Storie di Sicilia
“FURCI SICULO ANNI 40-50” (i Ricordi di Mariano Spadaro in un libro – LE ESTATI)
DA: “LE ESTATI” – I primi costumi un po’ arditi per quei tempi erano portati soprattutto dalle “straniere” che venivano in villeggiatura, o dalla fidanzata di qualche emigrante che per far vedere il raggiunto … benessere insieme alla nuova macchina sfoggiava delle belle ragazze vestite in modo molto succinto. Le figlie degli emigranti non potevano farlo, i genitori non lo permettevano. Con queste ultime qualche piccolo flirt e nient’altro: anche allora attirava molto il fascino della ”forestiera”, (ovviamente questo deve essere coniugato anche al femminile). I pomeriggi si passavano in piazza a chiacchierare, a giocare a carte, a fare qualche passeggiata; a volte si andava in campagna, lungo “a saia tunnatula”, un canale di irrigazione con una trazzera ai lati che partendo da “nta costa”, in leggerissima ascesa, arrivava fino alla parte opposta del torrente oltre Pagliara.
Lungo il tragitto, in salita, individuavamo gli alberi con i primi frutti: fichi, uva, ciliegie che al ritorno raccoglievamo mettendoli nell’acqua per mangiarli freschi a valle. Naturalmente non arrivavano tutti, tanti rimanevano incastrati su qualche curva del canale o per qualche altro impedimento. A volte ci toccava scappare perché non eravamo i legittimi proprietari dei terreni dove raccoglievamo le suddette primizie; per noi erano terreni dei “nostri zii estranei”. Ah … mi sono dimenticato di dire come prendevamo in particolare “le ficazzane” (i fioroni) e i “girasi” (le ciliege). Spesso i contadini per proteggere questi prelibati frutti ponevano dei fasci di spine ben sistemati alla fine del fusto cioè all’inizio della ramificazione, ma noi risolvevamo il problema con molta facilità. Io che ero molto magro salivo in piedi sulle spalle del più robusto e così evitavamo l’ostacolo artificiale posto in essere dai proprietari. Mangiavamo anche quel tipo di ficodindia nano per vedere poi chi per primo faceva la pipì rossa.
Erano gli anni in cui molte famiglie furcesi per le ferie tornavano al paese natio. Una di queste era quella di Liu Briguglio, sposato con una delle due sorelle Allegra (l’altra sposata Latto) sempre di Furci. Lui, maestro elementare a Roma, veniva per tutto il periodo estivo. A suo figlio LiIlo (ora chirurgo plastico) noi ragazzi insegnavamo in dialetto tutte le parolacce possibili e lui piccolo con un misto romanesco-siculo di chi ancora non sa tanto parlare tirava fuori delle frasi bellissime. Succedevano anche fatti particolari ed uno di questi nel cinquantasei fece parlare tutto il paese. Una bella signora, molto alta, sulla quarantina della Svizzera tedesca, che parlava molto bene l’italiano, con due figli in tenera età, prese in affitto una casa. Venne subito notata anche da due giovanissimi del luogo, Lillo e Alfio che, volendo conoscere meglio … i due bimbi, finirono con il … conoscere bene la madre!!! La giovane età portò i ragazzi a raccontare in giro la loro avventura, con il risultato che in pochissimo tempo il tutto divenne di dominio pubblico. Ultimi a saperlo come al solito furono i familiari, in questo caso le madri. Una volta venute a conoscenza del fatto quella di Alfio andò a bussare alla porta della Svizzera. Il colloquio grosso modo avvenne così: “Sono la mamma di Alfio”. “Piacere signora.”, fu la risposta dell’altra. “Ma che piacere…gran but…!”. Immaginate gli strilli e gli improperi della genitrice! Denunce, esposti al sindaco fino a che la signora venne rimandata al suo paese con il foglio di via.
Quest’altro episodio invece accadde a Taormina, ma lo voglio raccontare lo stesso, vista la risonanza che ebbe a livello nazionale, regionale ma soprattutto provinciale. I meno giovani forse avranno sentito parlare “du luppinaro”. Piena estate: una turista amante della abbronzatura integrale soleva prendere il sole nuda su uno scoglio della spiaggia di Mazzarò. Tale comportamento non passò inosservato a tanti e un bel giorno “u luppinaro” le saltò addosso (non si è mai capito bene fino a che punto abbia portato a compimento il suo agognato progetto). Apriti cielo! Successe di tutto, divenne il fatto dell’estate! Tutti i giornali riportarono a caratteri cubitali quanto accaduto sulla rinomata spiaggia, con i lettori e gli stessi commentatori palesemente schierati. Quasi tutti gli uomini difendevano “u luppinaru” e anche tantissime donne che ritenevano non consono il comportamento della turista. Il relativo processo condannò giustamente lo …”stupratore”, ma per molto tempo tanti fecero il tifo per lui ed il “fattaccio” per l’intera estate fu l’argomento principe del giorno. La spiaggia era il centro dei nostri giochi. Quante interminabili partite di calcio a piedi nudi! Quattro sassi e qualche maglietta di cui ci liberavamo delimitavano le porte; a cinque reti si cambiava campo e a dieci si vinceva con rivincita ed eventuale bella. Alla fine i piedi erano rossi, c’era qualche bollicina sotto, qualche taglietto. Alcuni avevano dei calli, per questi era una cosa normale stare tutto il giorno a piedi nudi (così si risparmiavano le scarpe) e quindi non erano soggetti ai suddetti infortuni, anzi davano al pallone dei gran calci (… delle puntate)! Nelle ore più calde qualcuno scavava la fossetta fra la sabbia per non scottarsi i piedi; chi lo faceva non era un buon giocatore e spesso veniva schierato solo per fare numero; quelli che giocavano sempre non ne avevano bisogno. Poi, tutti in acqua e qualche volta…come ci aveva fatto mamma!.
Cordialmente, Mariano Spadaro
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