Storie di Sicilia
Il Nobel a Quasimodo (di Anders Österling) e qualche curiosità
“Nel primo libro che ho scritto, qualche anno fa, su Quasimodo, “Un Nobel a Roccalumera”, ho voluto sottolineare quanto il poeta del Nobel ha avuto in comune con Roccalumera, il paese dei suoi genitori, dei nonni, dei molti parenti. Mi sono deciso a scrivere ancora su Quasimodo perché parecchie persone, tra cui anche studenti, mi hanno, come si suol dire, “tirato per la giacca”. Mi hanno posto delle domande che richiedevano una risposta e alla quale non ho potuto, o meglio, non ho voluto, sottrarmi”. (Carmelo Calabrò).
Calabrò, in questo secondo libro ha cercato di rispondere a domande del tipo: “Chi era veramente Quasimodo?”, o “Era un tipo simpatico, affabile, o antipatico?” cercando di soddisfare la curiosità a anche di chi gli aveva chiesto della vita privata del Poeta o …delle sue donne, per le quali, si dice, avesse un debole. L’Insegnante roccalumerese, iniziando con: “Ora la parola agli amici di Quasimodo”, ha inizialmente raccolto in un manoscritto le testimonianze di personaggi illustri come: Alberto Marotta, Carlo Benari, Nicolay Doncev, Salvatore Pugliatti, (del quale Quasimodo avrebbe riferito in un’intervista: “Facevamo la guerra a sassate coll’attuale rettore dell’Università di Messina, Salvatore Pugliatti”), e Domenico Cantatore, Giorgio Caproni, Renato Guttuso, appunto Anders Östeling, e molti altri.
Ma prima di iniziare a rivivere l’uomo e il Poeta nelle parole di Österling, (in queste viene riportato parte del “Discorso ufficiale per il conferimento del Premio Nobel a Quasimodo”), voglio aggiungere un dettaglio della descrizione introduttiva del Calabrò, a riguardo del carattere di questo grande poeta: “Quasimodo aveva un carattere difficile, da buon siciliano non si fidava di nessuno, era sempre sul “chi va là”, con le persone che non conosceva, ma dopo averle conosciute e apprezzate sapeva essere affabile e generoso”. Poi aggiunge, come se incalzato dalle domande del lettore curioso: “Si, è vero, il carattere di Quasimodo era, fra l’altro, anche alquanto reattivo e, a proposito si raccontano su di lui diversi aneddoti”.
IL NOBEL A QUASIMODO (di Anders Österling) – Sire, Eccellenze, Signore, Signori, il premio per la letteratura quest’anno è il poeta Salvatore Quasimodo, di origine siciliana, nato vicino a Siracusa e, più esattamente, nella città di Modica, a una decina di chilometri dalla costa. Non è difficile immaginare per quanto il luogo natio abbia significato per la sua vocazione futura. Gli antichi greci dell’Isola, i grandi anfiteatri presso il mare Jonio, la mitica fonte Aretusa, le gigantesche rivine di Girgenti e Selinunte: quale scenario per la fantasia della sua fanciullezza! Qui gli eroi della poesia ellenica sono stati ospiti del re Gerone, qui le voci di Pindaro e di Eschilo perdurano come un’eco antica attraverso il tempo.
Anche se dal punto di vista materiale Quasimodo è cresciuto in una relativa povertà, può nondimeno essere grato all’ambiente dove ha vissuto la sua giovinezza.
Parecchi anni trascorsero in inquieta peregrinazione prima che il poeta prendesse coscienza del suo talento e cominciasse a orientarsi verso la letteratura classica. Questi studi, a tempo opportuno, avrebbero avuto una grande importanza nella sua attività di traduttore classico, che costituisce oggi la base del suo contributo alla poesia italiana.
Senza alcun dubbio la severa educazione classica ha suscitato un impulso, non verso un’imitazione tradizionale, ma verso un controllo rigoroso di tutto ciò che concerne al vigore della parola, e il desiderio di un’intima penetrazione stilistica del verso. Quantunque ritenuto uno dei moderni rinnovatori della poesia, Quasimodo resta, in un certo senso, legato alla tradizione per le sue qualità di vero erede del mondo classico.
