Storie di Sicilia
SAVOCA. CULTO DEI MORTI, TRADIZIONI POPOLARI E RITI SACRI
A Savoca era molto sentito il culto dei morti, per i quali c’era una speciale venerazione: riti del tutto particolari, credenze e usi che sfiorano il paganesimo e, nel contempo, confermano l’origine fenicia. Infatti, fino a qualche secolo fa, a Savoca era usanza mettere nella cassa funebre del defunto gli oggetti più cari appartenenti al morto. È ancora viva la credenza che, nella notte della commemorazione dei defunti, cioè la notte dal 1° al 2° novembre, i morti tornano a visitare la casa dei loro parenti.
A tal proposito, questi preparano per loro la tavola imbandita con pranzi e squisite leccornie, affinchè i poveri morti si possano soddisfare a sazietà e a loro piacimento. È uso anche che l’indomani tutto quel ben di Dio, rimasto sulla tavola imbandita per i morti, non deve essere consumato dai familiari del morto, ma distribuito ai poveri. L’uso di curare più a lungo la conservazione dei corpi era uso prettamente fenicio. Infatti, a Savoca, si era tramandato l’uso di imbalsamare i cadaveri e conservare i loro corpi mummificati.
Era uso, ancor del tutto non tramontato, che appena moriva un cittadino, tutti i parenti si univano per “piangere la dipartita”; vestiti di nero e con i capelli sciolti, lo chiamavano a voce alta. Tutti i parenti insieme formavano una cantilena che durava tutto il periodo del lutto, tessendo a voce alta le doti e le virtù del morto.
In suffragio dei morti, durante i riti funebri, veniva recitato, o cantato, uno speciale Rosario dei morti in dialetto siciliano. Il capo coro intonava questo versetto: ”O biati morti tutti, / chi a terra semu ridutti / nui ‘nterra prijamu pri vui; / Vui ‘ncelu prijati pri nui”. E il coro del popolo rispondeva: “Ora preju”, come se la voce dei morti risalisse dall’al di là per assicurarsi delle loro preghiere.
In modo particolare e con grande solennità venivano festeggiati l’Immacolata e San Francesco d’Assisi dai frati Minori Conventuali, San Rocco nella chiesa dei Marinai, Maria SS. Bambina e la Madonna di Loreto nel Convento dei Cappuccini; San Giovanni Battista nel quartiere omonimo. A questa ricorrenza erano riservati riti e credenze particolari che rappresentano ancor oggi un vero avanzo di paganesimo. Ad esempio, l’uso delle tre fave, ancor oggi non del tutto tramontato. Le ragazze da marito, la sera della vigilia della ricorrenza di San Giovanni Battista (24 giugno) mettevano sotto il cuscino del loro letto tre fave; una del tutto nuda, una vestita a metà e la terza vestita per intero. L’indomani mattino, appena sveglia, ancor con gli occhi insonnoliti, la ragazza, secondo la fava che avrebbe preso, avrebbe avuto l’auspicio di un marito ricco, mediocre o povero. Un’altra credenza era “a scuta”. La ragazza da marito si metteva ad ascoltare sola nel pieno silenzio della notte o della calma del mezzogiorno. Se avesse sentito chiamare un nome, secondo la credenza, quello era il nome dell’uomo che la sorte le aveva destinato per marito. Un’altra particolare tradizione era rappresentata dalla recita di canzoni d’amore o di sdegno o l’uso di fondere il piombo che predicevano il futuro felice o infelice della ragazza.
Altre particolari usanze erano osservate nella ricorrenza di San Giuseppe, venerato nella Chiesa Madre e nella chiesa di Rina. La vigilia di San Giuseppe e il giorno stesso, in onore del Santo Patriarca si usava imbandire delle mense nelle case dei ricchi e a spese dei nobili, ove invitavano a mangiare i bimbi poveri che si satollavano a sazietà. Questi bimbi venivano detti “i virgineddi” di San Giuseppe ed era in uso fino ad un decennio addietro; anzi qualcuno, per meglio allietare la ricorrenza, usava invitare un’orchestra che suonava mentre i bimbi mangiavano.
Grandiosi erano anche i festeggiamenti di San Nicola, San Vincenzo Ferreri, Santo Antonio Abate, protettore degli animali, San Biagio, San Francesco di Paola e particolarmente Santa Rosalia nella frazione Rina, ove la devozione a questa Santa era tanta che, durante la processione, intermezzando con il suono del Corpo Musicale il capo dei portatori intonava a voce alta e con tutto il vigore della sua voce dei “mottetti” che riepilogavano la vita e le virtù di questa Santa. Subito faceva eco l’evviva dei portatori tutti e del popolo. Ad esempio, il capo dei portatori intonava: “Virginedda pura e pia” e i portatori e il popolo rispondevano “Viva Santa Rusalìa”; il primo di rimando: “E chiamàmula ccu tuttu lu cori”, e la folla di nuovo rispondeva: “Viva Santa Rusalìa”. Tanta era la fede ardente che partiva dal cuore che queste grida fatte per tutto il lungo percorso della processione non li stancavano, né li avvilivano, ma li entusiasmavano sempre più.
