Storie di Sicilia
Origini e diffusione della bachicoltura in Italia ed in Sicilia. La Via della seta
Qualcuno di voi avrà sicuramente avuto occasione di indossare una camicia, un foulard o una cravatta di seta. Qualcun altro, forse più avventuroso, avrà invece sentito parlare o letto di Marco Polo, della Via della Seta e dei fantastici viaggi dei mercanti in terra d’Oriente. Altri ancora, avranno sentito narrare di quando nelle nostre campagne si allevava il baco da seta e il bozzolo era lavorato nelle filande… Delle filande di Roccalumera abbiamo già parlato in altro articolo, ma qui vogliamo aggiungere alcuni dettagli sulle origini di questa antica “arte” ormai in via di estinzione, nonché sulle rotte commerciali che conducevano in Oriente in quella che fu chiamata: “La Via della Seta”.
Le origini della bachicoltura sono antichissime e molto spesso confuse tra i veli della leggenda. Se numerosi so, infatti, i riferimenti su antichi manufatti serici, alcuni dei quali risalenti addirittura al 6000 a.C., altrettanto vaghe ed imprecise risultano le testimonianze sull’addomesticamento del baco da seta. Secondo quanto riportato negli “annali delle prime quattro dinastie” di Confucio, il merito è da attribuirsi all’imperatrice Sillng Hsi, la quale attorno al 2500 a.C. intraprese tale attività nei suoi palazzi, imponendo a tutte le donne dell’impero di seguire i propri insegnamenti. Al di là di ogni riferimento cronologico resta comunque il fatto che per secoli la Cina risultò essere l’unico depositario della tecnica di allevamento del Filugello e il segreto della seta fu così gelosamente custodito da punire con pena capitale chi avesse osato rivelarlo.
In occidente la seta era conosciuta da diverso tempo, ma solo verso la metà del VI d.C. l’avvento del baco da seta iniziò a diffondersi nel bacino del Mediterraneo, interessando in particolare la Grecia, da dove Ruggero II nel 1140 importò in Sicilia il prezioso insetto. Il clima di questa regione favorevole sia al baco che al gelso, determinò un considerevole sviluppo dell’allevamento che ben presto si estese anche ad altre regioni meridionali.
Nell’Italia centrale e settentrionale il baco da seta arrivò più tardi a causa di un ambiente meno favorevole e una maggiore arretratezza del mondo agricolo. Tuttavia già nei secoli XII e XIII la bachicoltura era presente in Lombardia, in Emilia Romagna e nel Veneto, ma è nel periodo compreso tra il 1300 e il 1500 che il ciclo della seta conosce il suo momento d’oro. Da Lucca, l’arte della filatura e tessitura viene portata a Firenze, Milano, Bologna e Venezia. La Serenissima che allora regolava tutto, inquadrò tutti i setaioli in corporazioni, proibì l’importazione di stoffe di seta, la falsificazione delle stesse, regolò il numero dei telai per tessitore a testimonianza della notevole attività industriale e commerciale sviluppatasi nel settore. Sempre in questo periodo si registrarono i primi interventi per favorire lo sviluppo della gelsibachicoltura: a Firenze nel 1440 ed a Milano nel 1470 si impose l’impianto di un certo numero di gelsi ad ogni proprietario terriero.
In tale clima di entusiasmo e operosità, sostenuto dall’amore sempre crescente per lo sfarzo e per il lusso, la richiesta di seta sembrò non conoscere limiti. Oltre alla Francia anche altri paesi europei come l’Inghilterra e la Germania, sullo slancio dei risultati ottenuti nel nostro Paese, diedero il via tra il XVI e il XVII secolo ad una serie di esperimenti risoltisi però con risultati modesti a causa del clima non favorevole.
