Storie di Sicilia
IL LIMONE INTERDONATO. STORIA ED ECONOMIA (raccontate dal dott. Ulderigo Diana)
La storia del Limone INTERDONATO è più un mito che una storia, una storia economica, ma tutto il resto è un mito. Posso dirvi che il Limone Interdonato è nato nella contrada Reitana di Alì Terme, vicino al torrente e queste sono cose che già sapete tutti. Che cosa vi verrei a dire, che il Limone Interdonato è stato molto apprezzato dagli inglesi, era chiamato “il limone da Thè”, forse in parte perché poteva servire da mettere nel Thè oppure perché gli inglesi si caratterizzano perché sono dei bevitori di Thè. Che vi devo dire, che c’è qualche paesano che dice che il Limone Interdonato veniva chiamato “ù limuni gazzusa”, perché era frizzantino, perché era bello da assaggiare come limonata durante i pasti. Queste sono delle cose che un po’ sappiamo tutti.
Il Limone Interdonato nasce in un periodo, si può dire, felice per l’agrumicultura del nostro territorio, diciamo intorno agli anni ’70 – 80 del milleottocento. Il Limone Interdonato si affaccia su un territorio ch’è già ricco di limoni che già produce agrumi e che ha già i suoi rapporti con l’estero, quindi praticamente, il Limone Interdonato va a prendersi una fetta di questo mercato. Il limone Interdonato, fra l’altro è un limone resistente al mal secco, così come lo è – almeno da quello che io leggo da relazioni fatte del periodo intorno al ‘900 – “ù Munacheddu”. Il malsecco, era una delle malattie che purtroppo distruggeva i nostri agrumeti.
Se andiamo a guardare la rendita, perché è di cose economiche che vi parlerò stamattina, perché il mito è mito, ma poi uno deve andare a terra e cominciare a parlare di cose concrete. Il periodo in cui nasce questo limone, in questo territorio la rendita dei terreni agrumicoli è elevatissima, se considerate che in quegli anni la rendita media di un terreno in Sicilia era di 40,41 Lire, non è la cosiddetta Sicilia degli alberi (perché esisteva la Sicilia del grano e la Sicilia degli alberi), la Sicilia del grano era quella centrale e poi quella occidentale, della parte occidentale della Sicilia, dove si produceva il grano soprattutto, mentre poi c’era la Sicilia degli alberi ch’era la Sicilia costiera e quindi soprattutto tutta la zona del messinese, la provincia di Messina, voi sapete arriva molto lontano, va a Palermo e quindi prendeva anche la parte jonica e arrivava sino a Siracusa.
Questo territorio della “Sicilia dell’albero aveva dei terreni la cui rendita era notevole, per esempio nel messinese (io ho preso l’appunto), la rendita era di 2.778 Lire per ettaro. Considerate, tutta la Sicilia 40,41 Lire per ettaro come terreno, invece nel nostro territorio la rendita era di 2.778 per ettaro e se poi andavamo nella zona del palermitano, addirittura arrivava a 3.600 Lire l’ettaro come rendita. Quindi, siamo di fronte già ad un territorio ricco.
Nella Sicilia dell’albero non ci saranno soltanto i limoni (allora, avremo per esempio una caduta di quella che è la vendita l’esportazione del vino, perché l’esportazione del vino avveniva soprattutto in Francia, ma avremo una caduta anche dell’esportazione dei bozzoli), ma ci saranno anche le viti, ci saranno gli ulivi, ci saranno i gelsi. Siamo cioè in un periodo in cui l’attività agricola prevede tutta una serie di attività tutte remunerative. E allora mi chiedo e mi sono chiesto: come mai un agricoltore, o comunque un imprenditore dell’agricoltura, a un certo punto produceva da una parte limoni e li vendeva, e i limoni che non riusciva a vendere li trasformava, (e quindi abbiamo tutta la parte della trasformazione, il Citrato di Calcio, l’Agro cotto), questi avevano una grande esportazione di Agro cotto, di botti di Agro cotto, la produzione delle essenze. Però sapevano che non potevano contare molto, soprattutto che c’erano i periodi di crisi, e allora facevano anche altre cose, per esempio producevano i bozzoli, facevano la seta e la seta grezza la vendevano, sempre all’estero. La mandavano in Francia e la vendevano, e poi veniva distribuita, andava pure in Svizzera, arrivava pure in Inghilterra, in Germania, negli Stati Uniti.
