Storie di Sicilia
IL PROF. VINCENZO CAMMARERI: FAMOSO IN VITA, DIMENTICATO DA MORTO
RICORDO DEL PROF. VINCENZO CAMMARERI
(Forza D’Agrò, 23.06.1911 – Ivi, 25 maggio 1953)
A cura di Santo Lombardo
Premettiamo che lo zio del prof. Vincenzo Cammareri era il prof. Giuseppe Garufi morto alla veneranda età di 94 anni, il 13 marzo 1903. Il Garufi, personaggio completamente ignorato a Forza D’Agrò, fu definito “onore e vanto dell’Università di Messina (fu direttore della clinica di ostetrica e ginecologica ed e autore di arditi interventi chirurgici dati alle stampe). Nel necrologio apparso sulla Gazzetta di Messina dell’anno 1903 si esprimevano le condoglianze ai nipoti dott. Nicolò e prof. Vincenzo Cammareri per la morte dello zio. Fu sotto il Garufi, scrive il prof. Vincenzo Pugliatti, che l’ostetrica fece a Messina significati progressi ma questo personaggio merita una nota biografica a parte. Sicuramente indirizzò agli studi di Medicina il prof. Vincenzo Cammareri, il cui centenario della morte è stato ignorato a Forza D’Agrò. E qui, profetiche, risuonano le parole scritte, nel 1918, di uno dei suoi biografi, il prof. Antonino Fleres:
“Il mondo potrà dimenticare, ma nessuno neghèrà che Vincenzo Cammareri, nel breve tempo in cui visse, rappresentò una forza che sollevava il livello morale della società alla quale appartenne.”
Vincenzo Cammareri nacque a Forza d’Agrò (precisamente nella contrada Laino), il 23 gennaio 1853 da Giuseppe, in seguito segretario del Comune. Morì a Forza d’Agrò il 09 giugno 1911 dove, per il sopraggiungere di un morbo inesorabile, si era ritirato qualche mese prima proveniente da Roma (aveva abbandonato Messina, vinto dallo scoramento, poco tempo dopo il devastante terremoto del 1908 in cui aveva pure prestato mirabilmente la Sua opera di medico).
A Messina abitava in fondo al viale San Martino in un villino chiamato “Villino Cammareri Hotel Excelsior“, una delle poche strutture che resistette al terremoto e dove, già nel 1991, si tenevano concerti.
Poco tempo prima, il 19.02.1911, era morto il fratello Nicolò, titolare di una delle più elegante e fornite farmacie di Messina, anche esso sepolto nella cappella gentilizia di famiglia a Forza D’Agrò..
Sulla sua tomba, sita in una cappella gentilizia del cimitero di Forza D’Agrò, sta scritto sul gelido marmo dove il nipote omonimo, Vincenzo, fu Nicolò Cammareri, unico superstite della famiglia, lo compose:
VINCENZO CAMMARERI
23 gennaio 1911 – 25 maggio 1953
Medico insigne e animo schivo d’ogni mendacio – a viso aperto difese il giusto nei pubblici uffici- cercò il vero nella scienza – le tenaci virtù cittadine propone l’epidemia colerica del 1887 e il cataclisma del 1908 – Raro esempio di vita intemerata tenne fede all’idea repubblicana – propugnò la libertà del pensiero – Messina ne piange la perdita.
La famiglia, poi, si trasferì nella contrada Piazza in una villetta, oggi in parte, proprietà dei Carullo. La piazza, oggi è denominata “ Piazza Vincenzo Cammareri “ anche se la deliberazione che ne motiva l’intitolazione, dalle mie ricerche, pare che non esista.
Sul suo conto fu scritta dall’omonimo nipote Vincenzo fu Nicolò, una pubblicazione, dopo la sua morte, tipograficamente listata a nero, dove c’è anche la sua foto, dal titolo “In memoria del prof. Vincenzo Cammareri“ che raccoglie gli articoli scritti sui giornali e i discorsi tenuti da uomini illustri intervenuti al suo accompagnamento che, per sua espressa volontà testamentaria, si svolse con rito esclusivamente civile. La sua salma non fu portata né in chiesa né fu accompagnata da preti. Era ateo convinto e anticlericale e legato agli immortali idee della massoneria.
