Storie di Sicilia
“FURCI SICULO ANNI 40-50”. ANCHE IO SONO UN EMIGRANTE sono passati più di 53 anni
Quanto tempo è passato…Non mi sembra vero ma è proprio così! Da quando ho lasciato la mia terra, il mio paese per il mio primo giorno di lavoro sono passati cinquanta anni…mezzo secolo. Avevo appena conseguito l’agognato diploma, gli esami di stato iniziati il 03/07/59 diedero il loro responso il 03 agosto dello stesso anno e il 24 dello stesso mese, dopo un periodo di bagni e una notte insonne in treno, la mattina presto arrivai a Roma nella sede di una grossa impresa privata di costruzioni a livello nazionale dalla quale ero stato assunto. La città eterna mi accolse con tutta la sua meravigliosa grandezza e bellezza. Dovevo andare al Lungotevere Flaminio n°76, proprio vicino al ponte Duca D’Aosta, quello di fronte al Foro Italico e allo stadio Olimpico, sede dell’ufficio dell’azienda con cui mi apprestavo a lavorare. Non conoscendo la città chiesi informazioni al primo “pizzardone” sull’autobus da prendere. Il mezzo indicatomi era la D rossa che io presi, ma per un errore di valutazione scesi molto dopo e con la pesante valigia dovetti percorrere molta strada a ritroso a piedi.
La mia valigia da emigrante, in effetti quello ero, non era di cartone legata con lo spago come spesso si vede nei documentari. Per l’occasione, i miei me ne avevano comprata una bella in pelle che, insieme all’orologio da polso, erano stati i regali per il diploma. Il bagaglio a Roma mi creò il primo inconveniente. Sull’autobus alla richiesta del biglietto da parte del controllore, questi mi fece notare che avrei dovuto farlo anche per la valigia. A poco sono valse le mie rimostranze, in fondo ero in buona fede, non sapevo che anche per quel pesante fardello dovevo pagare e così ho preso la prima multa della mia vita…Alla fine del mese di settembre arrivò il mio primo stipendio, lo ricordo come fosse ora; chiusi in una busta bianca, che io velocemente aprii, c’erano quattro biglietti da diecimila lire e uno da cinquemila, pensai che fossero veramente tanti, almeno per me che li avevo solo visti in mano ad altri, ma questi li avevo guadagnati io. Credevo fossero tanti!!! Me ne resi conto verso il venti del mese successivo, quando dovetti scrivere a mia madre che immediatamente mi venne in soccorso con un vaglia da cinquemila lire.
Avevo trovato una cameretta in famiglia vicino all’ufficio dove pagavo settemila e cinquecento lire al mese ma, non essendoci allora la mensa, dovevo mangiare in qualche trattoria. Con dei colleghi, come me scapoli o con moglie e figli lontani, ne avevamo trovata una nei pressi dell’ufficio che con seicento lire ci forniva un abbondante primo (c’era tanto brodo nelle minestre) e un modesto secondo. Qualche collega si lamentava per la quantità e qualità; a me, che ho sempre mangiato poco, non importava molto.Mi lamentavo invece per l’elevato costo riferito alle mie possibilità. La sera ci si arrangiava con qualche panino, o meglio con della pizza bianca che costava meno e si poteva mangiare senza alcun companatico. Fumavo già tanto ed ero passato dalle Sport che costavano dieci lire cadauna alle Alfa e anche al tabacco sfuso con le relative cartine per risparmiare. Quanti chilometri ho fatto a piedi! L’autobus costava quindici lire prima delle otto e dopo le venti, venticinque nelle altre ore. Insomma, queste spese più qualche cinema, la biancheria da lavare e altre spese extra mi fecero capire che le quarantacinquemila lire per uno scapolo nella capitale non erano poi tante, anzi! Che duro quel periodo a Roma! Quasi figlio unico, non ero stato abituato ad essere indipendente, dovevo studiare e basta; mia sorella più grande di nove anni e già sposata abitava nella stessa via ed ero coccolato da lei e dalla mia adorata mamma. Entrambe avrebbero voluto insegnarmi a fare qualche cosa in casa, ma nello stesso tempo facevano di tutto per evitarmelo ed io ne approfittavo.
Per fortuna a novembre fui trasferito in un cantiere in Sardegna dove la società stava completando la costruzione di una diga. L’organizzazione della mia impresa era all’avanguardia in quel periodo; avevamo l’alloggio gratuito in una confortevole “baracca” in legno e la mensa al costo delle sole materie prime. Questo, insieme allo stipendio che era passato con tutte le indennità a cinquantatremila lire mensili mi rendeva un “benestante”. Ero orgoglioso, a fine mese mi rimaneva qualche soldo e non dipendevo più dai miei genitori. Ma quanto si lavorava! Nove ore al giorno sabato compreso, era quello che sindacalmente dovevamo fare, ma se ne facevano tante di più e la domenica fino a mezzogiorno dovevamo essere presenti; insomma avevamo libera solo la domenica pomeriggio.