Parallelamente al diffondersi e all’aumentare degli allevamenti, anche gli studi e le ricerche si approfondirono. Le tecniche di allevamento e il governo dei bachi trovarono nuovi impulsi e razionalità per opera dell’appassionato ed illuminato ricercatore Vincenzo Dandolo, la cui “dandoleria” rimase per molti anni un esempio di bachicoltura nazionale. Bassi e De Filippi scoprirono gli agenti patogeni del calcino e della pebrina che avevano inflitto gravi danni alla bachicoltura. A Padova venne fondata la Stazione Bacologica Sperimentale con compiti di controllo della produzione di seme bachi, ricerca e sperimentazione. Berlese scoprì un rimedio biologico decisivo contro una cocciniglia, la Diaspis pentagono che minacciava di distruggere il patrimonio gelsicolo italiano, e in suo onore questo prezioso imenottero (Prospaltella Berle-sei) prese da lui il nome.
In questo alternarsi di fasi positive e negative, si arrivò agli inizi del secolo scorso. La produzione media annua si attestava sui 50.000.000 di Kg. grazie ad una certa stabilità del prezzo dei bozzoli e ad una serie di iniziative a tutela del settore. Siamo nel 1907, quando nasce la “Commissione d’inchiesta per le industrie bacologica e serica” che portò con la sua opera alla legge del 6 Luglio 1912 con la quale, tra le altre cose, si stanziarono dei fondi allo scopo di propagandare ed incentivare l’attività gelsibachicola. Ma allorchè si stavano per raccogliere i frutti di tale lavoro, lo scippo del primo conflitto mondiale e il successivo marasma del dopoguerra, resero vano ogni sforzo.
La bachicoltura conobbe così un periodo di grave crisi, segnato da una costante diminuzione della produzione che toccò il fondo nel 1019 con circa 20.000.000 di Kg. L’avvento del fascismo decretò una rapida ripresa del settore. La produzione media annua nel decennio 1921-1930 fu di 47.000.000 di Kg. con una punta record nel 1924 di 57.000.000 di Kg., quantità mai raggiunta nel nostro Paese. Il successivo conflitto mondiale e le ripercussioni del periodo post bellico determinarono una profonda trasformazione del settore bachi sericolo.
Il processo di ristrutturazione e industrializzazione dei settori dell’economia nazionale non potè fare a meno di modificare le condizioni che avevano consentito l’affermarsi e lo svilupparsi della bachicoltura. Il continuo esodo dalla campagna verso l’industria e i maggiori redditi dei settori secondario e terziario, determinarono un progressivo abbandono di quelle pratiche agricole che richiedevano un elevato assorbimento di manodopera. A questo si aggiunse un prezzo dei bozzoli insufficiente ma soprattutto instabile, l’estensione ed intensificazione della lavorazione meccanica del terreno, con la conseguente necessità di abbattimento dei gelsi, la comparsa e diffusione di fibre artificiali e il marcato interessamento da parte dell’industria di trasformazione che, trovando sul mercato internazionale disponibilità di materia prima a basso costo proveniente da paesi asiatici, non pensò di tutelare in alcun modo il prodotto interno.
Si dovette così assistere ad una costante diminuzione della produzione nazionale fino alle poche decine di migliaia di chilogrammi attuali, concentrate in alcune regioni quali Veneto, Friuli Venezia Giulia, Lombardia e Calabria. Sono questi, infatti, gli ultimi baluardi di una attività che mai come nel passato ha rischiato e rischia di scomparire. Ma sono anche la testimonianza della tenacia e della volontà di pochi innamorati del settore di salvaguardare un patrimonio culturale unico e un prodotto, la seta, che per la complessa armonia di qualità fisiche e chimiche e per l’incomparabile bellezza e nobiltà alla vista e al tatto, è, tra i prodotti tessili, insostituibile e intramontabile.
LA VIA DELLA SETA ORIENTE-MEDITERRANEO
L’antica, lunga rotta commerciale che nell’antichità, dall’età Greca e Romana e fino all’epoca della grande espansione Arabo-Islamica, collegava la Cina al Mediterraneo e per via marittima, Venezia e, attraverso lo Stretto di Messina, Genova, e ancora Bisanzio, Alessandria e i porti del Mediterraneo, fu chiamata “LA VIA DELLA SETA”, con una espressione moderna coniata dall’esploratore Ferdinand Von Richthofen, che nel secolo scorso si mosse lungo gli itinerari dell’Asia, della Persia e della Siria. L’espressione ebbe fortuna perché la seta rappresentò il prodotto più importante, insieme alle giade, le porcellane, le spezie, la cannella, il rabarbaro, le pelli pregiate, ecc. che dal Fiume Giallo arrivavano in Occidente, coprendo distanze che oscillavano intorno agli 8.000 chilometri. L’origine del commercio tra il Mar Cinese ed il Mediterraneo, generalmente lo si fa risalire al secondo secolo a.C.
