Storie di Sicilia
L’INTERA STORIA DELLA SICILIA, IN DUE PAROLE (PARTE PRIMA)
Il perimetro delle sue coste disegna una forma triangolare, la Sicilia nell’antichità veniva chiamata Trinacria per i suoi tre promontori (Capo Peloro, Capo Pachino e Capo Passero), e veniva simboleggiata da una testa di Gorgonie che si regge su tre gambe disposte a raggera (triquetra).
L’uomo comparve in Sicilia circa un milione di anni fa, come si può vedere dai residui archeologici cavernicoli trovati presso Trapani, Palermo e San Teodoro.
Situata al centro del Mediterraneo, l’isola, è crocevia di civiltà e culture ed è stata raggiunta fin dall’antichità da naviganti provenienti da oriente. Molti episodi dell’Odissea, assai probabilmente sono collocabili in una Sicilia trasfigurata dal mito. Un’antica tradizione, riportata anche da Omero, indica come abitanti più antichi dell’isola, i Ciclopi (giganti con un occhio solo abitanti alle falde dell’Etna)e i Lestrigoni (popolazione antropofaga della zona di Lentini).
In realtà si ha la certezza storica (Dionigi di Alicarnasso e Tucidide) che i primi abitanti dell’isola dotati di una certa civiltà siano stati i Sicani, una popolazione di origine probabilmente iberica (dove esisteva il fiume Sicano), che dopo una lunga migrazione si stanziò in Sicilia, stabilendosi dapprima nella zona orientale e successivamente in quella centro-occidentale (dove esistono ancora i monti Sicani). Si pensa che lo spostamento sia avvenuto a causa dell’invasione dei Siculi, una popolazione di probabile provenienza ligure, che a loro volta erano stati cacciati verso il Sud dagli Umbri, dai Musoni e dai Pelasgi.
ETA’ DEL BRONZO (1270 – 650 a. C.)
I ritrovamenti archeologici hanno provato che una popolazione chiamata dai Greci Sìkeloi e dai Romani Siculi era stanziata nella Sicilia orientale durante il Neolitico. Il nome probabilmente deriva dalla radice indogermanica sik, che significa “crescita, ingrossamenti” e indicherebbe la fertilità della terra siciliana.
La popolazione dei Siculi era sicuramente di origine indoeuropea ed ha lasciato testimonianza di ciò nei toponimi dei loro centri più importanti (Messina, Catania e Siracusa). Infatti il nome originario di Messina è Zankle, che in siculo significa falce, ed indica l’aspetto tipico del porto naturale di Messina. Il toponimo “zankle” vive ancora nell’aggettivo “zancleo” (che significa di Messina) nel nome Scaletta Zanclea.
Il signore greco di Reggio Anàssila conquistò la città nel 491 a. C. e la chiamò Messene, dal nome della sua città natia: la denominazione fu poi cambiata in Messana dai Romani e in M.Sina dagli Arabi. Da qui il nome attuale Messina. Il toponimo “Catania” è anch’esso Siculo, infatti deriva da “Katane” che significa “grattugia, scorticatolo” ed indica il terreno lavico su cui sorge la città. Il toponimo “Siracusa” deriva dal siculo “suraka” che significa “abbondanza d’acqua” poiché nel suo territorio urbano esistono due fiumi, il Ciane e l’Anepo. I Siculi furono un popolo guerriero e si opposero strenuamente alla conquista greca con la rivolta capeggiata da Ducezio nel V sec a. C.
Alcuni modi di dire di oggi derivano da usanze sicule, es. “giurari pa’ vista ‘i l’occhi” o “mi sì manciàtu ‘di cani”. Fin dall’antichità il giuramento era sacro e infatti agli spergiuri era riservata una terribile punizione, venivano loro strappati gli occhi oppure venivano fatti sbranare dai cani (i famosi cirnechi dell’Etna) che custodivano il tempio del dio Adrano, nei pressi di quella città. Un’area considerata sacra dai Siculi era il lago dei fratelli Pàlici (lago di Nafta) presso Palagonia, l’antica Paline capitale di Ducezio.
