Storie di Sicilia
Il Dialetto siciliano: La nostra memoria storica
Università di Catania. Da un “Bollettino di Ateneo” del Gennaio 2007, estrapoliamo alcune dichiarazioni nonchè nozioni riguardanti il Dialetto Siciliano: “Dai test che all’inizio di ciascun anno accademico somministriamo agli studenti che scelgono di frequentare un corso di Dialettologia Siciliana risulta che è in costante aumento la percentuale dei giovani che dichiarano di avere una competenza passiva del dialetto, o che lo usano raramente e solo in particolari situazioni, perché non ne hanno la piena padronanza.
Quasi sempre non sono immigrati da altre regioni italiane, o da altre nazioni, ma nati e vissuti in Sicilia, ai quali l’ambiente familiare e anche quello scolastico hanno impedito (o addirittura proibito) per una ingiustificata dialettofobia di apprendere il dialetto come prima lingua. E ciò è stato fatto a fin di bene, seguendo l’errato presupposto che la parlata dialettale ostacoli l’apprendimento dell’italiano e, quindi, condizioni in senso negativo i risultati scolastici.
Questi giovani sono spesso convinti di conoscere bene la lingua italiana, ma sottoposti ad accurate verifiche dimostrano notevoli incertezze e vistose lacune in campo fonetico, morfosintattico e lessicale. Ignorano, infatti, i termini appropriati per indicare cose o attrezzi che si riferiscono alla vita materiale, essendo la loro competenza della lingua italiana quasi esclusivamente di tipo letterario e libresco. Le loro frasi, inoltre, rispecchiano spesso la sintassi dialettale e la pronunzia tradisce immediatamente l’origine isolana, sia per l’intonazione tipica , sia per l’articolazione di alcuni fonemi come, per es., la pronuncia cacuminale di tr e di str (treno, strada, ecc.), l’uso improprio di zeta sorda e di zeta sonora (si pronunziano come sonore molte zeta che invece sono sorde: zucchero, zucca, zucchina, zuppa, ecc.).
L’italiano di questi giovani è perciò un “italiano regionale” che ha bisogno di molto impegno per essere sfrondato dei numerosi solecismi (a) e per raggiungere il livello di un buon “italiano standard”.
Inoltre, coloro che non hanno appreso il dialetto come prima lingua non hanno avuto la possibilità di essere bilingui fin dalla più tenera età, non hanno esercitato, cioè, la capacità di passare da un codice linguistico ad un altro senza sgradevoli interferenze, cosa che è oggi di fondamentale importanza nella nostra comunità europea plurilingue.
Ma oltre a questo hanno subito un danno ben più grave, perché non sono più partecipi di quell’immenso bagaglio di sapienza popolare, di cultura, di tradizioni e di storia, che attraverso il dialetto viene trasmesso di generazione in generazione.
Il siciliano, ad esempio, è la continuazione della lingua latina penetrata nell’Isola dopo la conquista romana avvenuta nel terzo secolo in seguito alle guerre puniche (264-211 a. C.). Le differenze dialettali che riscontriamo nelle varie zone della Sicilia sono dovute in massima parte agli influssi delle lingue di sostrato, parlate dalle popolazioni che abitavano nell’Isola prima della venuta dei Latini (Siculi, Sicani, Elimi, Punici e Greci). Anche le lingue di superstrato, parlate da quei popoli che per un periodo più o meno lungo occuparono la Sicilia dopo la caduta dell’Impero Romano (Bizantini, Arabi, Normanni, Catalani, Casigliani), hanno contribuito ad accrescere le differenze tra i subdialetti isolani. Le tracce delle prime si possono riscontrare soprattutto nella fonetica e in qualche relitto lessicale, ma la loro ricerca presenta notevoli difficoltà, perché spesso non abbiamo sufficienti informazioni sulle lingue parlate dagli antichissimi abitatori dell’Isola. Più facilmente individuabile è, invece, l’influsso delle seconde, le quali ci hanno lasciato un numero più o meno rilevante di termini specialmente in quei settori nei quali questi popoli invasori godevano maggiore prestigio.
