In Evidenza, Storie di Sicilia
IL BAROCCO SICILIANO (la Rinascita dopo i terremoti del 1693 e 1908)
Tradizionalmente gli studiosi hanno spesso ritenuto che l’adesione della Sicilia alle forme rinascimentali sia stata, nei tempi, in ritardo rispetto alle altre regioni italiane e molto condizionata, nei modi, dalle preesistenti tradizioni artistiche gotico-catalane o addirittura normanne, nel caso dell’architettura.
Tale adesione condizionata portò, nel caso dell’architettura ad una sovrabbondanza e sovrapposizioni di decorazioni, tanto che nell’architettura del primo XVI secolo, elementi decorativi classicheggianti, come i capitelli classici, convivevano in impianti architettonici di derivazione medievale, con elementi gotici, come gli archi a sesto acuto e le bifore, normanni e di derivazione ispanica.
Un esempio di tale commistione è la costruzione di Santa Maria di Porto Salvo nel 1536 progettata dall’artista rinascimentale Antonello Gagini ma completata con archi gotici da Antonio Scaglione. Invece un monumento come la Fontana Pretoria a Palermo, pienamente rinascimentale, fu però portata da Firenze. Il lento affermarsi del linguaggio rinascimentale era stato più evidente nella pittura e nella scultura che non nell’architettura. Lo scultore Domenico Gagini, aveva portato in Sicilia le novità della penisola, fondando una bottega ed una dinastia di artisti presente in moltissime imprese decorative nelle chiese di tutta l’isola. Lo stile dei Gagini si adattò comunque al gusto prevalente per una ricca decorazione.
Secondo alcuni autori, il barocco arriva in Sicilia con qualche decennio di ritardo rispetto a Roma ed agli altri centri di diffusione. Tuttavia nei primi decenni del XVII secolo alcune realizzazioni anticipano in qualche modo alcuni temi del barocco. Pur con un linguaggio architettonico riferibile al tardo manierismo ed al classicismo, tali esempi possiedono una delle caratteristiche specifiche del nuovo stile che si andava formandosi a Roma: il forte senso della teatralità, attuata mediante la ricerca prospettica e scenografica a scala urbanistica.
Il Primo Barocco Siciliano (XVII secolo)
Con gli autori e le opere sopra ricordate, la storia dell’architettura barocca nell’isola inizia ben prima del terremoto del 1693, nonostante alcuni autori spostino a dopo il 1650 circa i primi esempi di barocco architettonico in Sicilia, generalmente giudicati scarsi e poco significativi. Le cause di tale valutazione comprendono anche la distruzione di molte opere a causa di terremoti, rifacimenti, cause belliche e la contemporanea distruzione di molte fonti documentarie, che rendono difficile comprendere appieno e valutare accuratamente l’architettura del XVII secolo sull’isola.
Nonostante tali giudizi sono molte le architetture del periodo riferibili all’architettura romana ad esse contemporanee e perfettemante aggiornate al panorama architettonico della penisola. Secondo alcuni autori, è comunque evidente che già durante il XVII secolo, il Barocco nelle mani degli architetti e scultori locali stava già deviando, in senso decorativo, dal Barocco dell’Italia continentale.
Nella seconda parte del XVII secolo comincia inoltre l’attività del più importante degli scultori barocchi siciliani, Giacomo Serpotta, che con la sua scuola, decora a stucco gli interni di molte delle chiese del periodo.
GUARINI
Guarino Guarini fu l’eccezionale presenza esterna che dette una duratura impronta all’architettura siciliana introducendo elementi che saranno ripresi in seguito. Risiedette a Messina per un periodo non totalmente documentato e comunque dal 1660 al 1662 e vi realizzò la Chiesa della Santissima Annunziata, il Collegio dei Teatini, costruito però successivamente e la Chiesa di San Filippo Neri (Messina). Tutte le costruzioni sono andate distrutte durante il terremoto del 1908.
Con questi edifici Guarini introdusse, di fatto, il barocco in Sicilia tra molte perplessità dei contemporanei.. In particolare ebbero molti sviluppi futuri sull’isola la facciata della Chiesa della Santissima Annunziata a sviluppo verticale con vari ordini sovrapposti, sagoma piramidale e superficie mossa che farà da modello a molte chiese siciliane della Val di Noto. Altri elementi importanti furono la cupola che anticipava quelle poi realizzate a Torino, il campanile posto in facciata e gli spazi interni caratterizzati da stucchi bianchi.