Prima della colonizzazione greca due popoli vennero in Sicilia, gli Elimi e i Fenici.
Gli Elimi furono un popolo certamente orientale venuto dal mare e si stabilirono nella zona occidentale dell’isola, importandovi il culto di Venere e fondando i centri di Erice, Segesta ed Entella.
I Fenici erano una popolazione del vicino Oriente e provenivano dal territorio oggi denominato Libano, sulle sponde del Mediterraneo orientale. Furono un popolo di mercanti e navigatori che non aveva mire di conquiste territoriali, commerciavano in tutto il Mediterraneo ed anche al di là delle “Colonne d’Ercole”.
Fin dal XII sec. Ebbero relazioni commerciali con i Siculi, si stabilirono in Sicilia dapprima con basi commerciali sulle coste (XI-X sec.) e dopo la fondazione di Cartagine (X sec.) si espansero anche verso l’interno. In seguito alla colonizzazione greca, dall’VIII sec. in poi, abbandonarono la maggior parte dell’isola senza combattere e si concentrarono nella parte occidentale della Sicilia, che era più vicina a Cartagine. I principali empori fenici furono Soloeis (Soluto) e Mozia (oggi isola di San Pantaleo) ambedue nella parte occidentale dell’isola.
LA COLONIZZAZIONE GRECA (VIII sec. a.C. – 264 a.C.)
Poco dopo la metà dell’VIII sec. a. C. giunsero in Sicilia i Greci. Secondo Tucidide furono i Calcidesi, guidati da Teocle, i primi greci che, spinti dalla povertà della loro terra, giunsero in Sicilia: la prima colonia fu Naxos (735 a.C.), seguì poi Callipoli; poi Archia fondò Siracusa e i calcidesi di Naxos fondarono Lentini e Catania, in zone già abitate dai Siculi. In seguito furono fondati altri centri importanti come Agrigento e Gela.
La colonizzazione greca ebbe carattere prevalentemente agricolo, ma non avvenne pacificamente: infatti i siculi si opposero all’invasione; uno degli episodi più importanti fu la rivolta del principe siculo Ducezio, che facendo leva sul sentimento nazionalista pose la sua capitale a Palike (odierna Palagonia) ed ottenne numerosi successi contro i Greci di Siracusa ed Agrigento. Dai contatti tra gli indigeni ed i colonizzatori nacque una evoluzione della civiltà sicula comunemente chiamata “siceliota”.
Le grandi risorse naturali dell’isola permisero un grande sviluppo economico e culturale delle città siceliote, dalle quali la civiltà ellenica si irradiò verso l’interno. Questo fu il periodo più fiorente della Sicilia, tanto che Siracusa diventò ricchissima, più della stessav Atene.
La Sicilia greca fu anche il più notevole centro di cultura del Mediterraneo: il catanese Caronda scrisse delle leggi adottate poi anche in lontane città, Gorgia da Lentini fu uno dei primi filosofi, Stesicelo d’Imera fu il poeta antico che più si avvicina ad Omero, Teocrito di Siracusa fu modello delle bucoliche di Virgilio e Mosco di Siracusa fu imitato da Catullo. Anche nel campo delle scienze vi furono siciliani illustri come Archimede od Empedocle.
La dominazione greca in Sicilia ebbe termine con la prima guerra punica (261-241 a. C.), quando i Romani intervennero negli affari di Messana, chiamati dai Mamertini e si scontrarono con i Cartaginesi, scacciandoli definitivamente dall’isola.
LA DOMINAZIONE ROMANA (227 a.C. – 535 d.C.)
Roma intervenne in Sicilia per motivi di carattere strategico, politico ed economico, infatti il possesso dell’isola assicurava ai suoi dominatori il controllo del mediterraneo, una ricca base logistica per il vettovagliamento dei suoi eserciti e flotte ed infine rappresentava la testa di ponte ideale per la conquista dell’Africa.