Quasimodo esordì nel 1930, ma soprattutto nel periodo che va dal 1940 al 1950 sarà ritenuto uno dei più grandi poeti lirici italiani, con una fama che ormai non sarà più solamente nazionale, ma mondiale. Egli appartiene alla stessa generazione di Silone, Moravia e Vittorini, cioè a quella generazione di autori orientati a sinistra che non potè farsi udire che dopo la caduta del fascismo. In ogni caso, Quasimodo ha questo in comune con i prosatori citati, che è fortemente impegnato nella realtà del destino dell’Italia moderna. La sua produzione letteraria non è molto estesa; si limita a cinque raccolte poetiche che riflettono la sua evoluzione fino a una piena maturità e alla sua intera originalità. Citerò i titoli più rappresentativi: Ed è subito sera, del 1942; Giorno dopo giorno, del 1947; La vita non è un sogno, del 1949; Il falso e il vero verde, del 1953; e infine La terra impareggiabile, del 1958, che costituiscono, nel loro insieme, un’opera omogenea di indescrivibile valore.
La Sicilia della sua infanzia e della sua giovinezza Quasimodo l’ha cantata con un amore che, dopo la sua partenza per l’Italia del nord, ha acquistato una profondità più grande e una prospettiva più ampia: il paesaggio insulare sferzato dal vento, con i colonnati dei templi greci, la sua grandezza desolata, le sue povere città, la sue strade polverose fra le colline coperte di uliveti, la musica aspra del mare e i corni dei pastori. Tuttavia non può essere considerato un poeta provinciale. La sfera dei suoi argomenti si allarga a mano a mano che il suo pathos umano prorompe attraverso la forma ermetica alla quale si era prima legato. Sono innanzitutto le esperienze amare della guerra che danno l’impulso a questo cambiamento di direzione e hanno fatto in lui un interprete di tutta la vita morale del suo popolo nell’esperienza quotidiana e nel confronto incessante con la morte. Durante questo ultimo periodo ha creato un certo numero di poesie di così sublime altezza che si può essere certi della sua perennità. Quasimodo, naturalmente, non è l’unico poeta italiano che sia stato toccato in questo modo dal martirio del suo Paese e del suo popolo, ma la gravità austera e appassionata del siciliano possiede un accento tutto particolare, quando chiude una delle sue elegie di guerra con questo grido:
Tutto si travolge, ma i morti non si vedono.
Il mio paese è l’Italia, o nemico più straniero,
e io canto il suo popolo, e anche il pianto
coperto dal rumore del suo mare,
il limpido lutto delle madri, canto la sua vita.
(da Il mio paese è l’Italia)
Quasimodo ora esprime l’audace convinzione che la poesia non valga per se stessa, ma per la missione incontestabile che essa ha di poter rinnovare, con la sua forza creatrice, l’uomo stesso. Per lui la strada per la libertà è la stessa che porta a vincere la solitudine (aprendosi al colloquio), e la strada del poeta si orienta in quella direzione. In ogni caso, la sua opera è diventata una voce viva e la sua poesia l’espressione artistica della coscienza del popolo italiano, nella misura in cui ciò è possibile per una poesia che conserva con il suo carattere laconico la sua particolare struttura. Modi biblici nella sua lirica si accompagnano a motivi della antologia antica, quella mitologia che è una sorgente sempre presente all’ispirazione di un siciliano. L’atmosfera fondamentale della sua poesia è cristiana pietà, che nei momenti di ispirazione suprema, attinge all’universale.
Signore, la motivazione dell’Accademia Svedese per il Premio che oggi vi viene accordato è la seguente: PER LE SUE POESIE CHE, CON ARDORE CLASSICO, ESPRIMONO IL SENTIMENTO TRAGICO DELLA VITA DEL NOSTRO TEMPO. La vostra poesia ci è vicina, come un messaggio autentico e vivo di quell’Italia che, da secoli, conta nel nostro Paese amici e ammiratori fedeli. Nell’esprimervi le nostre più cordiali felicitazioni, vi preghiamo di voler ricevere dalle mani di Sua Maestà il Re il premio Nobel per la Letteratura.
(Dal “Discorso ufficiale per il conferimento del Premio Nobel a Quasimodo”, tratto dal manoscritto IL PERSONAGGIO SALVATORE QUASIMODO “Per saperne di più” a cura di Carmelo Calabrò)
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