Sempre per Messina progettò la Chiesa dei padri Somaschi, a pianta esagonale, rimasta a livello progettuale e nota grazie alle incisioni del suo trattato Architettura civile. Il progetto sembra anticipare le grandi cupole nervate poi realizzate da Guarini a Torino, anche se la datazione del progetto al 1660-1662 non sembra certa e potrebbe essere da posticipare.
TERREMOTO E MECENATISMO
Il grande terremoto siciliano del 1693 danneggiò gravemente cinquantaquattro città e paesi e 300 villaggi. L’epicentro del disastro fu nel Val di Noto, dove la città di Noto fu completamente rasa al suolo, mentre la città di Catania fu danneggiata in modo molto grave. Fu stimato che un totale di più di 100.000 persone uccise. Altre città che subirono gravi danni furono Ragusa, Modica, Scicli, Militello e Ispica. La ricostruzione iniziò quasi immediatamente.
La sontuosità dell’architettura che stava per sorgere dal disastro è connessa alla politica della Sicilia del tempo; la Sicilia era ancora ufficialmente sotto il controllo Spagnolo, ma in realtà era governata dalla sua aristocrazia autoctona. Questa era guidata dal Duca di Camastra, che gli Spagnoli avevano nominato viceré per appagare l’aristocrazia. È stimato che c’erano più aristocratici per metro quadrato che in qualsiasi altro stato. Nel XVIII secolo fu calcolato che c’erano 228 famiglie nobiliari, che fornivano alla Sicilia una classe di governo consistente di 58 principi, 27 duchi, 37 marchesi, 26 conti, 1 visconte e 79 baroni; il Libro Aureo della Nobiltà Siciliana (pubblicato per l’ultima volta nel 1926) ne elenca ancora di più. In aggiunta a questi c’erano i più rampolli cadetti delle famiglie con i loro titoli cortesi di nobile e barone.
L’architettura non era l’unica eredità dei Normanni. Il potere sul popolo (non esisteva una classe media stabile) fu anche fatto osservare tramite il sistema feudale, invariato sin dalla sua introduzione in seguito alla conquista Normanna del 1071. Così l’aristocrazia siciliana non aveva solo ricchezze ma anche vasta manodopera alle proprie dipendenze, fenomeno che al tempo era declinato in molte altre parti d’Europa.
NUOVE CITTA’
In seguito al sisma il programma di ricostruzione fu velocemente avviato, sotto la direzione del Duca di Camastra, vicario con pieni poteri per la ricostruzione, e del suo collaboratore, l’ingegnere militare Carlos de Grunembergh.
La fondazione di nuovi centri abitati in Sicilia non era nuova visto che tra la fine del XVI secolo e tutto il XVII secolo ne erano stati fondati, dai nobili titolari di feudi, un centinaio per ripopolare vaste aree di latifondo spopolate ed incrementare così la produzione agricola. Si tratta di cittadine, anche piuttosto grandi realizzate con impianti a scacchiera o comunque ortogonali, anche se ognuna con particolari caratteristiche: Vittoria, Leonforte, Cinisi, Palma di Montechiaro, Paceco.
La ricostruzione avvenne infatti spesso secondo uno schema razionale a griglia e quando fu possibile si preferì ricostruire i centri abitati in altri siti, tenendo conto di vari criteri, tra cui la volontà di non ricreare la struttura medievale fatta di ristretti vicoli, la necessità di avere piazze e strade principali ampie, la possibilità di erigere difese fortificate efficienti in un’epoca in cui era ancora presente la minaccia turca. Tali caratteristiche miravano anche a minimizzare i danni alla proprietà e alle vite umane in caso di probabili nuovi terremoti. Infatti nel 1693 le strade molto strette avevano reso più disastroso il terremoto. Architettonicamente i nuovi impianti urbanistici pianificati crearono la possibilità di ampie prospettive e scenografie urbane come quelle realizzate da Rosario Gagliardi a Noto. In genere si nota questo aspetto nelle città più estensivamente ripianificate di Caltagirone, Militello Val di Catania, Catania, Modica, Noto, Palazzolo, Ragusa, e Scicli.
