1846 (2.646), 1847 (2.896), 1850 (3.070), 1861 (3.123), 1871 (3.182), 1881 (3.403), 1901 (3.866), 1911 (3.627), 1921 (3.330), 1931 (3.194), 1936 (3.166), 1951 (2.994), 1961 (2.616), 1971 (2.133), 1981 (2.040).
I PRIMI FEUDATARI DI FIUMEDINISI
Nel 1296 Federico III d’Aragona, opponendosi al fratello Giacomo, si proclamò Re di Sicilia. Malgrado la guerra fattagli dallo stesso fratello, Federico concluse con un compromesso le lotte contro gli Angioini. A Caltabellotta venne stipulato un trattato di pace che gli consentì di conservare il regno a condizione che, dopo la sua morte, sarebbe ripassato agli Angioini. Questi, per consolidare il suo dominio, distribuì le terre dell’interno ai suoi seguaci e alle famiglie locali che riteneva molto legate alla corte; così facendo provocò la nascita di nuovi baroni e consolidò l’istituzione dei feudi in Sicilia.
Anche l’Universitas Flumen Dionisyi divenne un feudo sotto il dominio di un barone. Nel 1296 ed ancora nel censo di Federico III d’Aragona del 1320 risultava signore di Fiumedisi Ruggero de Vallone, regio militare da Messina. L’accolito del Re possedeva pure le saline di Nicosia ed il feudo di Rachalsuar. Nel 1336 l’antico casale pervenne a Giaimo da Villanova per diritto della moglie Beatrice, figlia del suddetto Ruggero. Venne successivamente in possesso di Bonsignore di Ansalone, discendente della famiglia sveva fondata da Ladislao Ansalone. Egli fu membro del Senato di Messina nel 1302, acquistò ancora i diritti censuali del Real Demanio di Messina che ebbe confermati il 6 marzo 1339 e che furono conservati dalla sua famiglia fino al secolo XVI. Si ignora però come e quando pervenne al suddetto feudatario, il quale venne successivamente privato del feudo di Fiumedinisi, dal Re, perché ritenuto nemico del regno.
Il casale e il castello di Fiumedinisi, appartenuti per circa un decennio al “traditore” Bonsignore di Ansalone di Messina, vennero concessi nel 1357 dal Re a Giovanni Mangiavacca, capitano e castellano di Francavilla, insieme al casale di Limina. Giovanni Mangiavacca, da sempre scudiero, era giunto ad avere la signoria di casali e ad essere castellano di Francavilla e di altri luoghi, per concessione di Re Ferdinando e per la protezione del Conte di Aidone. Le armi delle famiglie nobili che possedettero il feudo di Fiumedinisi furono le seguenti:
VALLONE: partito – nel I d’argento, alla fascia d’azzurro e nel II scaccato d’azzurro e d’argento (originali di Perugia);
VILLANOVA: d’argento, al castello di verde, fiancheggiato da due cipressi dello stesso (originari di Spagna);
ANSALONE: d’azzurro a tre gemelle d’oro, poste in banda (originari di Normandia);
MANGIAVACCA: d’oro, alla vacca di rosso, sostenuta da un monte di verde, movente dalla punta (originari di Lombardia).
Una importantissima pergamena redatta in greco, conservata nell’Archivio di Stato di Palermo presso la Scuola di Paleografia, fornisce utili notizie sull’aspetto storico sociale del XIV secolo a Fiumedinisi. Si tratta di un atto pubblico stipulato, dal Regio Notaro Giovanni di Romualdo di Fiumedinisi, il 28 marzo dell’anno 6846 dell’era greca, corrispondente al 1338 dell’era volgare, concernente la vendita di una taverna con vestibolo e comodo fatta da Giovanni di Macrina, sua moglie Oloe e sua sorella Margherita, a Donna Venuta figlia del fu maestro Galto di Agira, per il prezzo di 9 once d’oro.
La presenza “in loco” di due taverne, di altrettanti notai e tante personalità confermano l’importanza di questo centro nel Medioevo. Il medesimo atto ci fa rilevare un dato interessante ai fini letterari, cioè la presenza nel paese della lingua greca perfino negli atti pubblici. Nella diocesi di Messina perdurò anche il numero degli ecclesiastici di rito greco, fino al XVI secolo. La taverna di cui sopra, con buone probabilità, sorgeva nella strada principale del borgo medioevale, l’attuale Via Rua Grande. Flumen Dionisy, sicuramente, fu un centro di collegamento tra le città di Catania e Messina.