Quindi guardate quanto è più complessa l’economia di un Paese come il nostro che in questo momento sta bene (parlo sempre di fine ‘800, primi ‘900), da questo punto di vista sta bene, ma come complesso quindi praticamente gli imprenditori non sono imprenditori dell’agrume, non sono imprenditori della seta oppure del vino, sono imprenditori agricoli di tutte queste cose. Perché ogni momento, c’era un periodo per esempio in cui andava bene la seta, ma se la seta non andava bene allora c’erano gli agrumi che potevano portare avanti l’economia dell’azienda, o c’era il vino che portava avanti l’economia dell’azienda, o l’olio. E’ su questa cosa che io voglio invitare i produttori di agrumi a prendere coscienza, che la sola produzione di agrumi potrebbe domani creare un mercato molto asfittico molto ridotto, anche perché, mentre allora la concorrenza di altri Stati, per quanto riguarda gli agrumi era inferiore, c’era anche se era inferiore, e fra l’altro il nostro limone era di qualità superiore a quello degli altri, oggi ci troviamo ad avere anche la concorrenza del limone e gli agrumi di altri popoli.
Quindi, quando si parla: “facciamo un limone di nicchia”, come dovrebbe essere questo del Colonnello Interdonato, però io immagino che ognuno di questi imprenditori abbia anche altri introiti, perché qualunque tipo di attività di questo genere avrà gli alti e i bassi, ed è stato dimostrato in un periodo che è il migliore che c’è stato nella nostra zona, e che è il periodo di fine ‘800 e poi i primi decenni del ‘900. Poi tutto è andato a scendere a scemare fino ad arrivare ai giorni nostri. Quindi, voglio dire, i nostri produttori dovrebbero tenere in conto questa cosa, quindi limoni si però prodotti derivati del limone si, perché bisogna andare in altri mercati, non solo nel limone. Insomma, la Sicilia è stata sempre considerata produttrice di materie prime: la seta, i bozzoli, materie prime perché la sta era quella grezza, poi c’erano gli altri popoli che se la lavoravano. Noi non siamo riusciti (tranne in un periodo che risale a prima del ‘700), non siamo mai riusciti ad avere dei filatoi veri e propri, ma quando li avevamo, avevamo dei filatoi buonissimi e producevamo dei tessuti ch’erano meravigliosi con la seta. Poi, a un certo punto si è deciso che la Sicilia doveva essere soltanto un’isola che produceva materie prime, e ancora oggi produciamo materie prime.
Le industrie, da noi sono quasi come una maledizione, non ci possono essere, eppure ne abbiamo avute industrie: mi ricordo l’Azienda Militare Siciliana, per dieci anni… non è venuta a capo di niente, era proprio a Nizza. Ma, ricordo, per esempio nella trasformazione degli agrumi, ecco dove sta il trucco che è stato utilizzato dai predecessori in questa attività. La trasformazione degli agrumi permetteva di avere un’altra valvola di sfogo dal punto di vista economico, e Roccalumera per esempio, (perché io assieme a un’altra dottoressa dell’Università di Messina, abbiamo iniziato un lavoro sulle filande di Roccalumera), ci siamo accorti che effettivamente i filandieri di Roccalumera, i quali vendevano moltissima seta grezza, in Francia, l’ho citato già, in Inghilterra, in Svizzera, Germania, Stati uniti eccetera, eppure facevano anche l’attività agrumaria, eppure producevano anche vino, eppure producevano anche olio. Quindi significa, che non potevano con la sola seta risolvere i loro problemi economici, ma non potevano nemmeno con gli agrumi, perché se no avrebbero fatto solo agrumi. E quello era un periodo d’oro per l’economia di questi territori.