Uno dei migliori esempi di questa nuova pianificazione urbana può essere visto a Noto (nella foto la Cattedrale di San Nicolò di Noto), la città ricostruita circa 10 km dal sito originario sul Monte Alveria. L’antica città in rovina, conosciuta come Noto Antica, può ancora essere visitata nel suo stato diroccato. Il nuovo sito prescelto era più pianeggiante di quello antico per facilitare un lineare sviluppo a griglia. Le strade principali procedono da est a ovest in considerazione dell’angolazione del sole. Questo esempio di pianificazione urbanistica si può attribuire direttamente ad un erudito aristocratico locale, Giovanni Battista Landolina; aiutato da tre architetti locali è responsabile di aver pianificato la città.
VACCARINI
Giovanni Battista Vaccarini era il principale architetto siciliano durante questo periodo. Egli arrivò sull’isola nel 1730 portando un personale amalgama delle idee del Bernini e del Borromini, e introdusse all’architettura dell’isola un movimento unificato e un gioco di linee curve che sarebbe risultato inaccettabile nella stessa Roma. Comunque i suoi lavori sono di qualità considerevolmente inferiore a quello che avrebbe seguito. Notevoli lavori di questo periodo erano le ali del XVIII secolo di Palazzo Biscari a Catania e della Chiesa di Sant’Agata del Vaccarini, sempre a Catania. Per questo edificio Vaccarini chiaramente attinse all'”Architettura Civile” di Guarino Guarini. È il suo frequente rifarsi a disegni affermati che rende l’architettura di questo periodo, pur opulenta, dotata di una qualità disciplinata, quasi imbrigliata. Lo stile di Vaccarini era destinato a dominare Catania per decenni.
Il pieno sviluppo della Barocco Siciliano: NOTO
Le vie della città sono intervallate da scenografiche piazze ed imponenti scalinate che raccordano terrazze e dislivelli. La unitaria ricostruzione produsse un tessuto urbano coerente e ricco di episodi architettonici. Venne utilizzata la tenera pietra locale, di colore tra il dorato e il rosato, riccamente intagliata. La ricostruzione avvenne unitariamente sotto la guida del duca di Camastra, che rappresentava a Noto il viceré spagnolo.
A differenza di quanto accade di solito nelle costruzioni barocche delle province del Sud Italia, come soprattutto a Lecce e, in Sicilia, a Catania, gli architetti che lavorano a Noto non puntano tutto sui motivi ornamentali, i quali restano sempre ben controllati, senza squilibri rispetto alle architetture nelle quali sono inseriti. Inoltre, gli architetti attivi a Noto, Rosario Gagliardi, Vincenzo Sinatra e Paolo Labisi, si impegnarono anche nella realizzazione di architetture elaborate, con l’impiego di facciate concave (come nella Chiesa del Carmine o in quella di San Carlo Borromeo al Corso), convesse (come la chiesa di San Domenico) o addirittura curvilinee, come nella torre campanaria del seminario. Il barocco di Noto pervade l’intera città: gli elementi barocchi non sono isolati all’interno di un contesto urbano caratterizzato da diversi stili, ma sono collegati tra di loro in modo da realizzare quella che è stata definita la “perfetta città barocca”. A tal proposito Ugo Ojetti sostenne: “Noto ai primi del Settecento è una delle nostre città sorte d’un colpo, pel fatto sembra d’una volontà sola, immagine precisa del gusto d’un’epoca. A visitarla, palazzi, chiese, conventi, teatro pare un monumento unico, tutto costruito nello stesso tufo giallo, nello stesso barocco, come dice bene il Fichera, fiammeggiante, con una grandiosità senza pause e una regalità senza avarizia”. Dell’impegno degli architetti netini per la creazione di grandi scenografie, in un’ottica barocca pienamente consapevole e non provinciale, si accorse pure un maestro dell’immagine come Michelangelo Antonioni, il quale in una scena de L’Avventura, girata a Noto, fa dire al protagonista, interpretato da Gabriele Ferzetti, intento ad ammirare la città dalla terrazza del campanile della chiesa di San Carlo al Corso: “Ma guarda che fantasia, che movimento. Si preoccupavano degli effeti scenografici. Che libertà straordinaria!”.
03 Febbraio 2012
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