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Il periodo arabo normanno in Sicilia (la Basilica dei SS. Pietro e Paolo D’Agrò)
Nel VII secolo d.C., gli Arabi si convertirono all’Islam e, da nomadi e politeisti, diventarono guerrieri, conquistatori, monoteisti e, in meno di un secolo, riuscirono a unificare, sotto la nuova religione, gran parte dell’Asia e dei Paesi rivieraschi del Mediterraneo, giungendo fino alla penisola Iberica.
La conquista araba della Sicilia ebbe inizio con lo sbarco di Mazara (827 d.C.), e si spostò verso la capitale della Sicilia bizantina, Siracusa. Palermo cadde in mano araba nell’831 e divenne subito capitale, sede del governo militare e civile arabo, con emiri che la resero florida e celebrata, con il suo mezzo milione di abitanti, le trecento moschee, gli incantevoli giardini e l’abbondanza di acqua.
Di quasi due secoli di presenza araba in Sicilia (dal IX all’XI sec.), è rimasto ben poco, tranne qualche piccola traccia. Ma consistenti sono le testimonianze della cultura islamica nell’architettura siciliana in epoca normanna. La conquista normanna della Sicilia ebbe inizio da Messina, per opera di due fratelli della famiglia Altavilla: Roberto il Guiscardo e Ruggero.
Palermo cadde in mano normanna nel 1072. Noto, ultima roccaforte musulmana, si arrese nel 1091. I Normanni erano rudi guerrieri e abili politici, legati alla tradizione religiosa e culturale cristiana. Nonostante ciò, assunsero le tecniche e il gusto espressivo islamico, nella decorazione degli edifici e preferirono circondarsi di dotti funzionari musulmani, a sostegno della monarchia. A livello architettonico e musivo, invece, fecero uso delle abilità dell’etnia bizantina. L’arte romanica in Sicilia è, dunque, una sintesi singolare di diverse culture, (islamica, bizantina, normanna) e testimonia che l’incontro con modi differenti di vivere la vita può generare una ricchezza.
L’arte arabo-normanna ci ricorda che il desiderio di dialogo con l’Islam ha radici profonde. Inoltre, nell’arte siciliana di età romanica, è riconoscibile la stessa cultura e la stessa concezione della vita allora presente in tutta Europa, basata su valori e su un’esperienza accettata da tutti: il senso, religioso non come fenomeno intimistico (perché altrimenti non sarebbe una novità), ma come fenomeno sociale.
CARATTERI SALIENTI DELL’ARTE ISLAMICA
Il centro della fede cristiana è l’Incarnazione, cioè l’Avvenimento di Dio che si fa uomo nel tempo e nello spazio. L’Islam, invece, vede la presenza del Dio unico nell’illimitatezza dello spazio. Questo concetto astratto, che sta alla base della fede musulmana, non è rappresentabile: per questo l’arte è aniconica e decorativa. Infatti, l’immagine non descrive mai Dio e rarissimamente il profeta Maometto; rappresenta soltanto animali stilizzati e figure geometriche. La bellezza, dell’esistenza di Dio, si ottiene con la perfezione e la precisione geometrica. La ripetitività decorativa, segno dell’unità e della molteplicità, trova fondamento nell’innato senso del ritmo ciclico dei popoli nomadi. Di gusto tipicamente islamico sono le colonnine annicchiate, l’arco a ferro di cavallo, l’arco a sesto acuto molto pronunciato e ampio, l’arco polilobato, l’impiego decorativo della scrittura, del mosaico, delle mattonelle con disegni geometrici, dello stucco traforato, del legno preziosamente intagliato.
CARATTERI SALIENTI DELL’ARCHITETTURA NORMANNA
Due torri fiancheggiano la facciata degli edifici religiosi normanni (la Cattedrale di Cefalù, [nella foto in alto], che secondo la leggenda, il nobile Ruggero II ne ordinò la costruzione per ringraziare Dio che lo salvò da una tempesta facendolo approdare a Cefalù); le murature sono spesse, anche se non servono a sostenere il peso della volta, dato che le prime costruzioni erano coperte da tetti lignei; elementi verticali, generalmente semicolonne che vanno dal pavimento al tetto all’interno dell’edificio, assolvendo la funzione di contrafforti interni dal punto di vista statico; archetti pensili e lasene [1], danno vita e movimento all’esterno della costruzione.