Ma già qualche secolo prima, Alessandro Magno (356-323 a.C.) aveva cominciato ad aprire “La Via della Seta”.
Erede della dinastia degli Achemenidi – potente famiglia che regnò in Persia tra il 560 e il 330 a.C., iniziata con Achemene I, fondatore della dinastia, e finita con Arsete, comprende 12 re, tra i quali Ciro e Dario – coltivò un suo ambizioso disegno di monarchia universale. Soggiogata la Grecia, vinto Dario, conquistato l’Egitto, distrusse l’impero persiano; attraversò l’Indo e battè re Pero, divenuto poi suo alleato. Fondò un impero che dalla Macedonia e dal Mediterraneo Orientale si estendeva fino all’Indo, e spingendosi a Nord comprendeva i regni di Bactrina, Sogdiana e Gandhara: le odierne repubbliche del Pakistan, dell’Afganistan e dell’Uzbekistan.
Con la morte di Alessandro Magno – 323 a.C. – l’impero si frantumò tra i Diadochi, i “successori”. I territori, uniti con la conquista, si distaccarono, dando vita a regni ellenizzati, come Bactriana, ecc.
Qualche secolo dopo, nell’Iran Nord-Occidentale si formava un regno Parto indipendente. In Estremo Oriente il re Ch’eng, della dinastia Qin, con una serie di campagne militari, sottomise principati e ducati, fondando l’Impero Cinese, nel 221 a.C. abbandonò il titolo regio per assumere quello di Qin Shih Huang-ti, Primo Augusto Imperatore e creò un vasto e potente Stato unitario. Concepì un’opera di vaste dimensioni: La Grande Muraglia, a difesa dell’Impero dalle continue invasioni ad opera delle popolazioni nomadi dell’Asia del Nord. Agli inizi la Muraglia rappresentò il primo tratto della “Via della Seta” e fu utilizzata per gli scambi commerciali.
Tre dinastie Qun, Han, e Ming hanno costruito sezioni della muraglia nel corso dei secoli, dal III Sec. a.C. fino al XV. I Ming, in particolare hanno restaurato molte sezioni preesistenti. La Grande Muragli si estende per ventimila chilometri, dalla Mongolia interna fino alla regione dello Xinijiang, a Occidente.
La “Via della Seta”partiva da Xi’an, capitale della dinastia degli Han occidentali nella provincia dello Shaanxi dove confluivano prodotti e merci da Luoyang e dalle provincie orientali. Xi’an fu una delle più grandi città del mondo e capitale di undici dinastie e nei suoi dintorni, nel 1974, è stato scoperto il mausoleo dell’Imperatore Qui Shi Huang-ti, con accanto l’armata di terracotta, comprendente circa 8.000 statue di guerrieri e cavalli.
Da Xi’an l’itinerario raggiungeva Lanzhau, dove attraversava il Fiume Giallo e proseguiva per Yumen passando per la regione del Kansu, fino a raggiungere Anxi. Qui gli itinerari si biforcavano: uno verso Settentrione, raggiungeva Hami e, passando a Nord dei monti Trien Shan, Turfan, sul confine Occidentale della grande depressione omonima situata a 150 metri sotto il livello del mare, Urumchi, capoluogo del Sin Kiang e centro culturale della regione; toccava Kuldja, seguiva la valle dell’Lli fino ad Alma Ata, nel Kazakistan, attraversava la provincia di Fergana e passato il fiume Sjrdarja giungeva a Samarcanda nella regione Sogdiana.
