Storie di Sicilia
Da “Il giorno della civetta”: perchè? hanno sparato?
Solo apparentemente l’episodio narrato da Leonardo Sciascia può sembrare gustoso, persino divertente: di qua un maresciallo dei carabinieri che, chiamato in fretta per un “morto ammazzato”, cerca di comprendere quanto è accaduto e interroga i presenti alla sparatoria; di là una folla di reticenti, sornioni, spaventati, smemorati e senza lingua. La giustizia è impotente dinanzi a quel muro di silenzio e la “mafia“, finirà ancora una volta per avere buon gioco.
Ma vien voglia di chiedersi: perché chi ha visto e chi ha udito non aiuta il maresciallo nelle sue indagini? Perché non ha il coraggio di parlare? Forse che tutti sono complici dell’assassino? No. Per carità! Ma il siciliano non ha fiducia nella giustizia dello Stato, da secoli giudicato ingrato o nemico. Invece ha paura della “mafia” e conosce a menadito il codice severissimo dell’ “onorata società”. Così, timoroso, ammutolisce, e quasi per vendicarsi di non essere nessuno, canzonando domanda a sua volta, con aria tonta: “Perché? Hanno sparato?
L’autobus stava per partire, rombava sordo con improvvisi raschi e singulti. La piazza era silenziosa nel grigio dell’alba, sfilacce di nebbia ai campanili della Matrice: solo il rombo dell’autobus e la voce del venditore di panelle, panelle calde panelle, implorante ed ironica. Il bigliettaio chiuse lo sportello, l’autobus si mosse con un rumore di sfasciume. L’ultima occhiata che il bigliettaio girò sulla piazza, colse l’uomo vestito di scuro che veniva correndo; il bigliettaio disse all’autista – un momento – e aprì lo sportello mentre l’autobus ancora si muoveva. Si sentirono due colpi squarcianti: l’uomo vestito di scuro, che stava per saltare sul predellino, restò per un attimo sospeso, come tirato su per i capelli da una mano invisibile; gli cadde la cartella di mano e sulla cartella lentamente si afflosciò.
Il bigliettaio bestemmiò: la faccia gli era diventata colore di zolfo, tremava. Il venditore di panelle, che era a tre metri dall’uomo caduto, muovendosi come un granchio cominciò ad allontanarsi verso la porta della chiesa. Nell’autobus nessuno si mosse, l’autista era come impietrito, la destra sulla leva del freno e la sinistra sul volante. Il bigliettaio guardò tutte quelle facce che sembravano facce di ciechi, senza sguardo; disse – l’hanno ammazzato – si levò il berretto e freneticamente cominciò a passarsi la mano tra i capelli; bestemmiò ancora. – I carabinieri – disse l’autista – bisogna chiamare i carabinieri.
Si alzò ed aprì l’altro sportello – ci vado – disse il bigliettaio. Il bigliettaio guardava il morto e poi i viaggiatori. C’erano anche donne sull’autobus, vecchie che ogni mattina portavano sacchi di tela bianca, pesantissimi, e ceste piene di uova; le loro vesti stingevano odore di trigonella, di stallatico, di legna bruciata; di solito la stimavano e imprecavano, ora stavano in silenzio, le facce come dissepolte da un silenzio di secoli.
– Chi è? – domandò il bigliettaio indicando il morto. Nessuno rispose. Il bigliettaio bestemmiò, era un bestemmiatore di fama tra i viaggiatori di quella autolinea, bestemmia- va con estro; già gli avevano minacciato il licenziamento; chè talele era il suo vizio alla bestemmia da non far caso alla presenza di preti e monache sull’autobus. Era della provincia di Siracusa, in fatto di morti ammazzati aveva poca pratica: una stupida provincia, quella di Siracusa; perciò con più furore del solito bestemmiava.
Vennero i carabinieri, il maresciallo nero di barba e di sonno. L’apparire dei carabinieri squillò come allarme nel letargo dei viaggiatori: e dietro al bigliettaio, dall’altro sportello che l’autista aveva lasciato aperto, voltandosi indietro come a cercare la distanza giusta per ammirare i campanili, si allontanarono verso i margini della piazza e, dopo un ultimo sguardo, svicolarono. Di quella lenta raggiera di fuga il maresciallo e i carabinieri non si accorgevano.
