Storie di Sicilia
TOTO’ RIINA e NINETTA BAGARELLA: STORIA DI UN MATRIMONIO CLANDESTINO
STORIE DI SICILIA – Don Totò Riina, sino al giorno della cattura (15 gennaio del ’93) era ritenuto il numero uno della Cupola mafiosa. L’uomo più temuto d’Italia, il regista delle stragi di Capaci e di via D’Amelio, uno dei protagonisti degli attentati al tritolo computi nell’estate del ’93 a Milano, Firenze e Roma. Ma torniamo a un paio di decenni indietro, al tempo della gioventù di Totò.
Ninetta Bagarella. Aveva i capelli neri corvini e la passione per gli studi classici. In quel tempo, a Corleone, feudo del boss Luciano Liggio, come tutte le ragazze della sua età, la giovane Antonietta Bagarella fa vita ritirata: la scuola, lo studio e le faccende di casa. Nel frattempo, Antonietta, che in casa chiamavano Ninetta, arriva in età da matrimonio e viene promessa a un picciotto del paese, Totò Riina, un giovane contadino che ha già avuto diversi problemi con la giustizia per storie di furti di bestiame, estorsione e tentati omicidi.
Ninetta sa che Totò è amico di Luciano Liggio, il capomafia ricercato dalla polizia di tutt’Italia. Ma è un particolare che poco importa a Ninetta, decisa com’è a sposare Totò. Pare che la giovane Bagarella fosse innamorata di quel picciotto, che bello non era davvero ed era basso di statura, ma tanto basso che in paese lo chiamavano “Totò u curtu”. Un dettalio insignificante per Ninetta che, evidentemente, aveva visto ben altro in quel giovane.
Storie di vita contadina, frammenti di un passato patriarcale, in cui i maschi non potevano mai pensare di sposarsi prima delle donne di casa dalle quali li separavano poca differenza d’età. Loro, i giovani di casa, avevano il compito di assicurare la dote alle sorelle, poi avrebbero pensato ai loro interessi. Una volta nei paesi della Sicilia era così, a fidanzare i giovani ci pensavano i familiari. Certo, non era così in tutte le case, ma nell’immaginario collettivo il rapporto tra Ninetta Bagarella e Totò Riina rientrerebbe nel clichè del cosiddetto matrimonio combinato. Ma questa è un’altra storia…
Terminati gli studi classici, Antonietta Bagarella inizia a lavorare come supplente in una scuola elementare di Corleone. La ragazza pensa pure di frequentare l’università, ma a Palermo non arriverà mai, almeno per studiare.
Ninetta ha già superato i vent’anni quando pensa al matrimonio. Lo sogna sfarzoso, come lo immaginano tutte le ragazze della sua età. Ma per lei quel matrimonio da favola resta davvero un sogno, perché Totò Riina, accusato di parecchi omicidi, è già un uomo braccato dalla legge. Lo sposalizio pubblico non si potrà fare, perché Riina rischia di finire in manette. Non ci sarà, quindi, la musica, non ci saranno gli invitati, perché dovrà essere un matrimonio clandestino. Che fare? Come risolvere il problema? Ci pensa un sacerdote di Carini, amico di mafiosi: don Agostino Coppola, che alcuni anni dopo sarà sospeso a divinis perché coinvolto in un sequestro di persona organizzato da Luciano Liggio.
Il matrimonio fra Totò Riina e Ninetta Bagarella viene celebrato in una villa di proprietà di amici di don Totò, un posto anonimo, a metà strada tra Capaci e Carini, a pochi chilometri da Palermo. Presenti solo familiari stretti e amici intimi, tra i quali Luciano Liggio, che per “il grande evento” sfida la sorte e torna addirittura dalla latitanza. Un altro amico che non rinuncia alla festa è Bernardo Provenzano (pure lui latitante), detto “u trattùri” (il trattore) per la ferocia con cui elimina i nemici della “famiglia”.
Dopo la cerimonia, Riina e Ninetta Bagarella vanno a vivere in clandestinità: in una villa del quartiere palermitano Pallavicino. Ma quel matrimonio non viene mai registrato allo Stato civile. Riina e la moglie chiederanno di regolarizzarlo più di vent’anni dopo, in seguito alla cattura de boss, quando Ninetta Bagarella e i figli andranno a vivere a Corleone.
Un ritorno per la donna, forse la prima esperienza per i ragazzi che, probabilmente, appunto perché cresciuti in clandestinità, non avevano mai messo piede nel paese dei loro genitori. Ma potrebbe essere solo un’ipotesi, chissà, invece, se i figli del boss dei “corleonesi” non conoscessero già il paese dei loro genitori, dove si sarebbero recati qualche volta in incognito. Avranno rischiato i ragazzi? Si saranno recati a Corleone?
Nessuno di noi può dirlo. Il buonsenso ci porta a pensare che Riina non avrebbe permesso ai figli di farsi individuare dagli investigatori, che erano sempre sulle tracce del boss di Corleone. Ma forse non è nemmeno così, perché l’arroganza di Riina e le complicità attorno a lui avrebbero potuto portare i figli del boss a visitare il paese.
Sono quattro. La prima è Maria Concetta, nata nel ’75. Poi vengono Lucia e i suoi due fratelli, Giovanni e Giuseppe. Assieme alla madre arrivano a Corleone nel gennaio ’93, a due giorni di distanza dalla cattura del boss. Ora, in quella casa di vicolo dello Scorsone, Ninetta deve fare anche da padre per quei ragazzi, attorno ai quali c’è ancora oggi una fitta nebbia che copre il mistero della loro fanciullezza. Come sono cresciuti? Con chi hanno giocato da bambini? Dove hanno studiato? Qual è la scuola che hanno frequentato sotto falso nome?
Da alcuni istituti più noti di Palermo i figli di don Totò non sono mai passati. Lo hanno sostenuto diversi presidi, che sui registri hanno controllato un cognome sospetto: Bellomo, quello che Totò Riina portava scritto sulla carta d’identità il giorno della cattura. Sul documento una foto di don Totò, un’immagine che non aveva niente a che vedere con quella che trent’anni prima era finita nelle mani degli investigatori, un’istantanea che ritraeva il boss latitante a piazza San Marco, a Venezia. Il giorno dell’arresto, sulla carta di identità in possesso di Riina c’è scritto così: “Bellomo Giovanni, agricoltore di Mazara del Vallo”. Come dire, un personaggio anonimo per polizia e carabinieri, un cittadino che non aveva mai avuto a che fare con la giustizia quel tale Giovanni Bellomo. Ma quella messinscena non è servita al re dei “corleonesi”.
E i suoi ragazzi? Sapevano in realtà di chi erano figli? Tra gli investigarori ci sono diverse interpretazioni. C’è chi sostiene che sarebbero stati i telegiornali in edizione straordinaria del 15 gennaio ’93 a fare scoprire ai quattro giovani la vera identità del padre. Per qualche altro, invece, i ragazzi sapevano da tanto tempo di essere figli dell’uomo più ricercato dalla polizia di mezzo mondo.
P.S. La foto di Ninetta Bagarella si riferisce agli anni ’70.
NOTA: Testi tratti dal libro di Angelo Vecchio “TOTO’ RIINA la caduta dei corleonesi”, pubblicato nel 1997. (Riproduzione riservata).
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