Samarcanda, di origine Achemenide, conquistata dagli Arabi nel 712, rifiorì sotto la dominazione mongola, divenendo la capitale del regno di Temerlano, conserva tuttora l’anima del commercio. Produce tappeti e pellicce di Astrakan e li esporta in tutto il mondo.
Di là raggiungeva a Merv l’impero partico, oggi stato del Turkmenistan, nato nel 1991, dalla frantumazione dell’impero sovietico, al pari degli Stati vicini dell’Uzbekistan, Kirghizistan, Kazakistan e Tagikistan.
L’itinerario meridionale, invece, portava da Anxi al lago salato Lop Nor, passando da Dunhuang, (importante centro di diffusione di diffusione del Buddismo in Cina), vi si trovavano le grotte di Mogao o dei mille Buddha costruite dopo il 366 d.C. e scoperte all’inizio del secolo scorso. Qui di nuovo si poteva scegliere tra due vie. Una, seguendo il piedi monte meridionale dei Tien Shan – “Montagne celesti” attraverso le oasi di Kuqa e Aksu, conduceva a Kashgar, all’estremità occidentale della depressione desertica del Tarim.
L’itinerario meridionale che dal lago Lop Nor correva lungo il margine settentrionale dei monti Kun Lun, attraversava le città di Miran e di Nija nel Khotan e proseguiva verso Yarkand e i passi del Pamir oppure verso il Kashimir, i mercati di Taxila, (capitale di un vasto territorio che divenne ben presto sede di un mercato importantissimo, nonché luogo di incontro e di scambio tra carovane provenienti da tutta l’Asia e le valli dell’India), evitando di percorrere il pericoloso deserto del Taklimakan.
Un’altra pista meno frequentata partiva da Auchsi e passava a Nord dei monti T’lenshan, attraverso la valle Di’lei e il Zengana, per ricongiungersi con la carovaniera principale a Ko Konu. In questo punto non ben precisato di questa regione, probabilmente a Darant Khurgan, Plivio il Vecchio collocò una Torre di Pietra, dove i mercanti persiani ed orientali si incontravano per scambiarsi le loro merci.
I diversi itinerari si riunivano tutti a Kashgar nel bacino del Tarim. A Kashgar era possibile scegliere di nuovo tra due itinerari: quello settentrionale attraversava la catena del Tien Shan, per proseguire nel fertile bacini di Fergana e nella valle del Sjrdarja a Samarcanda, a Buchara ed a Merv. Quello meridionale, che attraversava il Pamir e conduceva in Afghanistan a Bactra, capitale del regno ellenistico di Bactriana e nella valle dell’alto Amudarja. Toccava Herat, la principale cittàdell’Afghanistan, antichissima capitale della dinastia Timurade, i discendenti di Tamerlano. La via più diretta, superata la catena del Pamir a Irkestan proseguiva verso Sud-Ovest lungo la Valle degli Alaj, sino all’Amudarja. Superato il fiume attraversava la Bactriana e raggiungeva Merv. Da Merv l’itinerario proseguiva per Damghaan, a Sud-Est del Caspio attraverso la catena montuosa dell’Elburz, passava per Ragae, a Sud dell’attuale Teheran, per Mamadan, l’antica Ecbatana, capitale dei Medi e poi residenza estiva di Dario il Grande; proseguendo lungo gli altopiani dell’Iran fino a Selducia sul Tigri. Superato il Tigri, la “Via della Seta” correva lungo l’Eufrate fino a raggiungere in Siria, Palmira, (oggi città morta ma che aveva raggiunto il massimo splendore tra il II ed il III secolo per le sue attività commerciali), e Damasco, polo estremo della via della seta, centro strategico carico di storia e cerniera dei traffici tra l’Oriente ed il Mediterraneo. Funzione, peraltro, che divideva con Aleppo. In Siria e nell’odierno Libano aveva i suoi sbocchi nei porti del Mediterraneo: Antiochia, Laias, Tripoli, Sidone e Tiro. Ma la “Via della Seta” continuava seguendo anche le vie marittime fino a raggiungere Bisanzio, Venezia, Genova e Alessandria.
NOTA: I testi sono tratti dalle brochure di un corso sul turismo svoltosi nel giugno 2009.
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