Al sostrato mediterraneo, ad esempio, si fanno risalire i seguenti tratti fonetici e lessicali:
1) pronunzia forte di r- in posizione iniziale: rramu, rre, rrini, rrota, rrussu, rruttu, ecc. (la tendenza a rafforzare la r si riscontra anche nel basco);
2) pronunzia cacuminale di –dd- (iddu, bbeddu, coddu, ecc.), che è comune ad altri popoli del bacino Mediterraneo;
3) pronunzia cacuminale di tr e di str: trappìtu, trenu, tri, troia, tronu, trùbbulu, “torbido”; strata, strèusu, “strano”; strìna, “strenna”; strùmmula, “trottolina di legno”, ecc.;
4) qualche termine come timpa “dirupo”; timpuni “grossa pietra, dirupo scosceso”; alastra (ginestra spinosa con fiori gialli profumati).
GRECI, PUNICI E BIZANTINI
Molto più numerosi sono gli elementi lessicali lasciati in Sicilia dal sostrato greco, del quale conosciamo anche le varietà dialettali. Tra le parole siciliane di origine greca, che ancora oggi sono in uso, citiamo soltanto: anìmulu “arcolaio”; àpulu, iàpulu, pàpalu, ecc. “uovo col guscio molle”; campa “bruco dei cavoli”; casèntaru, casèntulu, casièntula, ecc. “lombrico” (termine di sicura origine dorica); ciaramira, ciaramita, “tegola”; (g)rasta “vaso di argilla per piantarvi i fiori”; nàca “culla”; pudìa “orlo inferiore della gonna”; scìfu “trogolo nel quale mangiano i suini”; timugna (con la variante timogna, di probabile origine bizantina) “bica di grano”. In alcuni casi è difficile distinguere gli elementi greci arcaici da quelli bizantini, penetrati in Sicilia nel periodo che va dal 535 all’827.
Tuttavia possiamo citare con sufficiente sicurezza alcuni termini diffusi specialmente in area messinese come: armacìa “muro a secco”; ddromu “via principale”; lìssa ”svenimento” (fino a qualche generazione fa, si usava correntemente dire: “haiu a lissa” per indicare uno stato di malessere proprio); mannali “paletto trasversale di legno o di ferro usato per chiudere la porta”; nasida, nasita “terreno coltivato in periodo estivo nel letto asciutto di un torrente o ai suoi margini”; bisòlu “gradino o scalino”. Ad influsso bizantino, inoltre, si fa risalire l’uso del mi in un costrutto sintattico particolare usato dai messinesi per sopperire alla mancanza dell’infinito: annàu mi ccatta “andò a comprare”; dicci mi s’assetta “digli (dille) di sedersi”.
IL LATINO CRISTIANO
Anche il latino cristiano ha lasciato le sue tracce nelle parlate siciliane. Ad esempio il termine. Ad esempio il termine tìntu (dal lat. TINCTUS, dal quale derìva anche l’it. Tinto “dipinto”) ha assunto in siciliano il significato peculiare di “cattivo” dalla lingua dei cristiani, i quali durante l’eresia donastica chiamavano TINCTI quelli battezzati da eretici (cfr. il modo di dire tintu e malu battiatu). Il termine lupucùviu “persona scontrosa, che ama vivere in solitudine e non lascia trasparire i propri sentimenti”, deriva molto probabilmente dal lat. LUPUM IGUVII “lupo di Gubbio” di francescana memoria.
Molto più numerosi rispetto a quelli derivati dal latino del cristianesimo sono gli elementi lessicali che si possono fare risalire all’influsso degli Arabi, che dominarono in Sicilia dall’828 al 1061. Tutti sanno che il termine Mongibello, col quale indichiamo l’Etna, è metà latino (MONS) e metà arabo “monte”) e che sono di origine araba i toponimi composti con Cala- / Calta- (dall’ar. Qualca “castello, rocca”) e con Regal- (dall’ar. Rahl “luogo di sosta, casale”): Calatafimi, Calatasi, Caltabellotta, Caltagirone, Caltanissetta, Caltavuturo, Racalmuto, Regalbuto, ecc. Oltre a questi ci sono molti altri toponimi e antroponimi non facilmente individuabili dai non addetti ai lavori.
