Spettacolo e Cultura
RICOMINCIARE
Ebbe la sensazione precisa che il flagello della recente epidemia fosse definitivamente alle spalle quando vide, sulla panchina di un parco pubblico che finalmente era tornato a riempirsi di vita, due ragazzi, poco più che adolescenti, baciarsi come solo i ragazzi al primo innamoramento sanno fare: con un impaccio delizioso, senza sapere come mettere le proprie labbra su quelle dell’altro, e tuttavia incollati l’uno all’altro come un ventosa.
Giuseppe distolse lo sguardo da quella scena, bellissima e, soprattutto, segno che la vita era ritornata, prepotente, a trionfare.
Gli sembrava, se avesse continuato a guardare ,di essere invadente, l’amore nascente di due ragazzi non meritava di essere scrutato, sia pure con ammirazione, da un anziano.
Inavvertitamente, dopo qualche minuto, il suo sguardo tornò sui ragazzi i quali non si baciavano più ma scherzavano allegramente tra di loro.
Osservò una scena che, al contempo, lo rincuorò e, un poco, lo depresse: il ragazzo aveva preso, delicatamente e con amore, la guancia della ragazza tra le sue dita e la arricciava un poco.
Alla ragazza quell’innocente gioco, segno di amore gioioso, piaceva.
Appena il ragazzo rilasciò la guancia della ragazza, la pelle di costei, quasi un elastico di primissima qualità, tornò immediatamente liscia ed al suo posto.
“Ecco la vita e la giovinezza” si disse Giuseppe, pensando, con una punta di amarezza, a come si sarebbe ridotta la propria pelle: se,per un qualsiasi motivo, l’avesse stretta tra le dita; ci avrebbe impiegato un poco di tempo prima di ritornare a rassodarsi.
Da quando aveva visto su se stesso l’effetto che faceva una stretta di dita (lo aveva fatto, alcuni mesi prima, con la pelle del dorso di una delle sue mani) aveva evitato accuratamente di ripetere il gesto.
”Sono proprio vecchio”, mormorò tra se e se Giuseppe.
L’età anagrafica non era poi così avanzata, aveva settantatre anni compiuti da poco e, a quanto ne sapeva, vi erano uomini che a quell’età si sposavano nuovamente, mettevano, addirittura, dei figli al mondo, affrontavano lunghi ed avventurosi viaggi.
Giuseppe, da sei anni pensionato, non aveva di queste velleità: non aveva avuto la fortuna di incontrare, come si dice, “l’anima gemella” ed era rimasto celibe: di tanto in tanto credeva di provare un sussulto di interesse incontrando una donna la cui, frequentazione, tuttavia lo raffreddava poco dopo fino a fargli perdere ogni interesse.
“Sarà di sicuro colpa mia, non ci so fare con le donne,” si ripeteva Giuseppe sconsolato ogni volta che un incontro finiva nel nulla.
La sua vita, nonostante il celibato, aveva degli spunti di interesse: era abbonato alla stagione teatrale cittadina e non mancava una rappresentazione; gli era accaduto di vedere fior di attori teatrali esibirsi sul palcoscenico a volte identificandosi con qualcuno di essi, soprattutto con i protagonisti sfortunati in amore.
Aveva, da un anno e mezzo, cominciato a frequentare l’Università della terza età: già il nome lo entusiasmava non poco; per ragione di bilancio familiare, la sua carriera scolastica si era arrestata al conseguimento della maturità presso l’Istituto Commerciale della città.
Aveva vinto un concorso nella pubblica amministrazione all’età di 26 anni, e per quarantuno anni di fila, aveva svolto l’attività di ufficio con diligenza anche se non aveva conseguito alcun avanzamento di carriera.
“Capita,” si diceva Giuseppe, a mo di consolazione: “non tutti i soldati diventano ufficiali, in fondo a me basta così.”
Gli “studenti” dell’Università della terza età erano più o meno suoi coetanei e coetanee, le donne erano, anzi, in numero doppio rispetto agli uomini.
Alcune di esse, già docenti universitarie, prestavano volentieri il loro impegno trasmettendo a questi studenti anzianotti le lezioni di base della materia che avevano insegnato all’Università.