Al suo accompagnamento intervennero delegazioni del partito repubblicano a cui era legato politicamente e di diverse sette massoniche di Messina alle quali era iscritto.
Il nipote Cammareri Vincenzo di Nicolò nato a Messina il 29.5.1891, che fu anche Sindaco di Forza D’Agrò, autore delle pubblicazioni “Primulae“ di stampo anticlericale che contiene anche articoli apparsi sul giornale “Il Parafulmine” che si stampava a Fiumedinisi ed “In morte del prof. Vincenzo Cammareri“ contrasse matrimonio in Porto Ceresio, agli estremi confini Nord dell’Italia, il 12.4.1913 con Viale Benedetta Berenice; del personaggio, poi, abbiamo perse le tracce.
La pubblicazione più completa su Vincenzo Cammareri, tuttavia, risale al 1918, sette anni dopo la sua morte, quando il prof. Antonino Fleres, scrisse in atti dell’accademia peloritana, una esaustiva nota bio-bibliografica dal titolo: “Commemorazione del socio prof. Vincenzo Cammareri“.
Dalle notizie biografiche del Fleres risalta subito una incongruenza inspiegabile. Rimarca il Fleres: “Vincenzo Cammareri ottenne in vita quella sana popolarità a cui tutti aspirano, pochi raggiungono, quasi nessuno merita”. Dopo la morte fu completamente dimenticato. Nessuna delle pubblicazioni su Forza D’Agrò, pur in presenza delle fonti storiche, ha illustrato la sua figura, se non in termini molto vaghi e sintetici. Nessuno sa in fondo chi fu e che cosa fece in vita che, come vedremo, fu molto e di valore sia in campo medico che come impegno politico e civile. Apparteneva al partito Repubblicano, politicamente molto forte in Messina, tanto da eleggere come proprio rappresentante alle elezioni politiche post-unitarie Giuseppe Mazzini che pure si trovava in esilio a Londra. Fu anche candidato al parlamento ma non venne eletto.
La Gazzetta di Messina e delle Calabrie, sabato 10.06.1991, annunciando la sua morte a tal proposito, tra l’altro, scrive:
La nostra città lo conobbe e lo amò per tutti gli anni che Egli trascorse fra noi, compiendo sempre, a beneficio cittadino, mirabili opere di filantropismo e d’illuminato liberalismo.
Anima fiera di repubblicano, libero pensatore, non mai conobbe transazioni, non mai accettò conati indegni; ma sempre con illibatezza e con onestà, rara nei tempi moderni, sostenne il bene del paese, e combattè, a visiera alzata, i nemici di esso. Il partito repubblicano ha perduto un milite disciplinato che dovunque si rese apostolo ardente ed instancabile delle immortali dottrine dalle quali non seppe scindire mai la pratica e passò la vita beneficando.
Odiare non seppe e non tacque la verità! Egli fu ed è esempio!
Professore universitario, anche se non titolare di cattedra per sua scelta, fu uno dei medici più preparati e ricercati di Messina. Interpretò la missione di medico oltre il senso ippocratico del termine. Antesignano, mi permetto questo parole, dell’Associazione che, oggi, chiamiamo “Medici senza frontiere“ prestò la sua opera dove c’era la sofferenza e la morte che affrontò a viso aperto, sprezzante del pericolo, nell’epidemia colerica del 1887 salvò migliaia di vita umane come ricordano i giornali dell’epoca cosi come nel terremoto di Messina.
La Gazzetta di Messina, li 9 agosto 1888, riporta una lettera indirizza al prof. Vincenzo a firma di molte persone, del seguente tenore:.
Dai volontari della Croce d’oro al dott. Vincenzo Cammareri
Cittadino egregio,
Il voto delle ultime elezioni amministrative non è stato né poteva essere voto di popolo al momento che le urne affermarono il trionfo dell’affarismo sull’onestà, della vigliaccheria sull’eroismo: il trionfo delle coscienze irrequiete sui caratteri più irrequieti ed adamantini (….).