Tra questi citiamo soltanto Melilli (dal nome di una tribù berbera), San Giovanni Galermo (dall’ar. Gar al ma (“grotta dell’acqua”) e il cognome Morabito (dall’ar. Murabit “eremita”). Tra i nomi comuni ci limitiamo a ricordare solo: bbalàta, valuta “lastra di pietra”; cafìsu, cavìsu “misura dell’olio corrispondente a circa 17 Kg”; cantàru “quintale”; caràtu “unità di misura delle miscele aurifere e delle pietre preziose”; cassìna “avvolgibile di legno o di giunco”; ddammùsu “soffitto, tetto a volta”; festuca, frastuca “pistacchio”; favara “sorgente d’acqua”; maiazzenu, maiazzè “magazzino”; munnèddu e tumminu “unità di misura per gli aridi e per le superfici”; rròtula “unità di peso equivalente a circa 800 grammi”; sàia “canale artificiale per irrigare i campi”; senia, ‘noria, “macchina per il sollevamento dell’acqua da un pozzo”; tabbia “blocco di pietra per costruzione”; tabbùtu “cassa da morto” (il tabu linguistico avrà avuto un ruolo determinante nell’acquisizione di questo prestito); varcocu “albicocca” (le variazioni chiricopu, cricopu, piricocu, pricocu, ecc.derivano direttamente dal latino precocuus “precoce”, termine dal quale deriva pure l’arabo barquk, che sta alla base del sic. varcocu); zzàgara “fior d’arancio”; zzammàra “agave”; zzibbibbu “una qualità d’uva e il vino che da essa si produce”; zzineffa, riloga “bastone per appendere le tende”; zzòtta “pozzanghera”.
Per i termini che derivano dal superstrato galloromanzo bisogna distinguere quelli che sono penetrati in seguito alla conquista normanna dell’Isola, quelli dovuti ad influsso della poesia provenzale, molto diffusa in Sicilia specialmente alla corte di Federici II, quelli presi in prestito dagli abitanti dei comuni galloitalici (Nicosia, Sperlinga, Aidone, Piazza Armerina, San Fratello, Novara di Sicilia) e quelli più recenti attinti dal superstrato culturale francese. Per dare al lettore una pallida idea dell’importanza dell’elemento galloromanzo nel siciliano citiamo soltanto i seguenti termini:
accuminàri “cominciare”da a. prov. (a)comensar; àçiu “latrina” da a. fr. aise ”benessere” (dal lat. ADIACENS); addumàri “accendere” da a. fr. alumer; all’antrasatta “all’improvviso” da a. fr. à l’entresait; ammucciàri “nascondere” da a. fr. muchier “nascondere”; badagghiari, sbadigghiari “sbadigliare” da a. pr. badlhar (o da catal. badallar); bàgghiu “cortile) da a. fr. Bail(e); balafria “sfregio sul viso” da fr. Balafre; barrulè “rovescio delle calze legate sopra i ginocchi” da fr. bas-roulè; bivèri “laghetto” da fr. viver; bròccia “forchetta” da fr. broche (dal lat. BROCCUS); buffètta “tavolo” da fr. buffet; carnaggiu “carne o altro dono che si da al padrone del fondo” da norm. Carnage “carne”; ciàppa “lastra di pietra” da una voce galloitalica che risale al prerom. *clappa; ciarmàri “fare un incantesimo” e ciàrmu “malia, incanto” da fr. charter (dal lat. CARMINARE); ciavarèddu “capretto da fr. chevrel; ciminìa “bocca fumaria, camino” da fr. cheminèe; cròccu “gancio, uncino” da fr. croc di origine germanica; disfizziarisi “disaffezionarsi”da a. prov. Desfizar; dunniàrisi “indugiare, ciondolare” da a. prov. domnejar “corteggiare le donne; frisìnga ”troia di non più di un anno” da fr. fressange a sua volta dal germ. Friskinga “porcella”; fumari “concime” da fr. fumier (dal lat. *FIMARIUM da FIMUS); gattigghiàri “solleticare” da prov. gatilhar; gisèri “ventaglio dei volatili” da a. norm. Geiger (dal lat. GIGERIUM); giùccu “bastone del pollaio” dall’a.norm. joc; guastèdda “pane di forma rotonda” da fr. gastel (oppure da norm. Guastel, wastel); luèri “fitto, pigione” da fr. luer (da LOCARIUM); misciasciu “fame, inedia” da fr. mesaise; mpurrìri “marcire” da fr. porrir; ngrisciàrisi “ubriacarsi” da fr. se greiser; pantasciàri “ansimare” da fr. pantoisier, a. prov. pantaisar, cat. pantaixar; parrìnu “prete, padrino” da fr. parrin; pirrèra “cava di pietre” da fr. perriere; radugnari “ritagliare da a. prov. redonhar; rattèra “trappola per topi” da fr. ratière (a. prov. ratiera, cat. ratera); scicàri, sciràri “stracciare” da fr escirer, fr. dèchirer; spingila “spillo” da fr. espingle; trùscia “fagotto” da fr. troche; tùttu “massa di capelli intrecciati a mucchio dietro la nuca” da fr. toup.