La processione veniva aperta da una lunga fila di giovanette bianco-vestite, con la testa ornata da una corona di rose di carta e un giglio bianco nelle mani, simboli del nome della Santa: Rosa-Lia, che significa “rosae-lilia”, cioè: “fatta di rose e gigli”. I Grandiosi festeggiamenti si chiudevano con lo sparo dei fuochi artificiali che venivano preceduti dallo sparo del famoso “Sciccarèddu” che faceva divertire molto il folto pubblico.
FEDE E FOLCLORE. LA “LUCIA”
La più bella e la più caratteristica di tutte le feste per la singolare solennità era quella dedicata alla Santa Patrona, Santa Lucia Vergine Siracusana, i cui festeggiamenti duravano parecchi giorni e si svolgevano, e si svolgono tutt’oggi, nella seconda domenica di agosto di ogni anno. Durante questi festeggiamenti si vedeva apparire, e si vede ancora, e correre in mezzo alla folla ed allo stuolo dei rivenditori un caratteristico personaggio che, a prima vista, ispira terrore e immensa curiosità. Questo personaggio è “u diavulazzu”: un uomo rosso vestito, con una orribile maschera di legno, scolpita anticamente, secondo la leggenda da un pastore, con due lunghe corna nella testa e una doppia fila di denti, occhi di fuoco e armato di un lungo forcone e con la cintura dondolante di dubboli e sonagli.
Questo personaggio caratteristico è l’animatore della festa ed ha una parte principale nella scena della rievocazione del martirio di Santa Lucia, quando questa santa giovinetta, rifiutata la corte del nobile romano, è da questi accusata di essere cristiana dal Governatore Romano di Siracusa, il crudele Pascasio, che ordina le persecuzioni contro la giovinetta. Ordina ai soldati romani di prendere Lucia, oltraggiarla e trascinarla in una casa di perdizione, ma nulla possono quei soldati, in quanto Lucia resta attaccata al suolo e a nulla riesce la forza bruta e la crudeltà dei soldati. Ma il terribile Pascasio non cede: ordina che la giovinetta venga tirata da due paia di buoi, ma inutilmente; Lucia è protetta dallo Spirito Santo, resta al suo posto immobile. Nulla può il crudele Pascasio con i buoi e tutti i suoi soldati. Ma Pascasio non si arrende: rottasi la fune dei buoi e vista Lucia ferma sul posto, adirato sempre più, ordina che venga bruciata viva nella piazza dove si trova. Così i soldati accendono il fuoco intorno a Lucia, ma assistono ad un nuovo miracolo. Le fiamme la lambiscono ma non toccano le sue vesti e il suo corpo. Lucia è la trionfatrice: il bene che trionfa sul male, la virtù sul vizio.
Questa scena, bella e commovente, rievoca ancora oggi durante i festeggiamenti della Patrona. Una giovinetta biancovestita, legata ai fianchi con una grossa fune, (nella rappresentazione è portata sulle spalle di un portatore), viene (simbolicamente) trainata da due grossi buoi, parati a festa, oltraggiata dai Giudei, uomini vestiti da soldati romani con elmo e lancia, guidati e stimolati con selvaggio incitamento a colpi di forcone dal terribile “Diavulazzu”, simboleggiante il crudele Pascasio.
La scena, suggestiva e commovente, si svolge attraverso le vie principali del paese fino alla piazza, ove si conclude la lotta infruttuosa dei Giudei e del Diavolo. Lucia, abbattuti i Giudei e, rotta la fune, mette in fuga buoi e diavolo. La trionfatrice viene portata in solenne trionfo per tutta la piazza al suono della banda musicale e sotto il commosso e solenne applauso della folla di fedeli che assiepano tutta la piazza.
Dopo la rievocazione di questa bella e tanto commovente scena che ha rafforzato la fede ed ha commosso i più crudi e i più increduli, si svolge la solenne processione del prezioso e miracoloso simulacro della Vergine Siracusana che è in argento massiccio e quindi di grande valore. Questa preziosa statua viene gelosamente conservata dai Confrati della Confraternita di S. Lucia che ne sono i diretti responsabili.
Per ricordare il miracolo del fuoco che ha lambito e non bruciato la Santa, ancora oggi nelle vallate del torrente Rina, del torrente Agrò e del Savoca, la sera della vigilia di S. Lucia si usa accendere dei grandi falò, (bamparìziu), e i giovani più arditi saltano sulle fiamme senza riportare ustioni.
NOTA: I testi sono tratti dal libro di Santi Muscolino, “SAVOCA, un forziere pieno di meraviglie”, pubblicato nel Maggio 1996.
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