LA BASILICA DEI SS. PIETRO E PAOLO D’AGRO’ (cenni storici)
Armonioso, raro gioiello dell’architettura, essa sorge sul lato sinistro della vetusta cittadina di Casalvecchio Siculo, sopra la fiumara Agrò. Un’opera quanto mai splendida per le sue caratteristiche architettoniche, costruita nel periodo normanno, racchiude tutta la sintesi di elementi preesistenti, creando stili misti di grande bellezza. In particolare, i Normanni fecero propri alcuni elementi costruttivi delle culture, Bizantina e Araba. Nell’insieme si evidenzia la policromia dei materiali, come appunto il laterizio, pietra bianca arenaria e nera lavica, formando nel complesso una fisionomia pittoresca, poiché sorprende il visitatore con l’eleganza della sua mirabile linea costruttiva, dando un’ottica ben definita. Mediante i vari tipi di materiali usati per la costruzione, alternandoli fra di loro, creano uno straordinario “gioco”, nel modo in cui formano le diverse forme geometriche, tra cui si delineano delle merlature che indubbiamente indicano la funzione di fortezza. La Basilica, vide la sua prima costruzione nel 560, durante la dominazione Bizantina, grazie all’avvento dei monaci Basiliani, che non erano altro che i seguaci di San Basilio, che alla morte di questo si sparsero nei diversi monasteri già fondati in Sicilia e Calabria. Fu in seguito saccheggiata e quindi distrutta, durante la successiva invasione araba qualche secolo più tardi, per poi risorgere, grazie alla magnanimità dei Normanni, e per essi dal Conte Ruggero I, il quale dopo la strepitosa vittoria sugli Arabi, attribuita alla virtù dell’Onnipotente, aveva decretato ed iniziato la ricostruzione del tempio. Ma colto da immatura ed improvvisa morte, non potè portare a termine il suo disegno. In ossequio alla volontà paterna, vi provvide il figlio Ruggero II nel 1117, ereditando dal padre l’appellativo di Conte, si fece coronare a Palermo nel 1130 Re di Sicilia, titolo che gli venne confermato da Papa Innocenzo II.
Da un diploma di Ruggero II dell’ottobre 1116, apprendiamo che il Conte, ritornando da Messina a Palermo, durante una sosta di scalo a S. Alexi, fu avvicinato da un monaco venerabile Abate Gerasimo, un uomo da molti lodato per la sua grande virtù. Costui, con rispetto e riverenza, supplicò umilmente la Maestà nostra, affinché gli desse aiuto e facoltà di riedificare il Tempio. Nella parte iniziale del diploma, così si legge: Ruggero, costituito legittimo erede della buona memoria di mio padre, conte Ruggero, mi sono cooperato a tutt’uomo, per la gloria di Dio e per il bene della mia anima, di portare a termine tutte le opere di culto iniziate dal genitore, dopo che moltissimi monasteri furono devastati e saccheggiati nel Regno della Sicilia. E perché il monastero non mancasse di nessun’altra assistenza, gli fu donato un introito di certi fondi, consistenti in estesi campi di querce, di pascoli per gli animali, terreni coltivati ed incolti, alberi da frutto, corsi d’acqua per impiantare mulini. E fu donato al monastero lo stesso villaggio (Vico di Agrilla), oggi Forza D’Agrò con tutti gli uomini abitanti, perché fossero sempre e per qualunque servizio a disposizione del monastero. E dopo aver detto dell’obbligo che incombeva ai detti abitanti, di portare due galline al monastero nelle feste di natale e di Pasqua, nonché la decima sulle capre e sui maiali. Tra i pesi che gravavano sul bilancio della mensa conventuale dell’Abbazia, vi era la locazione del carcere in Casalvecchio, per la podestà che nell’ambito della sua giurisdizione, l’Abate aveva di giudicare, di condannare e mettere in duri vincoli, quanti commettessero un delitto, rimanendo tuttavia riservata la pena per omicidio alla curia reale. In questo modo, l’Abate veniva equiparato in tutto ad un Barone normanno del tempo, avendo per i suoi sudditi un foro con poteri, giudiziario ed esecutivo.
La Basilica fu rinnovata nel 1172, cioè all’epoca della più fulgida fioritura dell’arte Siculo-Normanna, appena tre anni dopo il terribile terremoto del 1169, che squassò la Sicilia orientale e che danneggiò gravemente la chiesa medesima. Come si attesta, fa fede una scritta posta sul falso architrave del portone principale, dove appunto si legge in greco antico, fu rinnovato questo tempio dei S.S. Pietro e Paolo da Teostericto catecumeno tauromenita, a sue spese. Possa Dio ricordarlo, anno 6680 (data, secondo la cronologia greca), avvalendosi dell’opera dell’architetto Gherardo il Franco. Accanto alla basilica, verso sud si possono notare i ruderi di un grande monastero, dove avevano preso alloggio i missionari di san Basilio. Sito che restò operoso fino al 1794.
Tornando al tempio, qui tre stili si fondono in sintonia, magnifica estetica: arte bizantina – araba – normanna. L’arte bizantina si rivela: nella decorazione delle facciate, con strette e basse lesène, terminanti con archeggiature incrociate; nella struttura a mattoni con ornati a dente di sega ed a spina di pesce e nella sagoma dei pulvini. L’arte araba si distingue, grazie alle archeggiature sovrapposte, sorreggenti la cupola minore alla forma terminale curva delle merlature, ed alla cupola che si sviluppa su una serie di pennacchi sovrabbondanti con un tamburo ottagonale contenente otto finestrelle. L’arte normanna si evidenzia con lo schema planimetrico a tre navate, con ingresso fiancheggiato da due torri ed il portico interposto tra le stesse torri.
[1] La LASENA, (forse dall’arabo lisan “lingua”), è un elemento di ordine architettonico addossato a parete, quindi verticale, che consiste in un fusto, a pianta rettangolare, appena sporgente dalla parete stessa, con i relativi capitello e base. La definizione dell’elemento si basa sulla sua funzione decorativa e non portante.
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