La Sicilia diventò così la prima provincia romana e fu governata da un pretore e da due questori che curavano la riscossione delle tasse, e risiedevano uno a Lilibeo (oggi Marsala) e l’altro a Siracusa. Cinque città erano considerate libere (Alesa presso Tusa, Alicia oggi Salemi, Centurie, Palermo e Se gesta) e tre federate (Messina, Noto e Taormina).
Il tributo dovuto a Roma è stato calcolato in 2 milioni di moggi di grano (il granaio di Roma!) bastante ad approvvigionare la città di Roma e ci da l’idea della ricchezza che veniva prodotta in Sicilia. Per questo motivo fu depredata dai suoi governanti (Verrei un caso famoso, 70 a.C.), i suoi templi furono saccheggiati, Siracusa che resistette alla conquista fu cinta d’assedio e saccheggiata dal console Marcello (201 a.C.), l’isola subì anche gli effetti di due rivolte di schiavi (una capitanata da Euno, 134-132 e l’altra da Salvio, 104-100 a.C.), impiegati nei nostri latifondi dove i ricchi costruivano splendide ville (villa del Casale a Piazza Armerina).
Anche la Sicilia fu coinvolta nelle guerre civili e divenne la base operativa di Sesto Pompeo, figlio di Pompeo Magno, nella sua lotta contro Ottaviano, poi divenuto Augusto. Giulio Cesare aveva concesso la cittadinanza romana ai siciliani, ma la ex Julia de Siculis non fu mai applicata e Augusto classificò la Sicilia “provincia senatoriale”. Nel 293 d.C., con la riforma attuata da Diocleziano, la Sicilia divenne parte della Praefectura Italiae e fu governata da un Consularis.
A Siracusa nacque la prima comunità cristiana d’Occidente e San Paolo vi si fermò durante i suoi viaggi; è stato un prelato siciliano, il vescovo Pascasino di Lilibeo, che nel 444 stabilì in maniera definitiva la data della celebrazione della Pasqua, la domenica successiva al plenilunio di Primavera. In periodo romano nel campo della cultura, è pregevole l’opera di Diodoro Siculo da Agira, che nel I sec. a.C. scrisse il 40 volumi una storia della Sicilia “Biblioteca Historica”, il poeta Calpurnio Siculo, l’autore sconosciuto del famoso “Pervigilium Veneris”, lo storico Flavio Sopisco.
Nel V sec. cominciarono le invasioni barbariche e la Sicilia fu invasa dei Vandali, guidati da Genserico, che sbarcò nel 440 a Lilibeo, provenendo dall’Africa settentrionale, e si diede a scorrerie e devastazioni, perseguitando i cattolici poiché era seguace dell’eresia ariana. Alla notizia che un esercito dell’impero d’Occidente si muoveva per punirlo, Genserico abbandonò l’isola nel 441, ma vi tornerà nel 455 dopo il sacco di Roma. I vandali rimasero in Sicilia fino al 476, data della caduta dell’Impero romano d’Occidente, quando Genserico cedette la Sicilia ad Odoacre.
La Sicilia passò poi ai Goti di Teodorico nel 491, il re diede in dote alla sorella Amalafrida la città e il promontorio Lilibeo, ma poiché lo sposo era il vandalo Trasamondo vi furono sommosse contro i Coti che per domarle ricorsero alla maniera forte. Per questi sentimenti antigoti i siciliani chiesero aiuto ai Bizantini, li aiutarono nella spedizione contro i Vandali in Africa (533) e accolsero come liberatore Belisario quando sbarcò a Catania per ordine di Giustiniano iniziando la guerra Greco-gotica (535-553).
LA SICILIA BIZANTINA (535 – 827)
La Sicilia costituì per i Bizantini la base principale durante la guerra greco-gotica, dopo la guerra l’isola godette di un lungo periodo di pace, grazie anche alla protezione del Papa Gregorio Magno (590-604), che istituì conventi dove si tenevano studi umanistici. In questo periodo ben 4 papi furono siciliani: S. Agatone, S. Leone II, Canone, S. Sergio I.