Intorno al morto stavano ora una cinquantina di persone, gli operai di un cantiere-scuola ai quali non pareva vero di aver trovato un argomento così grosso da trascinare nell’ozio delle otto ore. Il maresciallo ordinò ai carabinieri di far sgombrare la piazza e di far risalire i viaggiatori sull’autobus: e i carabinieri cominciarono a spingere i curiosi verso le strade che intorno alla piazza si aprivano, spingevano e chiedevano ai viaggiatori di andare a riprendere il loro posto sull’autobus. Quando la piazza fu vuota, vuoto era anche l’autobus; solo l’autista e il bigliettaio restavano.
– E che – domandò il maresciallo all’autista – non viaggiava nessuno oggi? – Qualcuno c’era – rispose l’autista con faccia smemorata. – Qualcuno – disse il maresciallo – vuol dire quattro cinque sei persone: io non ho mai visto questo autobus partire, che ci fosse un solo posto vuoto.
– Non so – disse l’autista, tutto spremuto nello sforzo di ricordare – non so: qualcuno, dico, così per dire; certo non erano cinque o sei, erano di più, forse l’autobus era pieno… Io non guardo mai la gente che c’è: mi infilo al mio posto e via… Solo la strada guardo, mi pagano per guardare la strada.
Il maresciallo si passò sulla faccia una mano stirata dai nervi. – Ho capito – disse – tu guardi solo la strada; ma tu – e si voltò inferocito verso il bigliettaio – tu stacchi i biglietti, prendi i soldi, dai il resto: conti le persone e le guardi in faccia… E se non vuoi che te ne faccia ricordare in camera di sicurezza, devi dirmi subito chi c’era sull’autobus, almeno dieci nomi devi dirmeli… Da tre anni che fai questa linea, da tre anni ti vedo ogni sera al caffè Italia: il paese lo conosci meglio di me…
– Meglio di lei il paese non può conoscerlo nessuno – disse il bigliettaio sorridendo, come a schermirsi da un complimento.
– E va bene – disse il maresciallo sogghignando – prima io e poi tu: va bene… Ma io sull’autobus non c’ero, chè ricorderei uno per uno i viaggiatori che c’erano: dunque tocca a te, almeno dieci devi nominarmeli.
– Non mi ricordo – disse il bigliettaio – sull’anima di mia madre, non mi ricordo: in questo momento di niente mi ricordo, mi pare mi pare che sto sognando.
– Ti sveglio io ti sveglio – s’infuriò il maresciallo – con un paio di anni di galera ti sveglio… – s’interruppe per andare incontro al pretore che veniva. E mentre al pretore riferiva sulla identità del morto e sulla fuga dei viaggiatori, guardando l’autobus, ebbe il senso che qualcosa stesse fuori posto o mancasse: come quando una cosa viene improvvisamente a mancare alle nostre abitudini, una cosa che per uso o consuetudine si ferma ai nostri sensi e più non arriva alla mente, ma la sua assenza genera un piccolo vuoto smarrimento, come una intermittenza di luce che ci esaspera; finchè la cosa che cerchiamo di colpo nella mente si rapprende.
– Manca qualcosa – disse il maresciallo al carabiniere Sposito che, col diploma di ragioniere che aveva, era la colonna della Stazione dei Carabinieri di S. – manca qualcosa o qualcuno…
– Il panellaro – disse il carabiniere Sposito. – Perdio: il panellaro – esultò il maresciallo, e pensò delle scuole patrie “non lo danno al primo venuto il diploma di ragioniere”.
Un carabiniere fu mandato di corsa ad acchiappare il panellaro: sapeva dove trovarlo, chè di solito, dopo la partenza del primo autobus, andava a vendere le panelle calde nell’atrio delle scuole elementari. Dieci minuti dopo il maresciallo aveva davanti il venditore di panelle: la faccia di un uomo sorpreso nel sonno più innocente.
– C’era? Domandò il maresciallo al bigliettaio, indicando il panellaro. – C’era – disse il bigliettaio guardandosi una scarpa. – Dunque – disse con paterna dolcezza il maresciallo – tu stamattina, come al solito, sei venuto a vendere panelle qui: il primo autobus per Palermo, come al solito…
– Ho la licenza – disse il panellaro. – Lo so – disse il maresciallo alzando al cielo gli occhi che invocavano pazienza – lo so e non me ne importa della licenza; voglio sapere una cosa sola, me la dici e ti lascio andare a vendere le panelle ai ragazzi: chi ha sparato?
– Perché? – domandò il panellaro curioso – hanno sparato?
(da: “Il giorno della civetta” di Leonardo Sciascia – ed. Einaudi).
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