Di tutto questo non mi lamentavo, ma ci fu un episodio che mi addolorò molto. Eravamo nel periodo delle feste Natalizie i lavori venivano sospesi e quindi il cantiere chiudeva. Ero l’ultimo arrivato e non avevo maturato abbastanza giorni di ferie di conseguenza non potevo andare a casa per Natale, ma solo per Capodanno. Rimasi in cantiere con la sola compagnia del guardiano. Avevo diciannove anni ed era la prima volta che stavo lontano da casa per le feste!!! Un altro ricordo non positivo fu il primo impatto con gli altri colleghi, sia impiegati che operai, in gran maggioranza veneti o del nord Italia. Notai un certo ostracismo quando seppero della mia provenienza. Ci rimasi molto male, forse di nascosto è scappata anche qualche lacrima, ma debbo essere sincero durò poco. Trascorso qualche mese gli stessi che mi avevano snobbato avrebbero pagato per frequentare l’ambiente che mi era creato: i sardi, molto gentili e ospitali, mi avevano accolto molto bene, forse perché isolani come me.
Ho raccontato solo qualche episodio, ma ce ne furono altri vissuti in prima persona o come testimone oculare con stati d’animo veramente angosciosi nel lavoro, che insieme alla salute e all’amore sono alla base della vita dell’essere umano.
In quest’ultimo periodo si parla spesso se si stava meglio allora o adesso, se era più facile trovare lavoro in quegli anni oppure oggi, discorsi che ho sentito fare anche ai miei genitori e ai miei nonni. In merito vediamo di continuo dibattiti in televisione, leggiamo molto al riguardo ed è motivo di discussione un po’ ovunque nei locali pubblici e tanto se ne parla in famiglia. Di questo discuto anche io con i miei figli, le loro consorti e i loro amici e la frase che spesso sento uscire dalla loro bocca è: “ Voi ci potete lasciare qualche cosa perché siete stati fortunati, noi quello che avete fatto voi non lo potremo mai fare; i tempi sono completamente diversi”. Non accetto questo discorso. Vorrei dire ai miei figli e ai tanti giovani con cui spesso nascono delle diatribe che non è stato facile come loro pensano, è stato molto duro per tutti. Quante rinunce! Le vacanze fatte a casa dei genitori perché non ci si poteva permettere di più, i divertimenti limitati. Anche allora, a parte i dipendenti pubblici, nessuno aveva la certezza del lavoro, anzi…! Quante ore in più ho fatto nella mia vita lavorativa senza che queste venissero retribuite! Quante nottate passate in treno, quanti aerei presi all’alba e quanti viaggi in macchina di notte per essere sul luogo di lavoro la mattina presto!! I sindacati non avevano i poteri di adesso e le prospettive, proprio come ora, non erano per nulla rosee. Debbo ammettere che, a parte il primo anno, il mio stipendio era maggiore di quello che stabiliva la tariffa sindacale e certamente me lo ero meritato; bisogna tenere conto che, a parte i genitori, nella vita nessuno ti regala niente per niente.
Qualsiasi acquisto in modo particolare quelli di una certa importanza come casa, macchina, mobili erano profondamente discussi e ponderati e dopo averli fatti…quanti pensieri !!! Dire che non si dormiva la notte è forse esagerato, ma certamente non si stava tranquilli. Era un continuo rincorrere, aumentavano le entrate ma poi tutto costava di più. L’inflazione galoppante (che come ora non corrispondeva secondo noi e i sindacati a quella dichiarata) favorì quelle poche persone che in quel periodo avevano tanti soldi, “i facoltosi” o chi, con un po’ di azzardo, fece degli investimenti, magari indebitandosi con le banche; tuttavia, dopo quattro cinque anni, costoro videro i frutti dell’ottimo affare fatto. Quasi tutte le famiglie in questo senso si sono mosse poco per paura, per non aver capito cosa stava succedendo o perché, non avendo i soldi, ben poco potevano fare (le previsioni dei così detti esperti non erano per niente rosee anzi). Chi investì è stato fortunato e fece quindi benissimo, ma vi posso assicurare che non era per niente facile prevedere l’andamento di certi prezzi (in speciale modo nel mondo dell’edilizia), altrimenti oggi ci sarebbero molti benestanti. La frase più frequente che si sentiva in giro era: “Avessi fatto questa o quell’altra cosa anni addietro, sarebbe stato molto meglio” (col senno di poi !!! …) Il momento oggi non è favorevole ma perché non essere ottimisti? Neanche noi, oggi anziani ma allora giovani, avevamo grosse prospettive, basti pensare ai primi anni sessanta e ottanta fra crisi varie, terrorismo, inflazione galoppante, con i politici di allora che alla fine erano come quelli odierni con pochi pregi e moltissimi difetti e dei quali dicevamo quello che più o meno si dice oggi. Noi genitori forse una “colpa” ce l’abbiamo. Io, ad esempio, ho comprato il triciclo a mio figlio che ancora non camminava, e questo è un piccolo esempio di come volevamo dare alla nostra prole quello che noi non avevamo avuto da piccoli. Forse questo nostro comportamento ha fatto pensare a molti che si poteva ottenere tutto in breve tempo e … facilmente, ma non è così ….
Cordialmente Mariano
Invia un Commento