Spettacolo e Cultura
I giardini di limone del lago di Garda (parte terza)
Una suggestiva visione di limonaie a ridosso del porto di Bogliaco di Gargnano. Per rendere l’idea di quanto importante fosse l’attività di coltivazione dei limoni per l’economia gardesana Lodovico Bettoni dei conti Cazzago, industriale-agricoltore e senatore bresciano, vissuto nel XIX secolo e che ricoprì varie ed importanti cariche amministrative anche nei comuni gardesani, nel suo trattato “L’agricoltura nei contorni del lago di Garda” così ne parla: “Da questa industria grande profitto trae direttamente o indirettamente la popolazione del lago perché vi operano giardinieri, muratori e falegnami. Questa attività dà vita e lavoro eziandìo a parecchie industrie presenti sul lago quali chioderie, fabbriche di carta, per la spedizione del frutto, seghe di assi e così via”. Di questa attività ne risentì profondamente la vita socio-economica, con positivi riflessi sull’occupazione di manodopera locale, fino ad allora alle prese con una vita misera e grama. Per completare questo sommario quadro legato ai giardini di limone giova ricordare che il prodotto viaggiava per tutta l’Europa. All’operazione di selezione del prodotto erano impiegati bambini e donne e i limoni si classificavano in fini, sopraffini, scarti, scartarelli e cascaticci. Il frutto era spiccato sempre a mano (da qui il nome di “spiccanda” per indicare la raccolta del frutto), stando sugli appositi scalini a pioli o su treppiedi, e riposto in un sacco di pelle di capra, tenuto a tracolla. Collocati poi in casse venivano trasportati via acqua a Torbole o Desenzano e da lì avviati verso i numerosi mercati europei, raggiungendo persino la lontana Russia degli zar. Le migliori qualità del limone gardesano stavano nell’acidezza, nella fragranza del succo e della scorza, nel suo durar fresco più a lungo. E non si badava al suo prezzo, ricorda Domenico Fava, studioso gardesano e Presidente dell’Associazione Storico Archeologica della Riviera del Garda, nella sua pubblicazione “La limonaia del Prato della Fame”, due e tre volte superiore a quello dei limoni prodotti in altre regioni italiane.
La Losi, nella pubblicazione più sopra citata, afferma che queste strutture forniscono una iconografia regionale unica in Europa. La promozione di questo aspetto del patrimonio paesaggistico sarebbe utile al turismo, creando musei all’aperto. Palazzo Bettoni a Bogliaco, l’area paesistica del Crocefisso sopra Gargnano, quella di S. Giacomo a Tignale unitamente alla limonaia del Prà de la Fam, i borghi di Piovere (frazione di Tignale) e di Bezzuglio (frazione di Toscolano Maderno), le limonaie a lago di Limone sono solo alcuni esempi.
Delle limonaie, come già detto, rimangono solo le vestigia, ove si faccia eccezione per alcune che ad opera di istituzioni pubbliche o di privati sono ancora in funzione, perché, riferisce sempre il Fava nella pubblicazione già citata, fin dalla seconda metà del secolo XIX era comparsa la malattia della gommosi che si estese su tutti i giardini gardesani procurando un crollo della produzione. Inoltre la concorrenza andava facendosi sempre più spietata, specie da parte dei produttori dell’Italia meridionale che videro equiparato il loro prodotto a quello gardesano, dopo l’unità d’Italia.
Ma un’altra vicenda storica contribuì a far decadere la peculiarità del limone del Garda. Essa fu la fine dell’Impero Austro-ungarico dopo la prima guerra mondiale. Non va dimenticato che il nostro limone aveva come mercati privilegiati quelli europei degli imperi austriaco, prussiano e russo.
3) La limonaia del porto di Tignale. Tra le tante limonaie che meritano attenzione ritengo debba essere dato conto di quella del Prato della Fame, tuttora in funzione.
Il Fava, nella sua pubblicazione più sopra citata, ci ricorda che il Prato della Fame (in dialetto “Prà de la fam”) è una minuscola striscia di terra formata dal torrente Baès in comune di Tignale. Così il Gratarolo, illustre letterato salodiano, la descrive: “E’ un portello con due case disabitate dove perché non si va etiandio se non per acqua o per un altro sentiero non men malagevole dei detti (quelli) che scendono a lago da Tignale e da Tremosine e non ci ha né molino né forno”.
Il porto di Tignale con la limonaia del Prato della Fame negli anni ’60. Silvan Cattaneo, salodiano scrittore del XVI secolo, narra che “prato della fame” ebbe nome quel luogo perché ivi spesso, contrastati da fieri venti e burrasche, eran costretti a fermarsi i naviganti e pescatori per un giorno intero e anco due senza aver modo, se mancavano di vettovaglie, di procacciarsene per la lontananza di paesi che l’irto monte postogli dietro nasconde e allontana.
Una tradizione vuole appunto che alcuni naufraghi, qui gettati da una burrasca, vi dimorarono per più giorni, senza potersi allontanare nè per acqua nè per terra, e soffrendo la fame, finchè furono salvati da alcuni pescatori.
Per la verità sul lago altri luoghi erano definiti prati della fame; si trattava di terre di proprietà comunale che da sempre, al sopraggiungere di una carestia, venivano cedute gratuitamente agli abitanti più poveri perché ne potessero ricavare di che vivere.
La famiglia Parisini di Gargnano con atto del 27 luglio 1754 venne in possesso di questo luogo e vi costruì un primo giardino ancor oggi denominato “Giardino vecchio”. Nel 1850 venne aggiunto il “Giardino nuovo” quello più a sud e che è stato, a dire della Losi, dal 1985 oggetto di restauro da parte della Comunità montana Parco Alto Garda bresciano, primo significativo esempio di intervento pubblico nella Riviera occidentale. (La Comunità ha avuto in comodato gratuito la limonaia dalla famiglia proprietaria). Le prime tre cole al limitare della Gardesana sono state oggetto di rivisitazione, sono state debitamente piantumate e vengono regolarmente protette con le apposite strutture in legno e vetro durante l’inverno. Essa è oggetto di numerose visite da parte dei turisti e degli studenti, che possono acquistare i prodotti della serra.
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