Storie di Sicilia
AUSTERITY ANNI ’70: STORIA DI UNA CRISI CHE FECE RIFLETTERE
Austerity, un termine che oggi torna in voga. È stato un periodo – così chiamato – a cavallo tra il 1973 ed il 1974, durante il quale molti governi dei Paesi occidentali, compreso quello italiano, furono costretti ad emanare disposizioni volte al drastico contenimento del consumo energetico, in seguito allo choc petrolifero (aumento repentino del prezzo del greggio nel 1973), causato da alcuni fattori politico-economici internazionali. Dicembre 1973: Nel giorno dello Yom Kippur, ricorrenza ebraica dell’espiazione, l’Opec, associazione che raggruppa i Paesi produttori (al tempo composti esclusivamente da sauditi e dintorni), decretò l’embargo deciso dagli sceicchi dopo la guerra arabo-israeliana. L’occidente scoprì la sua debolezza, la totale dipendenza da quello che s’iniziava a chiamare oro nero.
INIZIARONO LE “DOMENICHE A PIEDI”
Senza i derivati del petrolio, si fermò tutto. I trasporti, l’industria, perfino la vita quotidiana. Fu uno shock collettivo che colpì l’Europa come gli USA e già nefaste profezie ad opera di esperti dell’epoca, lanciarono l’allarme: Le disponibilità di petrolio si sarebbero esaurite entro una ventina d’anni. Qualche buontempone, arrivò a teorizzare la necessità per la Ferrari di cessare la produzione di supercar, per dedicarsi ai più utili trattori. Intanto, l’Italia del 1973 non se la stava passando tanto bene: scioperi e tensioni sociali scuotevano il Paese. In febbraio, le Brigate Rosse rapivano a Torino un sindacalista. La lira usciva dal “serpente monetario” per poter fluttuare liberamente nei cambi con le valute forti. In marzo, gli operai Fiat occuparono Mirafiori. In maggio, un attentato alla questura di Milano provocava quattro vittime. In giugno cadeva il Governo Andreotti, sostituito da quello di Rumor. Scoppiò anche l’epidemia di colera a Napoli, Bari e Palermo. Su tutto questo piombò la crisi petrolifera, alla quale il Governo reagì introducendo nel nuovo linguaggio un nuovo termine: austerity. La parola d’ordine era risparmiare, perché la bolletta energetica si era fatta insostenibile. Il 2 dicembre fu la prima “domenica a piedi”.
Non fu certo l’ultima, visto che, quarant’anni dopo, ma per motivazioni di inquinamento, ce le impongono ancora. Lo scenario delle città divenne spettrale. Strade e autostrade divennero deserte, ma poi proliferarono le stravaganze: c’era chi girava in pattini, chi passeggiava a cavallo, chi semplicemente in bicicletta. Il blocco domenicale, veniva sostituito nell’aprile del 1974, da un’altra iniziativa ancor oggi familiare: la circolazione a targhe alterne.
AL FREDDO E AL BUIO PER OBBLIGO ENERGETICO
A cambiare in quell’inverno ormai lontano, furono le abitudini italiche. L’intensità delle luci fu abbassata. Le insegne dovevano rimanere spente, bar e ristorante chiudere entro mezzanotte, i programmi televisivi terminare entro le 23.00 col telegiornale anticipato alle 20. In auto bisognava rallentare l’andatura: 100 Km/h, al massimo, sulle strade extraurbane, 120 in autostrada. Del resto, l’embargo rese il prezzo della benzina quasi insostenibile, che aumentò di botto del 30 %: la normale passò da 152 a 190 lire al litro, la super da 162 a 200, il gasolio da 80 a 113.
Con i primi del ’74 il Paese tornò a una sorta di normalità. Fatta da crisi di Governo (Rumor successe a se stesso), azioni clamorose ad opera delle Brigate Rosse, attentati terroristici (piazza dello Loggia, l’Italicus). Ma intanto, gradualmente, svanivano i timori di restare senza petrolio: la convinzione che le riserve potessero esaurirsi prima che il mondo riuscisse a scoprire delle alternative energetiche, finì in secondo piano. Non a torto. Infatti, nonostante la produzione mondiale sia passata, tra il ’72 e il 2012, da 2,5 a oltre 4 miliardi di tonnellate, nello stesso periodo le riserve planetarie stimate sono cresciute da 91 a 234 miliardi di tonnellate. Nuove tecniche di estrazione e la scoperta di inediti giacimenti, più difficili da sfruttare ma non meno ricchi, hanno allontanato da tempo il timore di un prosciugamento delle risorse.
IL CONSUMO ENERGETICO ALLA BASE DELLA PROGETTAZIONE AUTOMOBILISTICA
Ciò non vuol dire che quanto verificatosi nel 1973 non abbia portato a mutamenti significativi. Anzi, la prima grande crisi petrolifera fece da detonatore a un cambiamento epocale della progettazione e dello sviluppo delle automobili. Il consumo, di cui ai tempi ben pochi s’interessavano, passò immediatamente in testa alle priorità dei progettisti. Modelli già pronti per la produzione (come l’Alfa 6), furono bloccati o cancellati, i designer cominciarono ad occuparsi di aerodinamica, affilando i frontali, arrotando le fiancate, e rinunciando alle “code tronche”. Nel frattempo, i rapporti del cambio si allungavano, gli impianti di iniezione elettronica cominciavano a prendere il posto dei voraci carburatori e il diesel iniziava a farsi strada per esplodere poi negli anni ’80. Fu un percorso ad ostacoli: fra auto che divenivano sempre più grandi (e pesanti), e una legislazione anti inquinamento che non sempre viaggiava a pari passo con la ricerca del minor consumo. Basti pensare al lavoro sui motori a carca magra, spazzato via nel momento in cui si rese inevitabile l’adozione del catalizzatore. I risultati, in ogni caso non sono mancati, se è vero che una 127 del 1971 (a 120 Km/h) percorreva 13 km con un litro e un’odierna Punto TwinAir da 85 cavalli (il doppio della potenza dunque), riesce a coprirne (sempre a 120 Km/h) 14,7.
LA CRISI FINANZIARIA ODIERNA: NIENTE SOGNI TRANQUILLI
Tuttavia, a quarant’anni di distanza sentiamo ancora parlare di austerity, anche se stavolta la colpa non è degli sceicchi, ma dell’enorme architettura costruita in folli anni deregulation finanziaria. Anni nei quali moti Paesi sono usciti con bilanci talmente dissestati da rischiare di trascinare al tracollo l’intera economia europea. Oggi, i signori dell’austerity si chiamano Fondo monetario internazionale e Banca centrale europea con le loro draconiane ricette per tamponare le falle apertesi nelle finanze statali. Va da se, che è impossibile fare paragoni sensati fra il mondo di quarant’anni addietro, quando lo sviluppo economico era tutto concentrato in Occidente, e quello odierno, in cui a farla da padrone sono i Paesi e mercati asiatici. Ma almeno per il petrolio è tutto sotto controllo? Non tanto, almeno per l’Italia. Sebbene al momento le stime sulle riserve sono ben più confortanti di quelle, catastrofiche, che agitavano gli anni ’70, dal momento che in cima all’elenco dei nostri fornitori, figura tutt’ora una Libia che definire instabile è poco, c’è da stare poco allegri.
04 Novembre 2013
“… la mia sola risposta era si, sissignore Padrone Eccellenza! …”
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