I viaggiatori, durante il tragitto, solevano sostare in questa “stazione”, spesso per il cambio dei cavalli, per riposarsi e rifocillarsi, oppure vi si recavano appositamente per trattare affari sui prodotti agricoli, sulla seta e sulla estrazione del minerale aurifero. I mercanti forestieri, per concessione delle autorità del luogo, depositavano le loro merci ed esercitavano i loro traffici nei fondaci. Costoro pagavano i tributi imposti sulle vendite e sugli acquisti effettuati negli stessi fondaci.
Il magazzino (dall’arabo funduq) permetteva il ricovero dei cavalli e dei mezzi di trasporto. L’esistenza di alcuni fondaci indica un alto numero di abitanti e di frequenza di viaggiatori, infatti il fondaco è località di stallaggio. L’ultimo di cui abbiamo notizia si trovava in Piazza San Pietro, funzionante fino ai primi decenni del secolo attuale.
L’agricoltura era abbastanza fiorente; il territorio si estendeva fino ai confini con Savoca, Mandanici e Alì ed era coltivato prevalentemente a vigneti e uliveti, seguiti e lavorati con particolare attenzione. Da un documento del 1234 si evince che Amarallissa, vedova del conte Enrico, dona al Monastero di S. Maria dei Moniali una delle sue vigne di Fiumedinisi. Buona era pure la produzione di serica e dei cereali, prodotti che venivano solitamente immessi sul mercato di Messina ed esportati negli Stati mediterranei.
Una delle usanze del Medioevo in Sicilia fu quella dei banditori, che comunicavano al popolo le ordinanze dei feudatari o dei governatori. Fiumedinisi conservò questa tradizione fino a qualche anno fa, portando a conoscenza dei cittadini, tramite la voce del banditore, i provvedimenti del sindaco.
Nei secoli XII e XIII Fiumedinisi fu centro di lotte intestine, sovente causate da sete di potere e ricchezza di alcuni nobili siciliani, spesso in contrasto con il governo centrale dell’isola. I nobili, a tal scopo, assoldavano bande di mercenari per attaccare i piccoli casali e talvolta riuscivano nella conquista di nuovi possedimenti. Fiumedinisi, per difendersi dalle angherie degli attacchi dei nemici, possedeva una guarnigione di arcieri. Cinquanta di essi furono richiesti da Re Pietro I d’Aragona, come si rileva da un dispaccio reale del 10 settembre 1282, per custodire la via da Taormina a Messina, insieme ad altri mandati delle vicine “università”, durante il passaggio di alcuni legati reali.
La feudalità era divisa in due campi: quella di origine latina e l’altra di origine catalana, quest’ultima poco numerosa ma protetta dai sovrani. La lotta tra le due fazioni mirò al predominio di una sull’altra e sullo stesso regno. Nella contesa fra i due partiti intervenne anche Napoli a favore dei primi, sconvolgendo ancor più la Sicilia e causando in tutta l’isola battaglie sanguinose, stragi, odi e miserie.
Nel novembre 1354, il miles Giovanni Saccano conquistò i castelli di Fiumedinisi e Scaletta e l’abbazia di Roccamadore per minacciare da vicino Messina, interrompendo le comunicazioni terrestri con Catania. Nei primi giorni di marzo dell’anno seguente, il conte di Aidone riconquistò Fiumedinisi e condusse in catene, presso Blasco d’Alagona, la moglie e i figli di Francesco Palizzi, che qui erano rifugiati.
Nel marzo 1357 la terra del Castello di Fiumedinisi, con altri casali vicini fra cui Scaletta, si arrendeva nuovamente agli Angioini. Nell’ottobre dello stesso anno Giovanni Mangiavacca, signore di Fiumedinisi, attirato dalle lusinghe angioine, tentò di consegnare loro Francavilla e, a tale scopo, assediò anche Castiglione. Nel frattempo suo fratello Nicolò, che egli aveva lasciato come governatore dell’Università di Fiumedinisi, cercava di consegnare anche il loro possedimento al Re di Napoli.