Nel 652 vi fu la prima incursione musulmana e l’imperatore d’Oriente Costante II, incalzato da problemi politici, spostò la capitale dell’impero da Bisanzio a Siracusa nel 663, fino alla sua morte avvenuta nel 668. Ciò provocò malumori nell’isola, culminati in due ribellioni (718 e 781) dovute alle tasse esose che servivano a mantenere la corte. Altre stragi furono dovute all’eresia iconoclasta dell’imperatore Leone Isaurico (726), che confiscò i beni della Chiesa cattolica a favore di quella di Costantinopoli.
La dominazione bizantina, durata ininterrottamente per tre secoli non fu favorevole per l’isola e segnò un periodo di impoverimento economico, culturale e artistico.
LA DOMINAZIONE ARABA (827- 1060)
Il 17 giugno dell’827 gli arabi sbarcarono nei pressi di Ma zara con un esercito di 1000 fanti e 700 cavalieri. In pochi anni tutta l’isola fu conquistata. I musulmani divisero la Sicilia in tre ripartizioni amministrative, dette valli: val di Mazara, che comprendeva la zona occidentale, val Demone che comprendeva la zona nord-orientale e val di Noto che comprendeva la zona sud-orientale.
Esse erano amministrate da Kadì, retti da un emiro che stava a Palermo, divenuta una capitale ricca di industrie e di commerci. La popolazione era suddivisa in tre classi: indipendenti, che pagavano la “gezia” e per il resto erano liberi; vassalli o “dimmi” e infine servi della gleba o “memluk” legati ai latifondi che coltivavano. In generale il comportamento degli arabi verso i cristiani fu tollerante.
Gli arabi hanno lasciato nella cultura siciliana notevolissime tracce: in questo periodo nacquero la maschera di Giufà e le “truvature” (leggende popolari), la toponomastica conserva ancora l’elemento arabo (il fiume Akesines diventa Al Quantara, il ponte Enna diviene Kasr-Jan Castrogiovanni; le fortezze o monti daranno il nome “Kalat” a Caltanissetta, Caltabiano, ecc. “gebel” – monte, a Gibilmanna, Ghibellina, ecc.
Poeti e giuristi scrissero in lingua araba, furono importate le coltivazioni dell’arancio e del limone, del riso, della canna da zucchero, del gelso, del cotone, del carrubo, del pistacchio, fu potenziata l’agricoltura grazie all’opera di canalizzazione (saia, gebbia, ecc.) fu incrementata l’industria della seta. Gli arabi insegnarono ai siciliani a produrre il sorbetto, la cassata, le paste alimentari.
I siciliani però subirono la dominazione araba, ma non l’accettarono mai e accolsero come liberatori i Normanni, che approfittarono delle lotte intestine fra signori arabi nel 1060 per insediarsi.
LA SICILIA NORMANNA (1060 – 1190)
In un trentennio i Normanni (north men – uomini del nord, guerrieri e navigatori vichinghi, provenienti dalla Scandinavia, arrivarono in Groenlandia, in America del nord, in Russia e in Inghilterra, dove stabilirono regni duraturi) conquistarono tutta la Sicilia. Furono chiamati dal signore musulmano Ibn-at-Thumnah, nobile arabo in contrasto con altri potenti, che si rivolse ai fratelli d’Hauteville: Roberto il Giuscardo, (che conquistò l’Italia meridionale, fondando il ducato di Puglia e Calabria) e Ruggero d’Altavilla. I Normanni occuparono Messina nel 1°60. Alcuni storici dicono che fossero un migliaio, qualche altro invece trecento.
Comunque conquistarono tutti luoghi più fortificati dell’isola con una serie di fortunate battaglie. Dopo aver conquistato Catania (chiamata dagli arabi “Medinat-el-fil”, città dell’elefante, che ancora oggi si trova in piazza Duomo), ai primi del 1072 i Normanni entrarono a Palermo e per la prima volta dopo 250 anni facevano celebrare la S. Messa in Duomo (trasformato dagli arabi in moschea). Nonostante la resistenza di alcuni kadi nel 1091 tutta la Sicilia era in loro possesso, tanto che il Papa Urbano II conferì a Ruggero il titolo di “gran conte” di Sicilia e di Calabria e la prerogativa di “legato apostolico” che gli dava la potestà di nominare i vescovi, il conte diventava il vassallo del Papa.