DOMINAZIONE SPAGNOLA – Anche la dominazione spagnola, che durò dal 1282 al 1713, ha lasciato le sue tracce nelle parlate siciliane. Abbastanza numerosi sono, infatti, i termini che si fanno risalire all’influsso ibero-romanzo, che sono cioè prestiti dello spagnolo o del catalano. Tra questi citiamo soltanto:
accanzàri “acquistare” da sp. alcazar “raggiungere”; accaparri, accabbari “finire” da sp. acabar “id.”; appusintari “alloggiare” da sp. aposentar “id.”; arriffàri “giocarsi qualcosa” da sp. rifar “sorteggiare”; (ar)rivintari “riprender fiato dopo una sfacchinata” da sp. reventar scoppiare, saltare in aria”; attrassi “arretrati” (specialmente di tasse o debiti non pagati) da sp. atropo “ritardo”; attrivimentu “baldanza” da sp. atrevimiento “insolenza”; azzolu “azzurro” da sp. azul ”id.”; bbaccagghiaru “furbo, astuto” da catal. bacallar “villano”; basca “affanno” da sp. / catal. Basca “id.”; bbaschiàri “smaniare per febbre” da sp. basquer “aver nausea”; bbuggiacca “cerniera” da catal. butxaca “id.”; cìcara / cìchira “tazzina” da sp. jìcara “tazza per la cioccolata”; criàtu / -ta “servo / -va” da sp. criado “id.”; cuttigghia “busto usato dalle donne” da sp. cotilla “id.”; fàgghiu “scarto delle carte durante il gioco” da sp. fallo “id.”; ggilèccu “gilè” da sp. jileco “id.”; làstima “aflizione, pena” da sp. làstima “compassione”; mantàli, fantàli, vantali “grembiule” da sp. avantal “id.”; manteca “burro, grasso” da sp. menteca “id.”; mazzamurru “tritume di biscotto” da catal. maçamorro o da sp. mazamorra “biscotto”; muccatùri “fazzoletto” da catal. mocador “id.”; musuniàri “gualcire, sporcare” da sp. monosear “palpare”; palatàru “palato” da sp. / catal. paladar “id.”; papèllu “biglietto, scrittura di vario genere” da sp. papel “carta, foglio”; picata “cataplasma” (b) da sp. pegado “id.”; pùtru “cavallino, puledro” da sp. potro “id.”; riffa “un gioco d’azzardo” da sp. / catal. rifa “id.”; spantàrisi, scantàrisi “spaventarsi” da catal. espantar “causare spavento”; spantu, scàntu “spavento” da catal. espant “paura”; taccia “chiodo, bulletta” da catal. tatxa / sp. tacha “id.”; tracchiggiàri “affaccendarsi” da catal. traquejar “agitare”; truppicàri, struppicàri “inciampare” da sp. trompicar “id.”; valìa “forza, vigore”, da sp. valìa “id.”; zzaùrdu “zotico”, villano” (anticamente ‘sporco’) da sp. zahurda = porcile; zzòttà “frusta da sp. azote “id.”.
Ma oltre a conservare nel suo dialetto la testimonianza di tutte le vicende storiche che si sono succedute nell’isola, la Sicilia, come le altre regioni italiane, ha contribuito ad arricchire il lessico della nostra lingua nazionale. Tra i più comuni dialettismi della lingua italiana che derivano dal siciliano non possiamo fare a meno di ricordare alcuni termini che designano cose peculiari della cultura isolana: cannolo, cassata, cirneco, falsomagro, guardaspalle, intrallazzatore, intrallazzo con i suoi derivati intrallazzare, intrallazzista, mafia, netturbino, picciotti (garibaldini), puparo, salmoriglio, sciara “terreno lavico”, tarocco, trazzera, verdelli, zagara.
Dopo quello che abbiamo detto, riteniamo che la dialettofobia sia completamente fuori luogo e che i giovani non debbano più considerare il dialetto siciliano come una corruzione della lingua italiana e non debbano affatto vergognarsi di usare un codice linguistico così ricco di tradizioni storiche e di cultura”.
a) Solecismo: Errore di sintassi, di grammatica, costrutto improprio. Dal latino solecìsmus, dal greco soloikismòs, “sgrammaticatura”;
b) Cataplasma: impiastro medicamentoso preparato con sostanze emollienti.
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