Roccalumera, Storie di Sicilia
Giovanni Falcone. A 25 anni dalla sua tragica morte, fa ancora riflettere
Ieri, 23 maggio 2017: una corona d’alloro, almeno quella, l’avremmo voluta nella piazza (magari più curata) del nostro minuscolo paese. Roccalumera. La piazza già intitolata al giudice Giovanni Falcone. Avremmo voluto ricordare (come hanno fatto a Capaci… come hanno fatto a Roma), un siciliano, al quale è stata strappata la vita in quanto credeva nella Giustizia e nello Stato.
Il giudice Falcone, prima ancora di iniziare la sua lunga crociata contro la mafia, prima ancora di interrogare i membri di Cosa Nostra, ha modo (attraverso racconti fattigli da colleghi romani), di apprendere come questi esigano rispetto e rispettano solo chi manifesta nei loro confronti un minimo di riguardo. Dirà: “Uno dei miei colleghi romani, nel 1980, va a trovare Frank Coppola, appena arrestato, e lo provoca: “Signor Coppola, che cosa è la mafia?”. Il vecchio, che non è nato ieri, ci pensa su e poi ribatte. “Signor giudice, tre magistrati vorrebbero oggi diventare procuratore della Repubblica. Uno è intelliggentissimo, il secondo gode dell’appoggio dei partiti di governo, il terzo è un credtino, ma proprio lui otterrà il posto. Questa è la mafia…”.
COSA NOSTRA AVVERTE COSI’
I messaggi di Cosa Nostra diretti al di fuori dell’organizzazione – informazioni, intimidazioni, avvertimenti – mutano stile in funzione del risultato che si vuole ottenere. Si va dalla bomba al sorrisetto ironico accompagnato dalla frase: “Lei lavora troppo, fa male alla salute, dovrebbe riposare”, oppure: “Lei fa un mestiere pericoloso; io, al suo posto, la scorta me la porterei pure al gabinetto” – due frasi che mi sono state rivolte direttamente, è sempre Falcone a parlare. Le cartoline e lettere decorate con disegni di bare o con l’eventuale data di morte accanto a quella di nascita, e i pacchetti con proiettili sono riservati generalmente ai novelli, per sondare il terreno. Quando la mafia fa telefonate tipo. “La bara è pronta”, accentuando l’inflessione siciliana, ottiene senza alcun dubbio un certo effetto. Falcone aggiunge: “la mafia è razionale, vuole ridurre al minimo gli omicidi”.
“Nemico numero 1 della mafia”: l’etichetta gli resterà attaccata per sempre. Ma lui in modo scherzoso commentava: “non sono Robin Hood, nè un kamikaze e tantomeno un trappiasta. Sono semplicemente un servitore dello Stato in terra infidelium“. Il giudice Giovanni Falcone, dei suoi cinquantadue anni, ne ha trascorsi undici nell’ufficio bunker del Palazzo di Giustizia di Palermo a far la guerra a Cosa Nostra. E’ il 1991 quando viene pubblicato il libro dal quale lo scrivente sta traendo alcuni dettagli di: “COSE DI COSA NOSTRA”.
Giovanni Bonarrigo
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