Ruggero I fu tollerante con le tradizioni e i costumi greci, latini e arabi che coesistevano in Sicilia, rispettò le lingue e le religioni, fondò cattedrali, favorì l’immigrazione dei lombardi a S. Fratello, Novara, Piazza Armerina, Aidone e Nicosia (che conservano tuttora il dialetto gallo-italico), gettò le basi di una moderna burocrazia. Ruggero I morì a Mileto nel 1101, lasciando due figli minorenni (Simone e Ruggero) e la reggenza fu affidata alla moglie Adelaide del Monferrato: anche sotto di lei proseguì la formazione di uno Stato unitario, già avviata da Ruggero I, (il primo documento europeo su carta fu firmato dalla contessa Adelaide nel 1109).
Morto poi il primogenito Simone, Ruggero II diventò conte nel 1112. fu eccezionale uomo di stato, migliorò l’amministrazione interna, costituì un forte esercito che conquistò la Tunisia e parte della Libia, occupò Corfù e Cefalonia e portò guerra in Grecia, minacciando seriamente Costantinopoli. Nel 1126 succedette al cugino Ruggero duca di Puglia, morto senza eredi e nel 1129 radunò a Salerno un parlamento al quale invitò non solo i nobili, ma anche (fu in questo un precursore) i rappresentanti di città e terre demaniali. Il Parlamento decise di conferire a Ruggero il titolo di re di Sicilia (confermato dall’antipapa Anacleto II): questo regno durerà ininterrottamente fino al 1860.
Ruggero istituì la sua corte (Magna curia) formata da sette ministri, curò l’organizzazione giudiziaria e fiscale (in arabo dohana), costruì il duomo di Cefalù e di Palermo, incoraggiò la poesia (araba). Ebbe tre mogli e due figli: Guglielmo e Costanza. Morì a Palermo nel 1154, lasciando uno stato ben organizzato e prospero.
Gli successe il figlio Guglielmo I detto il Malo. Egli domò le ribellioni dei baroni pugliesi e siciliani ma le lotte intestine e quelle contro Federico Barbarossa indebolirono il regno: morì a 46 anni nel 1166 e fu sepolto nel duomo di Monreale.
Gli succedette il figlio dodicenne Guglielmo II detto il Buono, sotto la reggenza della madre Margherita. Combattè contro Federico Barbarossa da vassallo leale del Papa, appoggiando i comuni lombardi, fu tra i sostenitori della III crociata (la flotta normanna salvò Antiochia), attaccò l’impero bizantino fino a Costantinopoli, ma fu battuto dall’imperatore Isacco l’Angelo e costretto alla pace.
Nel 1186 diede in sposa sua zia Costanza al figlio di Federico Barbarossa, Enrico VI di Svevia, permettendo così agli Svevi di accampare diritti sul regno di Sicilia. Mentre si preparava alla riconquista di Gerusalemme, morì a soli 36 anni nel 1189, lasciando nel popolo un compianto che non fu dimenticato.
LA DOMINAZIONE SVEVA (1198 – 1266)
Morto il re Guglielmo II senza eredi diretti, il Parlamento elesse Tancredi, figlio naturale di Ruggero II e conte di Lecce, re di Sicilia. Il regno di Tancredi non fu facile, dovette lottare contro i baroni pugliesi, contro Riccardo Cuor di leone, fratello della vedova di Guglielmo che pretendeva la restituzione della dote, contro i musulmani di Sicilia che si erano ribellati. Riuscì a superare tutti gli ostacoli ma allora Enrico VI di Hoenstaufen, marito di Costanza (vent’anni lui, quaranta lei) riprese l’offensiva accampando diritti sul trono.
Tancredi cacciò l’invasore e prese prigioniera la stessa Costanza (1191). La liberò l’anno dopo per intercessione del Papa Celestino III; morì nel 1194, lasciando il regno ad un bimbo, Guglielmo III.