La docente che più attraeva la sua attenzione aveva insegnato letteratura italiana e, con maestrìa, presso l’Università degli Studi, quella vera, e non mancava di trasmettere agli studenti l’amore per i grandi nostri poeti, scrittori, commediografi.
Giuseppe, durante l’ora della lezione, si estraniava completamente dalla realtà: gli sembrava che la docente lo conducesse per mano a fare conoscenza di Dante Alighieri e della sua Divina Commedia, ma anche dei poeti minori , non per questo meno importanti: Cecco Angiolieri, Guido Guinzelli, Iacopone da Todi e tanti altri i cui nomi ed opere all’improvviso affioravano alla sua mente materializzandosi nei ricordi.
Sua vicina di “banco” era Erminia: non molto alta, con un accenno, ma appena appena, di pinguetudine che invece di appesantirla le dava un’aria di ragazzina; con i capelli, una volta ricci adesso molto di meno , di un colore ambrato che a Giuseppe faceva un effetto gradevolissimo.
Una di quelle volte, quando la familiarità della frequentazione era diventata più stretta, a proposito dei capelli di Erminia, Giuseppe le aveva chiesto: “li tingi?”.
“Certamente” gli rispose Erminia, “ vuoi che a settanta anni suonati conservassero il colore originario?: ti posso garantire, tuttavia, che la coloritura rispecchia esattamente il colore originario , solo che oggi sono più brillanti per via della tintura che, di sicuro, non sarà di eccellente qualità.”
Erminia, prima della pensione, aveva insegnato chimica presso il liceo cittadino e, da sempre, era rimasta affascinata, oltre che dalle formule delle varie sostanze, sopratutto di quelle gassose, dalla letteratura la cui conoscenza non aveva potuto approfondire nel corso della vita lavorativa.
Non aveva avuto una soddisfacente vita coniugale; dal matrimonio non erano nati figli ed il sentimento, credeva fosse amore, che nutriva per il marito, nel corso di trenta anni di convivenza, si era sbiadito dando vita ad una sorta di”società di mutuo soccorso” quali ce ne sono tantissime nelle coppie di una certa età.
“Non voglio finire questo modo”, si era detta Erminia, stimava il marito ma non lo amava più e non voleva assolutamente che tale sentimento si trasformasse, nel tempo, in disprezzo.
Con grande sua sorpresa Erminia apprese che il marito provava, pressappoco, i suoi stessi non sentimenti ma per buona educazione, temendo di ferirla, esitava a dirglielo.
In modo civile, senza acrimonia alcuna, decisero di separarsi e, dopo qualche anno, di divorziare.
Di tanto in tanto si telefonavano “come stai?, la salute che dice?” giusto per ricordarsi di una persona con la quale, ciascuno di loro, aveva percorso un lungo tratto di strada.
Da cinque anni Erminia aveva divorziato e non pensava minimamente di cercare, a settanta anni, figurarsi!, un qualche impegno affettivo.
Un pomeriggio di primavera, al termine della lezione su Petrarca (per combinazione, tra gli altri sonetti, l’insegnante aveva recitato quello che comincia così: “Zefiro torna ed il bel tempo rimena”), Giuseppe, vincendo la naturale timidezza, disse ad Erminia: ti andrebbe di prendere un tè assieme?.
Erminia accettò di buon grado e di buonumore dicendosi che Giuseppe era un compagno di “ università” simpatico, attento ed amante della cultura, come lei del resto, ed entrambi si incamminarono verso una sala da tè li vicino.
Non si trattava, in realtà, di una vera e propria sala da tè, oggi non ne esistono più, ma il bar nel quale erano entrati aveva destinato una saletta, proprio in fondo, a sala da tè.
Un poco impacciato Giuseppe non sapeva come togliere il soprabitino indossato da Erminia: si avvicinò alla sedia alla quale era seduta la donna e cercò, con delicatezza, di sfilarglielo.
Meno male che Erminia, prontamente, si era alzata lasciandosi sfilare il soprabito altrimenti Giuseppe sarebbe rimasto, per chissà quanto tempo ancora, a cercare di sfilarlo mentre lei era seduta.
