Bastian Contrario
Anna Frank: dai banchi di scuola ai (vergognosi) fatti di oggi
I fatti di questi giorni mi lasciano particolarmente basito. Parlo dell’immagine di Anna Frank, utilizzata ad arte per schernire una squadra avversaria. La tifoseria della Lazio in questo caso, ma avrebbe potuto trattarsi qualsiasi altra squadra calcistica. Non voglio e non so entrare nel merito, ma certo è, che ci sono almeno due scuole di pensiero sulla “cultura” e sulla “conoscenza” della persecuzione e genocidio ebraico: secondo la prima, la causa scatenante di tutto sarebbe l’eccessiva ignoranza che regnerebbe sovrana sull’argomento shoah, tanto più relativamente alla tifoseria degli stadi. La cosa provocherebbe l’utilizzo di temi così seri e tragici come percorribili con molta leggerezza. L’altra corrente di pensiero, di segno diametralmente opposto alla prima, dichiarerebbe invece che, sin troppa “divulgazione” dell’argomento (anche attraverso i media), provoca in un pubblico che vuole solo “bestemmiare”, la facile ed immediata riconoscibilità di un’immagine e di un periodo storico emblematico.
Seconda guerra mondiale. Anna Frank, è tristemente famosa in tutto il mondo per il suo Diario. Chi è stata Anna, lo sanno tutti. A raccontarcela a noi bambini della scuola elementare fu per primo, nel mio caso, il compianto maestro Carmelo Calabrò. Eravamo in quinta. Tanta tristezza dalle parole dell’insegnante nel raccontarci la sofferenza di questa ragazzina ebrea, ragazzina che visse nascosta con la propria famiglia e per lungo tempo, per sfuggire alla persecuzione nazista.
Proprio nel vecchio libro di quinta, a pagina 27, rileggo oggi un brano tratto dal Diario di Anna: Sabato, 7 novembre 1942. Cara Katty, mamma è terribilmente nervosa e ciò è sempre molto pericoloso per me. È un caso se il babbo e la mamma non strapazzano mai Margot (la sorella) e tutto ricade su di me? Per esempio: ieri sera Margot leggeva un libro con delle splendide illustrazioni; si alzò, andò di sopra e mise e mise da parte il libro per riprendere a leggerlo più tardi. Io non avevo nulla da fare, presi il libro e guardai le fifure. Margot tornò indietro, vide il suo libro in mano mia, aggrottò la fronte e mi chiese il libro indietro. Io volevo guardarlo ancora un pochino, Margot si indispettì ancor di più, la mamma si intromise dicendo: “Il libro lo sta leggendo Margot; daglielo, dunque!”. Papà entrò in camera, non sapeva nemmeno di che cosa si trattava, vide che si faceva un torto a Margot ed esclamò rivolto a me: “Vorrei vedere te, se Margot sfogliasse un tuo libro!”.
Io cedetti subito, deposi il libro e uscii dalla camera offesa, secondo lui. Non ero ne offesa ne stizzita, ma semplicemente rattristata.
Papà ha fatto male a giudicare senza sapere com’era la questione. Io stessa avrei dato il libro a Margot, e glielo avrei dato anche prima se papà e mamma non se ne fossero immischiati prendendo le difese di Margot come se avesse subito chi sa che torto.
Mamma protegge Margot, è evidente; lei e Margot si appoggiano sempre. Ci ho tanto fatto l’abitudine che sono diventata del tutto indifferente ai rimbrotti di mamma e ai malumori di Margot.
Voglio loro bene soltanto perché, dopo tutto, sono mamma e Margot. Con papà è un’altra cosa. Se egli preferisce Margot, approva ciò che fa Margot, loda Margot e accarezza Margot, io mi rodo, perché vado pazza per papà. È il mio grande modello, a nessuno al mondo voglio bene quanto a papà.
Egli non si rende conto che tratta Margot differentemente da me. Margot è la più brava, la più cara, la più bella, la più buona. Ma anch’io ho qualche diritto a esser presa sul serio.
Sono sempre stata il pagliaccio e la briccona della famiglia, ho sempre dovuto espiare doppiamente i miei misfatti, subendomi i rimproveri e soffrendo la mia disperazione interiore. Ora queste carezze superficiali non mi soddisfano più non mi soddisfano più, e tanto meno i cosiddetti discorsi seri. Dal babbo vorrei qualche cosa che egli non è capace di darmi.
La tua Anna.
Margot e Anna, catturate e caricate su un treno merci, dopo aver passato un mese ad Auschwitz-Birkenau, vennero spedite a Bergen-Balsen, dove morirono di tifo esantematico.
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