Storie di Sicilia
LA VERA STORIA DEL RISORGIMENTO DA INSEGNARE A SCUOLA (comm.to da Domenico Bonvegna)
Riprendo la presentazione dell’ottimo pamphlet di Lorenzo Del Boca, “Maledetti Savoia”, pubblicato da Piemme. Alla fine del testo, l’autore conclude i suoi studi con un riferimento ai nostri tempi. Con la scusa dell’Unità d’Italia ci hanno fatto ingoiare diversi rospi, tante leggende, truffe, imbrogli, bugie, e mistificazioni. In pratica per Del Boca, quello che è successo centocinquant’anni fa, per certi versi, si sta ripetendo ai giorni nostri.“L’atto di fondazione dello stato ha finito per pregiudicare anche quelli successivi. E, infatti, da allora poco è cambiato, e pochissimo nella sostanza. Legittimo o bastardo che sia, il paese di oggi è figlio di quello di ieri”. Del resto il grosso debito pubblico di oggi risale all’unità d’Italia.
“I personaggi dell’Ottocento, politici corrotti, ufficiali mestatori, traffichini di regime, fascisti ‘ante litteram’, burocrati inefficienti ricchi della sola prosopopea, magistrati dimentichi della giustizia, assomigliano troppo a quelli che compaiano quotidianamente nelle cronache della vigilia dell’anno 2000. Come se, in filigrana, gli uni fossero speculari agli altri”.
Così è potuto accadere che “mentre i militari attuavano l’occupazione dell’Italia meridionale aprendosi un varco a cannonate, i finanzieri d’assalto la depredavano svuotandone le casseforti”. E’ capitato con l’affare milionario delle ferrovie, le Regie tabaccherie, il crack della Banca Romana. A depredare il sud ci ha pensato subito il generale Garibaldi, con la scusa dell’Unità d’Italia si mise a rubare presso il Banco di Sicilia.“Appena entrato nella Palermo che aveva occupato, si fece consegnare dal banco di Sicilia 2.178.818 dei 5 milioni di ducati che erano custoditi. Lasciò un pezzo di carta con scritto: ‘per ricevuta di spese di guerra’ e la promessa che il nuovo stato avrebbe restituito tutto e rimesso i conti in ordine. Quel foglietto restò negli archivi dell’istituto: prima in quello contabile e poi in quello storico”. Tra l’altro l’anno precedente, il direttore del Regio Banco aveva dovuto chiamare gli operai per rinforzare il pavimento che, non bastava per sostenere il tesoro di lingotti d’oro conservato in cassaforte. Esempio di floridezza del Regno delle due Sicilie.
Ritornando all’impresa dei Mille, per la verità anche nell’altro successivo testo di Del Boca, “Indietro Savoia” del 2003, edito da Piemme, si possono trovare ulteriori documenti per l’argomento che sto trattando. Lo storico ricorda che l’”impresa”, è stata possibile grazie alla mafia e agli intrighi commerciale inglesi.“La mala-Sicilia aveva scelto di chiudere con il vecchio regime in modo da facilitare la nascita del nuovo”. Giuseppe La Masa e Giovanni Corrao furono gli uomini della spedizione di Garibaldi che si preoccuparono di tenere i contatti con queste realtà sociali. In realtà, i documenti sono pochi, naturalmente i vincitori, nel tentativo di avvalorare la tesi della marcia trionfale dei liberatori, nascosero o distrussero ogni documento che potesse dimostrare il contrario. A tutto questo occorre aggiungere il tradimento di tutti gli alti ufficiali borbonici a cominciare dal generale Landi a Calatafimi, dove “chi ha visto la planimetria dello scontro si rende conto che i Mille non potevano vincere e che i borbonici li avrebbero sconfitti, anche se avessero lanciato soltanto sassi contro quelli che salivano arrancando”. Poi Giovanni Lanza, che addirittura sfilò “con qualche decina di migliaia di soldati davanti ai garibaldini che erano in numero enormemente inferiore e, per la verità, anche male in arnese”. Addirittura un militare tentò di obiettare: “Ma Eccellè, vedete quanti siamo, e dobbiamo scappare?”