Cittadino e compagno, in nome del popolo vero, del popolo che soffre e che lotta, del popolo che alla umanità e alla libertà sacrifica la vita, in nome delle centinaia di vite che voi alla morte avete conteso e strappato, in nome degli ammiratori che del vostro eroismo furono testimoni. abbiate per oggi il nostro saluto. Voi, che ai progressi della scienza, le teorie della liberta e la fede dell’umanità cementate, non potrete negarci il vostro nome quando ci deve servire a segnacolo di lotta nelle future battaglie.
La vostra modestia resisterà indarno, ed il popolo, il popolo vero renderà al vostro nome la dovuta giustizia.
Ricoprì diverse cariche pubbliche, fu consigliere e Assessore comunale e Presidente del Consiglio Provinciale scolastico.
I volontari della Croce d’Oro
(seguono decine di firme)
La biografia più completa su Vincenzo Cammareri fu scritta dal prof. Antonino Fleres che, quasi per intero, riportiamo.
A.Fleres
Commemorazione del socio Vincenzo Cammareri in atti della Regia accademia peloritana (anno 1918)
Il giorno precedente al disastro del 28 dicembre 1908, fui a trovarlo nella elegante palazzina, in fondo al viale S. Martino, allora quasi deserto, ora divenuto la grande arteria della città non ancora, dopo nove anni, rifatta! La sera plumbea parea portasse i segni d’una vigilia funesta, la più funesta di quante i superstiti della grande catastrofe ne ricordino mai. Il presagio antecedeva di circa dodici ore l’opera di distruzione! E, come l’ria, erano i cuori! Quando giunsi alla porta del cancello, vidi Lui pensoso che si aggirava, con un libro in mano, tra le piante del giardino. Una leggiera ombra passò sulla sua fronte; poi, venendomi incontro, sorridendo disse: !
Dalle foglie esalavano aromi e fragranze, parole mute che le piante si scambiano tra loro. Avviandoci nel suo studio ripetè: < sono i mediatori fra l’anima delle cose e i nostri cuore d’argilla. Io sento, soggiunse, ma non so esprimere questo mistero di pace, questo silenzio operoso della natura cosi come ce li fa travedere l’autore della Metamorfosi delle piante. E accennava al libro
Sedemmo. Gli espressi il desiderio di una visita, per una nipotina sofferente, e mi promise che l’indomani, sarebbe venuto a casa mia. L’indomani non venne! Non ne avrebbe trovato la via, perché Messina era distrutta; non avrebbe trovato la mia cara e gentile inferma, perché sepolta sotto le macerie!
Dopo un anno lo rividi a Roma, In fondo ai suoi occhi persisteva la tristezza, nel suo sorriso parlava una sofferenza, Lo eccitai a tornare a Messina, che egli aveva abbandonato quando l’opera sua di cittadino e di medico sarebbe stata preziosa. Mi rispose: < , si: ma dove sono i messinesi? Aveva ragione; i messinesi quelli che non soccombettero, andavano dispersi per il mondo! < che pietra e calcina!>> E si tacque.
Vincenzo Cammareri nacque il 23 gennaio del 1853 in Forza D’Agrò e quivi morì, dopo 58 anni, a 9 giugno 1911. Non fu lunga la sua vita, ma densa di pensiero.