Il pomeriggio, fin a quasi le diciannove, trascorse in un baleno, ciascuno di essi narrò,per sommi capi ma in modo onesto e veritiero, la propria vita, i propri sogni e le proprie, inevitabili, delusioni.
L’appuntamento alla sala da tè, una volta la settimana, era diventato una piacevolissima consuetudine: mano a mano che gli incontri si susseguivano, Giuseppe non poteva fare a meno di pensare a quanto fosse gradevole l’amicizia con Erminia la quale, a sua volta, vedeva in Giuseppe un ottimo compagno con il quale trascorrere pomeriggi piacevolissimi.
Giunse l’estate e con essa il grande caldo.
Erminia si era trasferita in una sua casa di villeggiatura, dall’altra parte della provincia e si sentiva per telefono, almeno due volte la settimana, con Giuseppe: “ come stai, cosa fai, come passi le serate?” erano le domande che reciprocamente i due si facevano.
Settembre, e con esso le prime piogge, si presentò puntualmente ed Erminia fece ritorno in città
Le lezioni all’Università della terza età ripresero ai primi di ottobre e Giuseppe ed Erminia ricominciarono a frequentarsi nuovamente con regolarità.
Nel frattempo, nel cuore di Giuseppe, senza poterlo egli definire, si faceva strada un sentimento che non sapeva bene cosa fosse: una sorte di dolce abbandono ogni volta che incontrava Erminia, non che ci fosse nulla di che, ma sentiva, Giuseppe, che qualcosa era cambiata e che si trovava molto bene in compagnia di Erminia.
Per proprio conto Erminia avvertiva che la vicinanza di Giuseppe le provocava un benessere mai provato prima: una sorte di rilassatezza e di serenità che credeva oramai sepolti nelle inaccessibili cavità del proprio animo.
Nessuno dei due riusciva a meglio definire tale sentimento: più di una volta, l’uno all’insaputa dell’altro, si diceva: “ma è forse amore il sentimento che provo?”, “non fare il bambino ( o la bambina)” si rispondevano: ”a questa età?”, “l’amore si prova da giovani: quello di adesso è il tempo della pacatezza senza colpi di testa dei quali, subito dopo,di sicuro, ti pentiresti.”
Un pomeriggio la docente, tenendo una lezione su Dante, in particolare sulla Divina Commedia, aveva assegnato loro un tema da approfondire e, se ne avessero avuta voglia, di scrivere un breve saggio .
Si trattava di commentare il quinto canto dell’Inferno, in particolare la storia di Paolo e Francesca e del loro amore, finito tragicamente.
Chi legge? disse Erminia.
“Leggo io” rispose Giuseppe, “ tu ascolti e prendi appunti.”
Diligentemente Erminia, in un quaderno a fogli larghi, prendeva appunti: il momento storico, il luogo ed i protagonisti.
Mano a mano che andava avanti nel prendere appunti Erminia, sottecchi, si accorgeva di un cambiamento nell’aspetto di Giuseppe: sembrava più solenne, leggeva con trasporto, senza enfasi ma con sentimento, la storia di quegli sventurati amanti finchè giunse ad un passo che, pressappoco recita così: “Quando leggemmo il disiato riso essere baciato da cotanto amante questi che,mai da me non fia diviso, la bocca mi baciò tutto tremante”.
Mentre leggeva questi ultimi versi la voce di Giuseppe si incrinò e, a stento, potè completare la strofa.
Guardò intensamente Erminia e,senza pensare alla reazione dell’amica, si chinò in avanti e la baciò sulla bocca.
Un bacio lieve ed intenso al quale Erminia rispose con altrettanta levità e passione.
“Abbiamo entrambi settanta e passa anni” si disse Giuseppe, “chissà cosa penserà la gente di due anziani che si innamorano”.
Erminia, forse intuendo i dubbi di Giuseppe, lo prese per la nuca , lo avvicinò alla sua bocca e lo baciò, questa volta ardentemente e senza risparmio .
Al diavolo gli altri e le loro convenzioni si disse Giuseppe: “amo Erminia come un ragazzino e prometto di amarla per il resto della mia vita.”
Come se avesse udito nitidamente quanto Giuseppe aveva appena pensato Erminia rispose: “anche io amore mio, per tutta la vita.”
(Gianni MIASI)
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