I baroni pugliesi, approfittando della situazione, chiamarono in loro aiuto Enrico, che in breve tempo conquistò il regno e uccise il piccolo Guglielmo, la madre e i dignitari a loro fedeli.
Il regno di Enrico VI fu breve ma crudele (1194 – 1197). Simulando una congiura si sbarazzò di tutti i suoi nemici, uccidendoli in modo orrendo e la moglie non potè intervenire. Morì a Messina a 32 anni e fu sepolto nel duomo di Palermo.
I suoi domini tedeschi e il regno di Sicilia passarono al piccolo Federico II (nato a Jesi nel 1194) sotto tutela della madre Costanza e, dopo la morte avvenuta nel 1198, di Papa Innoncenzo III.
Federico II di Svevia imperatore di Germania e re di Sicilia dal 1198 al 1250, fu chiamato dai contemporanei “stupor mundi”, perché in lui si armonizzavano tre civiltà, quella latino-germanica, quella siculo-normanna e quella araba. Proseguì l’indipendenza dell’impero dalla Chiesa e con le “Costituzioni melfitane” (1231) gettò le basi della monarchia assoluta. Fu un abile diplomatico e, durante la quarta crociata, ottenne la liberazione del S. Sepolcro (1228) senza spargimento di sangue. Per questo motivo fu scomunicato dal Papa Gregorio IX, lo sconfisse in battaglia e concluse con lui una tregua nel 1230.
In questo periodo pose una capitale a Palermo e alla sua corte si riunirono i più illustri studiosi, pensatori, giuristi, letterati dell’epoca: fondò la Scuola poetica siciliana (l’impertore era poeta, matematico e filosofo, parlava sei lingue – latino, arabo, greco, francese, tedesco e italiano): promosse la fondazione dell’Università di Napoli (1224).
In Sicilia pacificò l’isola esiliando i ribelli, accolse nel Parlamento i rappresentanti delle principali città, stipulò trattati di navigazione e commerciò con la Tunisia e con le Repubbliche marinare, costituì una formidabile rete difensiva (castello Ursino, castello Maniace, torre di Enna, castelli di Augusta, Gela, Salemi, Agira, altri castelli costruì fuori dalla Sicilia), fu un mecenate e un cultore delle arti. Per la sua fama di eretico e di epicureo Dante lo pose nel decimo canto dell’Inferno tra le fiamme eterne. Morì improvvisamente a Fiorentino in Puglia nel 1250.
Alla morte dell’imperatore, il Papa Innoncenzo IV, per dare una soluzione al problema dei rapporti fra papato e impero, offrì la corona a Carlo d’Angò fratello del re di Francia, Luigi IX il Santo e a Riccardo Cuor di Leone re d’Inghilterra. Ma nessuno dei due si dimostrò desideroso di accettare. Nel frattempo moriva il legittimo erede di Federico, suo figlio Corrado IV (1254), che per la situazione politica della Germania aveva lasciato il governo della Sicilia al fratellastro Manfredi, figlio di Federico e di una nobildonna siciliana Bianca Lucia, da lui sposata in quarte nozze sul letto di morte.
Manfredi fece spargere la voce che era morto Corradino di Svevia, legittimo erede dell’impero e si fece incoronare a Palermo re di Sicilia (1258) nonostante la scomunica papale. Infine il Papa francese Clemente VI convinse il re Luigi IX (1265) ad accettare la corona di Sicilia per suo fratello Carlo d’Angiò, conte di Provenza. Manfredi fu sconfitto presso Benevento dall’esercito francese e morì in battaglia nel 1266. i siciliani allora invitarono Corradino a venire in Sicilia per esservi incoronato, ma egli fu sconfitto Tagliacozzo (1268), consegnato agli Angioini e decapitato nella piazza del mercato di Napoli.
– Redazione.
CONTINUA: L’INTERA STORIA DELLA SICILIA, IN DUE PAROLE (PARTE SECONDA)
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