Spettacolo e Cultura
I giardini di limone del lago di Garda (parte seconda)
Così si presentò il paese di Limone alla ammirata vista di Goethe – Tra i tanti poeti e scrittori, ammirati visitatori del nostro bel sito, giova far menzione del poeta tedesco J.W. Goethe. La sua è da considerare, come ci ricorda il giornalista gardonese Attilio Mazza nella pubblicazione più sopra citata, la più nota descrizione letteraria dei giardini di limone. Il poeta, partito all’alba del 13 settembre 1786 da Torbole su una barca con vela spiegata per approdare a Malcesine, così si espresse nel suo libro “Viaggio in Italia” : “La mattina era splendida, bensì nuvolosa, ma, all’albeggiare, tranquilla. Passammo davanti a Limone, dagli orti ripidi disposti a terrazze e piantati a limone, che offrono un florido e lindo panorama. Ogni orto consiste di file di pilastri bianchi quadrangolari che, a una certa distanza uno dall’altro, risalgono il monte a gradinate. Sopra i pilastri sono posate robuste pertiche per proteggere d’inverno gli alberi piantati negl’intervalli. La lentezza del viaggio era propizia alla vista e all’osservazione di tutti quei bei particolari.” In una successiva poesia così il nostro si esprimeva: “conosci tu la terra ove il cedro fiorisce, ove scintillano sovra bruno fogliame aranci d’oro, un dolce vento spira pel cielo azzurro ed umile, il mirto vi germoglia, alto l’alloro?. Conosci tu la terra dove fioriscono i limoni?”.
Ma anche lo scrittore inglese D. H. Lawrence, che soggiornò a Villa di Gargnano dal settembre 1912 all’aprile del 1913, così descrisse il paesaggio che lo emozionò nel volume “Sul lago di Garda“: “durante tutta l’estate, sui fianchi della montagna che scendono ripidi al lago, si vedono fili di nudi pilastri spuntare dal verde del fogliame come rovine di templi. Sono pilastri in muratura, bianchi e quadrati, che si ergono dritti e abbandonati sui fianchi della montagna, formando colonnati e piazze che sembrano i resti lasciati da qualche grande razza che avesse qui un tempo il suo culto. Io stavo lì a sedere e guardavo il lago. Era bello come il paradiso: era come il primo giorno della creazione”.
Il viaggiatore che ancora oggi si affaccia sulle sponde del nostro bel lago non può non rimanere incantato alla vista delle enormi vestigia dei pilastri, delle terrazze, delle bianche muraglie e dei piloni che sono il ricordo vivo, tramandatoci da secoli, di quelle che furono le limonaie del Garda.
Giuseppe Solitro, studioso veneziano (anche se nato a Spalato), che a Salò fu insigne docente di lettere, nel suo libro “Benaco” dice che queste strutture non possono fare a meno di destare l’attenzione e destar la meraviglia del forestiero e dà ai colli e alle rive un aspetto strano e fantasioso di palazzi incantati. In un altro passo così le descrive:” Subito dopo ricomincia la muraglia dritta, livida, plumbea che ombre gigantesche proietta nell’acqua che la sferza; per brevi tratti il monte si ritira alquanto e in suo luogo subentra la collina che morbida scende fino al margine del lago. Rivabella con qualche giardino d’agrumi e qualche pianta sta in basso e rallegra; poi il prato, con solitario porto al piede e un verde intenso di cedri e di limoni in alto”.
Le vestigia di una antica limonaia sul Garda – Queste serre all’aperto, costituite da terrazzamenti (dette “cole”), sulle quali sono collocate le piante di limoni erano disseminate di pilastri realizzati in pietra e malta di calce sui quali d’inverno venivano appoggiate le travi di castagno (detti “sparadòs”) che unitamente alle vetrate consentivano la completa chiusura del giardino nel periodo della stagione fredda. Con l’arrivo dei primi freddi i giardinieri provvedevano a tappare ogni fessura con fieno o erba fatta seccare (detta “pàbol”); era questa operazione chiamata “stupinàr”. La struttura era completata dal casello (“casèl”) simile ad una torre di due o tre piani comunicante tramite porte o finestre con il tetto della limonaia. Durante i mesi invernali i giardinieri accendevano dei falò nella cola ogni due campate facendo bruciare fascine di legna di olivo. L’operazione richiedeva molta cura affinché il fuoco ed il fumo non danneggiassero le piante di limone.
Il mite clima gardesano e la sua particolare insolazione, come dice Leila Losi, insegnante e ricercatrice salodiana, nella sua pubblicazione “I giardini di limone del lago di Garda”, richiedeva che il giardino fosse esposto preferibilmente a sud-est e quindi con il fronte rivolto verso il lago. Il sole infatti sorgeva dalla sponda veronese al di là del lago e i suoi caldi raggi riscaldavano le limonaie per molte ore prima del tramonto; di notte la roccia dei monti sul retro rilasciava il calore accumulato durante il giorno. Il giardino inoltre, protetto da un muro, era di solito posto a ridosso della montagna, per proteggerlo dal vento.
Queste annotazioni fanno considerare come i giardinieri gardesani avessero profonde conoscenze delle leggi della fisica, pur non essendo reduci da molti studi.
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