Studiò nell’Università di Padova, medicina e chirurgia e completò i suoi studi a Londra e Parigi, mostrando per essi una spiccata predilezione che non sfuggi ai suoi maestri e fu visibile a tutti nel campo professionale, nelle Commissione sanitarie, nel Grande Ospedale Civico, nel Consiglio Provinciale Scolastico, nel Consiglio sanitario Provinciale, nei congressi delle Comune della provincia, nelle Commissioni esaminatrici, nel gabinetto universitario di fisiologia, nei consigli direttivi della croce oro, della Croce Rossa, della Dante Alighieri, e il suo nome godette di quella sana popolarità che molti ambiscono, pochi ottengono, pochissimi meritano. Né per questa, come per nessuna altra cosa s’invanì, mai credette di aver fatto mai abbastanza per se stesso o per gli altri. Fin dal 1885 conseguì la libera docenza in patologia- speciale medica dimostrativa nella R. Università di Messina, dove al 1879 era stato nominato Assistente presso la clinica chirurgica, e poi negli anni 1893-91, incaricato di Patologia Speciale Medica dimostrativa; e, certo, sarebbe giusto ad ottenere definitivamente una cattedra, se la sua attività professionale non avesse assorbito quella didattica.
Poche e piccole monografie ci restano della sua opera di scienziato, molti e sapienti prove della sua opera di medico, forti e feconde iniziative della sua opera di cittadino.
Ne dirò, rapidamente, poche parole.
Come scrittore offre la parte meno appariscente della sua multiforme attività, ma non si che non rifulga in ogni suo scritto quella concezione netta che è inestimabile pregio di Chi molto sa e dubita sempre di non sapere abbastanza. Senza tener conto delle varie relazioni illustrative di casi clinici, sono degni di nota , e l’altro intorno ad un <<caso di rammollimento cerebrale>>; ai quali con l’analisi della osservazione va contemperata la sintesi della critica e, più di tutti, La Prolusione al corso di neuropatologia (Novembre 1885), che fu come l’esordio del suo insegnamento, ed è una sagace esposizione delle dottrine sul sistema nervoso, con speciale riguardo ai fenomeni cerebrali di dominio della psicologia. Vi sono pagine che sembrano scritte ai nostri giorni, e quindi precedono di tanti anni ciò che è quesito alla scienza, In esse, rievocando l’immagine del Charcot e le esperienze fatte alla scuola della Salpètrière, rileva il fenomeno delle malattie mentali, assai importanti per chi scruta la fisiologia del cervello, e l’altro dell’isterismo, che va dalla semplice anestesia alla paralisi più completa, da la allucinazione momentanea a le estasi più prolungate.
Come medico, già lo stesso Charcot della clinica di Parigi, il Vanzetti e il Lussana nell’Università ne avevano preconizzato la riuscita. In tanta pedestre concorrenza dei meno forti e dei più scaltri, il Cammareri trovò bensi la ricetta del successo, ma non lasciò mai di affermare l’alta funzione del Medico. Egli pose il suo servizio a favore della scienza, la sua dottrina al servizio della vita. Seppe d’avere una missione e, per adempirla, risalì alle fondo della vita stessa, scese nelle misteriose oscurità della morte. Nel mio pensiero e, credo, in quello di quanti lo ricordano, permane la Fusione dell’uomo e del Professionista. Egli intravide e riconobbe i rapporti che intercedono fra Medicina e Sociologia. Da Petty a Quesnay, da Max Nordau al Colaianni, nulla di più naturale, come osserva il Loria, che, i medici divenuti sociologi, si affollino al capezzale dell’umanità, la grande ammalata, e nulla di più fecondo che questa fusione fra la scienza dell’organismo umano e quella dell’organismo sociale. L’Opera del Cammareri eccelse nelle epidemie coleriche del 1887, nelle commozione telluriche del 1894 e del 1908, e sempre, dappertutto, per le corsie degli ospedali, per le squallide soffitte, per gli oscuri tuguri, fece spiccare alcune di quelle qualità le quali, largamente diffuse, contribuirono a costituire la forza e la grandezza d’un paese.