Infatti, il Regno delle due Sicilie si stava liquefacendo come un gelato di panna al solleone, il povero inesperto, insicuro e, forse troppo educato, Francesco II, in un mondo dove tutto sembrava impazzito, era circondato da gente inaffidabili. L’unica persona di cui si poteva fidare era la sua giovane moglie, Maria Sofia, figlia di Massimiliano e Ludovica di Wittelsbach, sorella della più famosa Sissi.
I due giovani sovrani hanno mostrato il loro valore soltanto nelle battaglie finali del Volturno e soprattutto nell’ultima eroica resistenza nella fortezza di Gaeta, “Francesco II e la regina Maria Sofia si mostrarono all’altezza della situazione. Lui riscattò l’immagine di mollaccione, lei fu donna di fascino e trascinò l’entusiasmo dei giovani nobili d’Europa”. Mentre Garibaldi scortato dagli uomini della camorra di don Liborio Romano entrava trionfante a Napoli, dove anche qui trovò ad aspettarlo tutte le riserve auree del Banco di Napoli e il tesoro lasciato dal giovane re napoletano. Una volta conclusa la pratica dell’assedio selvaggio alla fortezza di Gaeta, i poveri superstiti soldati napoletani a migliaia furono deportati verso i campi di concentramento del nord, di San Maurizio e di Fenestrelle.
A questo punto si apre il capitolo del cosiddetto Brigantaggio, la guerra dell’esercito regio sabaudo contro il popolo meridionale, contro il Sud che non si piegava al nuovo ordine politico.“Cari sudditi, non vi lasceranno neanche gli occhi per piangere”, aveva scritto Francesco II, in un anelito di compassione. Dal 1860 al 1870, nelle campagne, sulle montagne, attorno alle città, la gente si ribellava ai nuovi padroni.
La nuova classe politica che si era impadronita dei territori dell’ex regno dei Borboni, non aveva esperienza amministrativa e soprattutto nessuna conoscenza del territorio. “Le varie oligarchie regionali furono sostituite da famiglie rivali che erano state più rapide a cambiare casacca”. Un insieme di avventurieri, disonesti e imbecilli hanno invaso le nuove province. “Gli invasori occuparono tutto quello che c’era da occupare, confiscarono lo stato e poi lo trattennero come se fosse diventato ‘cosa loro’. Pertanto i mediocri magari provenienti dal Piemonte, andarono ad occupare i posti del potere. “Il Piemonte peggiorò se stesso e l’Italia. La legge della prevalenza del cretino trovò l’occasione per essere applicata su larga scala”.
I burocrati di Torino occuparono quasi tutti i pubblici uffici, gente più corrotta degli antichi burocrati napoletani. “A fabbricare le ferrovie si mandarono operai piemontesi i quali, oltraggiosamente, pagansi il doppio che i napoletani”. Per lo storico Denis Mack Smith, “l’incursione del Nord sembrava una nuova invasione barbarica”. Il malcontento era percepibile ovunque. Anche i liberali, gli ex garibaldini, che avevano creduto alle promesse dei piemontesi, ora erano delusi. La nuova legislazione peggiorava le condizioni dei cittadini, poi con la Legge Pica, si passò alla licenza di uccidere, se non bastava la forza morale, bisognava applicare quella fisica, raccomandava Cavour.
“Cominciava l’arte del boia”, commentò Giacinto De Sivo.“I piemontesi instaurarono il codice militare di guerra con corti marziali e fucilazione non soltanto per chi ‘utilizzava’ le armi contro i militari di casa Savoia(…)anche contro coloro che genericamente ‘venivano sorpresi’ con un’arma di qualsiasi genere”. I generali Cialdini e Pinelli si macchiarono di crimini efferati non solo contro i cosiddetti briganti ma anche contro la popolazione inerme. Non si possono dimenticare i numerosi paesi bruciati e rasi al suolo come Casalduni e Pontelandolfo nel beneventano. Il numero totale delle vittime non è certo, addirittura qualche storico come Antonio Ciano, ipotizza un milione di morti, altri molti di meno, tuttavia come rilevò lo storico superpartes inglese, Mack Smith, “il numero di coloro che perirono nel corso di questa lotta fu superiore a quello dei caduti di tutte le altre guerre del Risorgimento nazionale”.
Mi fermo continuerò in un prossimo intervento.
S. Teresa di Riva, 7 agosto 2013 S. Gaetano da Thiene
DOMENICO BONVEGNA
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