Quest’ultimo, imponendo nuove tasse agli abitanti del Comune, si attirò l’odio dei cittadini, i quali invece di sottomettersi agli Angioini, lo catturarono e, legato, lo portarono a Taormina ove fu consegnato al conte Enrico Rosso che lo rinchiuse nella fortezza, restituendo Fiumedinisi alla fedeltà del Re di Sicilia ed esonerando gli abitanti dalle tasse.
Giovanni Mangiavacca, avuto sentore di ciò, per timore di incorrere nella vendetta del Re e di cadere nella mani del conte Enrico, come suo fratello, fuggì abbandonando Francavilla e l’assedio di Castiglione e cercò aiuto al Re di Napoli, pregandolo di prenderlo sotto la sua protezione.
Il Casale di Fiumedinisi venne successivamente riconquistato dagli uomini del Re di Napoli, ma Jacobello Alifia, signore del casale di Alifia vicino Rometta, nel 1360, per conto di Re Federico il Semplice, con molti uomini d’arme di Rometta e di Saponara, espugnò nuovamente Fiumedinisi. In cambio di questa importante missione ottenne dal Re il castello della Scaletta, i casali di Mili e di S. Stefano ed altre terre minori.
Re Martino e la Regina Maria, con privilegio del 15 maggio 1392, concessero il casale e il castello di Fiumedinisi, allora devoluto alla Regia Corte, a Tommaso Romano Colonna, già signore di Cesarò e del feudo di S. Lucia, per aver già condotto alla ubbidienza la città di Messina.
In reducendo scilicet, sono appunto le parole reali, praedictam Civitatem Messana ad fidei nostra cultum, ut pro meritis, a servitiis ipsum nobilem Thomasium nostra collationis, a gratia prosequamur impeditio.
In un privilegio del 27 maggio del 1343, che confermava una vendita fatta da Luciano De Paolis in data 14 settembre 1342, si citano i confini del feudo di Fiumedinisi senza alcuna esclusione, tranne i diritti del demanio. Viene altresì stabilita una clausola secondo cui, qualora taluno avesse preteso diritti sul medesimo possedimento, non avrebbe dovuto esperirli contro il concessionario ma contro il fisco.
Re Martino, in soli quattro anni, restaurò la regia sovranità e ridonò serenità alla popolazione. Tommaso Romano Colonna, suo fedele suddito, per i suoi servigi verso la corona, ricevette dal sovrano altri importanti privilegi. Possedette altresì le baronie di Savoca, S. Alessio, Gissia, Bissana, Cattafi e Favarotta.
Fu Strategoto di Messina nel 1393 e nel 1412 e venne nominato Gran Giustiziere del Regno con patente reale in data 23 dicembre 1398, ma nonostante tutto era analfabeta e quindi firmava per mano di Tommaso Crisafi. Si investì inoltre dei proventi del macello di Palermo, con privilegio dato a Catania il 6 giugno 1392. Re Martino gli concesse ancora, nel 1398, alcune terre di Licata. Fu signore di Mascalucia e di Calatabiano e quest’ultimo possedimento lo cedette, per ordine del Re, a Berengario de Cruillas, ricevendo in cambio il castello di Montalbano, con concessione data a Siracusa il 15 novembre 1396.
Dal Re Federico il Semplice, nel 1375, aveva avuto pure la concessione di costruire due banchi per la macellazione della carne a Messina, nel quartiere della Giudecca. Morì in Messina nel 1413 (testamento in Notar Giovanni Di Marco) lascando sei figli: Cristoforo il primogenito che ereditò la baronia di Cesarò, di Savoca e di Licata; Giovanni il secondogenito a cui assegnò Montalbano e che sposò Agata Filangeri; Guglielmo il terzogenito; Filippo a cui donò Fiumedinisi; Benedetto a cui lasciò la signoria del biscotto, sego e canapa di Palermo e la baronia di S. Alessio e, infine, Lucrezia che diede in sposa al barone Spadafora di Roccella.
Con Tommaso Romano Colonna inizia a Fiumedisi il dominio della illustre famiglia Colonna, che avrà fine con la morte di tutti i suoi discendenti.
NOTA: I testi sono tratti dal libro “I TESORI DI FIUMEDINISI” di Carlo Gregorio. Seconda edizione, anno 1993. Proprietà letteraria riservata. Tutti i diritti sono riservati all’autore dell’opera.
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