Come cittadino e ne ho detto abbastanza in queste ultime righe, giacchè è ben difficile scindire la sua personalità, pur rifuggendo dal chiasso della vita pubblica, la quale spesso sorregge quella privata riuscì, con la semplicità del suo spirito a infondere all’una e all’altra tutta l’austerità del suo carattere. Chi lo ricorda nelle tornate consiliari della Provincia e del Comune, non può dimenticare quale e quanta parte abbia Egli spiegato con, l’esempio, con la parola, col consiglio. Sempre all’avanguardia delle idee più liberali, sempre al bivio delle soluzioni più ardite, con lo eloquio sereno e persuasivo trascinava i più dissidenti, Quando parlava, alle sue argomentazioni, dava il colorito vivace che, se non veniva dalla frase, venia certamente dall’idea, e riusciva a trasformare il proprio sentimento. Il segreto del successo stava nella forza suggestiva della persuasione, la forza della suggestione nella illimitata sincerità dei propositi.
Spirito solitario, spesso ardente e ribelle, riservava a sé, alle gioie intime del suo cuore e del suo ingegno il culto di alti ideali di italianità; di principi democratici puri, di fede repubblicana autentica, di amore veramente sentito verso i lottatori nelle battaglie di ogni giorno, rifuggi quanto all’umile desiderio del benessere non sostituisse l’elevato desiderio del bene; senza di che, come egli stesso diceva, la storia si ridurrebbe ad una pagina di zoologia.
Se ho voluto rilevare questo triplice aspetto di Giovanni Cammareri egli è perchè assai difficilmente se ne possono scindere le parti. La sua figura non è altrimenti delineabile che cogliendola nel suo complesso, perfino in quei fugaci atteggiamenti che sono meno o da tutti osservati. Fuori, infatti, di questi tre aspetti, in cui taluno ha voluto rimproverargli la gravità della posa. Egli mostrava amabile giovialità, apparenza ed usi di elegante mondano. Lieto di cortesi aristocratici ritrovi. Di tale felice eclettismo diè prova perfino nelle cose più semplici: portava i guanti ininterrottamente, vestiva quasi alla stessa maniera nel brusco passaggio delle stagioni; si beava dei fiori e delle piante e compiacevasi che nel suo studio, in mezzo ai ponderosi volumi di medicina e di chirurgia occheggiassero qua e là dei libri di letteratura amena, egli la chiamava letteratura igienica, i quali non distraggono, ma fortificano l’intelletto, stanco di guardare traverso tante miserie umane, e danno talvolta fremiti di pensiero e di sentimento. E li ebbe anche Lui questi fremiti, larvati assai in quella vena di umorismo, che fu come il pallore della sua mente, in quale nesso fine e sarcastico delle cose, che è come la malinconia di animo superiore, da cui scaturì per evoluzione spontanea del suo spirito il convincimento che ad alleviare i mali dell’umanità a correggere le contraddizioni nessuno forza mai d’ingegno e di bontà andò interamente perduto. Il mondo potrà dimenticare, ma nessuno neghèrà che Vincenzo Cammareri, nel breve tempo in cui visse, rappresentò una forza che sollevava il livello morale della società alla quale appartenne.
Nella intimità spirituale dei nostri rapporti, per quel poco tempo che restammo insieme a Roma. sorpresi un altro lato della sua mentalità. Dal giorno in cui l’intelligenza, a un tratto oziosa, si volse in sé stessa, le facoltà intellettuali che non avevano più espansione, fecero accrescere i suoi dolori. Vi sono emozioni i quali interrompono l’esercizio del pensiero e la coscienza, che Egli ne aveva, era il solito vincolo che lo legasse a tutto un passato di lavoro e di alterezza. Un giorno che ci trovammo insieme sul lungo Tevere, quasi ricordandosi del mio amichevole rimprovero disse; E pareva infervorasi di quell’intreccio fra gli incanti che venivano da la natura nei suoi orizzonti e quelli che venivano dall’arte nei suoi ruderi e nei suoi monumenti.