Quindi bisogna stare attenti: loro, per esempio usavano il sistema (che poi è un sistema molto antico), dell’autarchia, cioè praticamente già i Borboni l’avevano rispolverato, perché è ancora più antico. Per cui, tutto ciò che si produceva doveva essere utilizzato, tutto doveva essere prodotto nel posto dove si viveva, ch’era la campagna, all’interno della campagna. Quindi, tutto doveva essere trasformato fino all’ultima cosa. Faccio un esempio: il limone che per esempio non poteva essere venduto perché non era venuto bene, perché aveva dei difetti, di pezzatura e così via di seguito, quel limone andava trasformato e che si faceva? Per esempio si prendeva la buccia che si utilizzava per fare l’essenza, si spremeva l’Agro e questo si utilizzava per fare il Citrato. L’Agro crudo, veniva messo assieme a una farina di calce, veniva bollito, quindi veniva ristretto, compresso e diventava una sostanza che messa in botti poteva resistere indefinitamente e poteva essere venduta all’estero. Ma dell’Agro restava qualcosa, quel qualcosa che era chiamato “ù pastazzu” veniva utilizzato per allevare gli animali, per darlo da mangiare agli animali.
Vedete un po’? niente era lasciato abbandonato, come facciamo oggi noi. O noi facciamo immondizia, mentre invece allora c’era tutto questo riutilizzo di tutto fino alla fine. Quindi bisogna un po’ considerare tutte queste cose, se vogliamo portare avanti anche il discorso del limone Interdonato che da solo, a mio avviso può crearsi uno spazio ma uno spazio piuttosto piccolo. Bisognerà un po’ studiare non solo le capacità che abbiamo noi di produrre, quindi fare un censimento sul territorio nostro, quindi dei posti dove viene prodotto il limone Interdonato, ma soprattutto vedere quali sono le richieste dell’estero, le richieste di altri mercati. Perché se non conosciamo quelle che sono le necessità di altri mercati, non possiamo farci venire quelle idee, chessò lo sappiamo già, il fatto delle “balle dell’Interdonato”, del Colonnello, diciamo, che poi è un dolce ch’è fatto col limone. Insomma, lo sappiamo che, già col verdello sono stati fatti pure i libri delle ricette, in cui può essere utilizzato il Verdello.
Quindi, l’uso alimentare del limone è una cosa scontata che deve avvenire, si tratta semplicemente di avere altre idee e di vedere cosa manca e cosa richiede il mercato che deve comprare queste cose. Perché se il mercato non le vorrà, è inutile che noi le impupiamo e le facciamo belle. Poi il mercato non le vorrà perché non gli servono. Quindi dobbiamo dare quelle cose che il mercato richiede, qui sta la capacità dell’imprenditore, capire che cosa vuole il mercato, e poi sulla base delle cose che ha da offrire adattarsi, e quindi dare il prodotto il migliore possibile che possa essere concorrenziale.
Io chiudo qua, perché più di questo non potrei dire, perché sennò dovrei parlarvi della “Camera agrumaria”, dei motivi perché questo potrebbe essere un momento di riflessione, loro (Diana si riferisce al Consorzio limone Interdonato, ndr), hanno fatto delle Cooperative, però la storia deve servire anche a capire quali sono gli errori che vengono fatti dagli altri, per non farli noi. Se si fa un escursus storico dell’agricoltura e della vendita dei limoni all’estero, allora noi temiamo i danni che sono stati fatti, ma danni enormi, che sono legati agli uomini, e quindi gli uomini sono quegli elementi che devono essere seri, e soprattutto debbono amare il loro prodotto al di fuori del guadagno che possono fare loro. Anche se se il guadagno rappresenta il primum movens di qualsiasi attività che l’uomo fa. Grazie.
NOTA: Il seguente contributo è tratto dall’intervento dello storico dott. Ulderigo Diana, durante il convegno sul limone Interdonato avutosi presso l’auditorium (il 24 Agosto 2007), a Nizza di Sicilia.
Invia un Commento