Storie di Sicilia
Garibaldi, Spada della rivoluzione in Italia (comm.to da Domenico Bonvegna)
Il 2° capitolo del libro, “Il Mito di Garibaldi”, di Francesco Pappalardo, Sugarcoedizioni, esamina il quadro politico che ruota intorno alle gesta del nizzardo. Il fallimento dei moti rivoluzionari mazziniani, del 1843-44, fa venire meno l’opzione repubblicana, mentre avanza quella federalista, ritenuta più realistica, rispetto alla prospettiva unitaria e comunque da attuare gradualmente, salvaguardando l’autonomia, sia del Regno delle due Sicilie che dello Stato Pontificio. Pertanto, si prospettano le soluzioni sostenute da Vincenzo Gioberti, del beato Antonio Rosmini, nonché quelle repubblicane e rivoluzionarie dei milanesi Carlo Cattaneo e Giuseppe Ferrari. Anche il papa Pio IX propone una Lega doganale italiana.
Interessante la prospettiva di Rosmini nel saggio “Sull’unità d’Italia”, osserva che “ogni progetto politico deve partire dalle considerazioni dell’Italia reale, con le sue differenze geografiche, la varietà delle stirpi, le differenti consuetudini, i dialetti e i diversi reggimenti politici”.
Intanto dopo il breve periodo dell’equivoco del Papa “liberale”, creato ad arte dalle varie lobby rivoluzionarie, con l’assassinio del ministro Pellegrino Rossi, nasce la Repubblica Romana e Pio IX è costretto a rifugiarsi a Gaeta. In poco tempo i rivoluzionari, su iniziativa di Zambianchi e di Garibaldi, cominciano a perseguitare e uccidere numerosi sacerdoti. Dappertutto si verificano violenze e assassinii. Gli storici hanno potuto affermare che la Repubblica a Roma è nata grazie all’apporto di migliaia di repubblicani che giunsero da tutte le parti del mondo, pochissimi i romani che l’hanno sostenuta.
Con l’arrivo delle truppe di Luigi Napoleone, si conclude l’esperienza repubblicana di Roma. Garibaldi e compagni sono costretti a fuggire, nella ritirata sono attaccati dalla popolazione civile, e Garibaldi, in circostanze poco chiare perde la moglie Anita. Nel 1850 Garibaldi si trasferisce a New York, accolto da esuli politici italiani e dai massoni.
Intanto nel Regno di Sardegna prende corpo una legislazione anticlericale, inizia la persecuzione del clero, si arrestano i parroci più critici. Entra in scena Camillo Benso conte di Cavour, che fa del Regno di Sardegna un punto di riferimento del movimento liberale e dei moderati unitari. Cavour, imparentato con finanzieri ginevrini di origine ugonotta e vicino ad ambienti massonici, divenuto presidente del Consiglio dal 1852, continua l’opera in modo più radicale: accoglie nel regno dissidenti politici espatriati, rivoluzionari, massoni, militari, tecnici e intellettuali e, alleandosi con la sinistra di Urbano Rattazzi (1808-1873), sopprime le comunità religiose ritenute “non produttive”.
Con gli arresti dell’arcivescovo di Torino, mons. Luigi Fransoni e dell’arcivescovo di Sassari, mons. Alessandro Domenico Varesino e l’espulsione dal regno dell’arcivescovo di Cagliari, mons. Giovanni Emanuele Marongiu Nurra, segnano l’inizio della persecuzione violenta nei confronti degli uomini di Chiesa. Nel discorso alla Camera dell’11 gennaio 1855 il conte Solaro della Margarita denuncia gli “(…)atti violenti, illegali commessi contro varie case religiose prese di assalto, con apparato d’armi, di nottetempo, quasi covi di malandrini”, definendo la soppressione delle corporazioni religiose “un sacrilego latrocinio”.
Nel 1854 Garibaldi ritorna in Italia, e dopo aver ritenuto sterile e fallimentare l’azione terroristica e insurrezionale, si converte alla prospettiva unitaria imperniata sul Regno di Sardegna: “In Piemonte vi è un esercito di quaranta mila uomini, ed un re ambizioso”. Così secondo Pappalardo, “la scelta di Garibaldi si rivela un fattore decisivo nel realizzare la convergenza temporanea delle due correnti rivoluzionarie, quella insurrezionale e repubblicana e quella ‘legalitaria’ e sabauda del conte di Cavour”.
Naturalmente la politica italiana dipende dagli avvenimenti europei, in particolare dagli scontri tra la Francia, l’Inghilterra e l’Impero Russo. Cavour cerca di trarne vantaggi per la sua politica di espansione nella penisola italiana, così riesce a far prendere in considerazione il suo disegno di espellere l’impero asburgico dalla penisola italiana e di procedere ad “annessioni parziali a vantaggio del Regno di Sardegna” (p. 118). Incontra quindi Giuseppe La Farina (1815-1863), fondatore della Società Nazionale, con cui elabora, con regolarità ma in segreto, piani rivoluzionari, ed entra in contatto anche con Garibaldi, nella speranza di realizzare fatti compiuti che la diplomazia europea non sarebbe riuscita a fermare.
Il fallimento della spedizione nel Cilento di Carlo Pisacane convince altri democratici e repubblicani a prestare attenzione alla linea realistica di Garibaldi di fare la Rivoluzione attraverso la casa regnante sabauda. Per il momento a Mazzini politico si può “cantare il requiem aeternam”.
Il terzo capitolo del libro approfondisce il contributo del Generale alla realizzazione del progetto unitario, dalla spedizione dei Mille all’invasione degli Stati della Chiesa. Della spedizione in Sicilia, punto debole del regno borbonico, si occupa l’esule Francesco Crispi. Infatti in Sicilia, era presente una certa aspirazione autonomistica e poi c’era un’aristocrazia liberaleggiante.
Nel frattempo la Società Nazionale si occupa dei finanziamenti — fondi consistenti giungono da New York e da ambienti massonici —, del reclutamento e delle armi: ben ventuno spedizioni porteranno in Sicilia quindicimila uomini e undicimila fucili, a bordo di navi battenti bandiera statunitense e protette a distanza dalle unità dell’ammiraglio Carlo Pellion conte di Persano (1806-1883).
Il 5 maggio 1860 Garibaldi salpa da Quarto e sei giorni dopo sbarca a Marsala. L’azione militare è favorita anche dal tradimento di alcuni alti ufficiali borbonici, allettati da promesse di avanzamento di carriera fatte loro dagli agenti sardi. A Calatafimi Garibaldi è vittorioso a causa dell’imperizia del generale Francesco Landi (1792-1861), già cospiratore carbonaro, mentre il generale Ferdinando Lanza (1785-1865), comandante delle forze borboniche nell’isola, pur in posizione di forza, tratta la resa con Garibaldi, trascurando le difficoltà in cui questi si dibatte: la chiamata alle armi dei siciliani fallisce; nelle campagne regna il caos e si registrano l’occupazione di terre e una lunga serie di violenze, fra cui il massacro di Bronte, compiuto da Gerolamo “Nino” Bixio (1821-1873) per salvare i possedimenti inglesi della Ducea di Bronte.
Mi fermo, al prossimo intervento.
S. Teresa di Riva ME, 18 agosto 2013 – S. Elena imperatrice.
DOMENICO BONVEGNA
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