< da la campagna romana, su su per la solitudine del cielo. Con questa luce, con questa storia, quanti diletti dal connubio di quelle due grandi maliarde>>. Tacque, ed io ho partecipato all’ondata di vita intellettuale, che ci veniva dal di fuori. E perchè no? La vita delle cose diventa vita nostra; Ci è, in ciascuno di noi, un complesso aggregato di commozione umana per cui i tesori d’arte e le scene di natura si rendono accessibili a tutti. Quelle piccole correnti di piacere, che sorgono alla contemplazione del bello nell’armonia di tutti gli elementi d’un dipinto come d’un’aurora, di una costruzione come d’un tramonto, apron la via a tenere meditazioni, che si confondono ne la loro espressione emotiva. Meditare è trascendere dalla realtà pur muovendoci in casa, Quando sentiamo scorrere il Tevere sotto gli archi di Castel Sant’Angelo, vibrano intorno i ricordi che parean sepolti e muovono da quella mole torreggiante sulle acque, che fu tomba reggia, carcere ed ora è museo. E quando al di sopra di centinaia di colonne la cupola di San Pietro si slancia ne la grande pace de l’azzurro o nella tempesta delle nuvole, quando la luce lunare penetra frastagliata tra le gigantesche vertebre del Colosseo, dove passarono gladiatori e fiere, spettacoli di lotte e di sacrifici, l’animo, così pieno de le grandezze antiche, si apre al calore della vita esterna, e mille pensieri sopiti, come di campane mosse dal vento, mille immagine vagabondi s’intrecciano con brivido lieve, come di farfalle che svolazzano al sole.
Credo che tutto ciò, senza comunicarcelo, l’abbiamo profondamente sentito insieme. Ne parlo perché gli episodi, che vado evocando, rilevano la parte più ignorata, ma non meno bella del suo carattere. Io lo avevo giudicato eminentemente positivo, refrattario alle emozioni contemplative, ma come a Messina esaltatavasi tra i fiori del suo giardino, a Roma cedeva al fascino d’una natura esuberante e d’una civiltà gloriosa. Ed era questo, soltanto questo il legame che lo riconduceva a la vita in una dolorosa chiaroveggenza di quanto lo circondava. Qualunque possano essere le dottrine estetiche, prima e dopo Kant, fino a Tolstoi, ciò che abbiamo chiamato bellezza-percezione dell’infinito nel finito (Schelling), non è altro che la proiezione sensibile de la verità (Hegel). E in Lui, naturalista coscienzioso, che aveva contato le pulsazioni del sangue e gli spasimi de la carne., non venne meno giammai quel senso vero d’idealismo che nasce dal connubio de la realtà esteriore con l’anima commossa e devota (Fogazzaro).
Dopo la catastrofe di Messina, tenne per pochissimo tempo la carca d’Ispettore Sanitario, poi la depose e partì per Roma. Quivi stette circa tre anni, Cruciato de la malattia, che logorò la sua fibra, cercò nel tumulto della capitale il refrigerio del riposo; ma, presago de la fine immatura, Lui dominarono i pensieri di mestizia. L’infermità, acuita dall’immaginazione, gli impresse quel senso di malinconia che lo ricondusse fra noi: cara e atroce nostalgia per cui se anco ogni terra è abitabile soltanto quella dove fu accolto il primo anelito sembra capace a raccogliere l’ultimo.
Tornò in Messina, ma non volle vedere la città di legno. Dalla stazione centrale mosse per Forza D’Agrò, sua terra naturale. Io, che avevo avuto notizia, andai a salutarlo. Era assai sofferente. Mentre partiva gli dissi: Sorrise. Continuai: Con una certa amarezza rispose: . Poi malinconicamente soggiunse: .
Conclusioni:
L’onorevole Michele Vincenzo Mondio, l’11 giugno 1911 cosi concludeva il discorso commemorativo in onore di Vincenzo Cammareri:
Cittadini di Forza d’Agrò , questa tomba vi sia cara, perché Vincenzo Cammareri ha onorato la patria, ha onorato l’umanità.
Io, cento anni dopo, adattando ai tempi attuali, le parole del Mondìo, così concludo:
Cittadini di Forza d’Agrò, voi, purtroppo, avete dimenticato. D’ora innanzi, questo nome vi sia caro perchè Vincenzo Cammareri, non solo ha onorato il vostro paese, ha onorato la patria, ha onorato l’umanità.
Savoca, li 18 gennaio 2012
Santo Lombardo
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