Spiritualità
FRANCESCO MARIA DI FRANCIA. IL SERVO DI DIO, COMPOSITORE E POETA
Francesco Maria nacque il 19 febbraio 1853, ultimo dei quattro figli del cav. Francesco Di Francia dei marchesi di S. Caterina sullo Jonio e di donna Anna Toscano dei marchesi di Montanaro; essendo morto il padre il 10 ottobre 1852 a soli 34 anni, il piccolo Francesco nacque già orfano e non poté quindi godere dell’indispensabile affetto paterno. La madre, sposa a 17 anni e già vedova a 23 con quattro figli, Giovanni, Maria Caterina, Annibale e Francesco, da crescere ed educare da sola, si impegnò in questo compito con responsabilità e fede; ma doveva anche interessarsi del patrimonio familiare alquanto dissestato, per cui alternandosi fra notai ed avvocati, dovette affidare i due più piccoli, Annibale e Francesco, prima ad un’anziana zia e poi al Collegio dei Padri Cistercensi di Messina, dove insegnava lo zio paterno padre Raffaele. I due ragazzi erano fratelli inseparabili e molta della loro futura strada sarà percorsa insieme, Annibale più grande di quasi due anni, aveva preso dal padre, Francesco invece dalla madre per la sua delicatezza, semplicità ed affettuosità.
Il Collegio ebbe un benefico effetto sui due fratelli ed ambedue, avvertirono ben presto il desiderio di diventare sacerdoti. Francesco amava la musica e la poesia e già a 16 anni nel 1869, compose un inno al suo santo patrono san Francesco di Paola: “O te beato! All’empio / mondo non desti ascolto / e nell’età tua florida / in rozze lane avvolto / l’abbandonasti e in umida / grotta passasti i dì. Gli anni di studi, ben undici, lo videro insieme al fratello, impegnato a superare la contrarietà della madre allo stato sacerdotale, era religiosissima ma due figli contemporaneamente consacrati a Dio le sembrava troppo, comunque alla fine acconsentì alla loro decisione di prendere l’abito ecclesiastico, cosa che era già avvenuta a sua insaputa, il 7 dicembre del 1869 nella chiesa di S. Francesco. Inoltre per la chiusura dei seminari e per l’espulsione nel 1866 dei padri Cistercensi ad opera del Governo liberale, i due giovani dovettero proseguire gli studi in famiglia in forma privata, come del resto tutti i seminaristi di quel periodo.
Non mancò per Francesco un lungo periodo di crisi, di ricerca, di dubbi sulla sua scelta, smise anche l’abito religioso che riprese poi il 19 marzo 1877; appassionato di musica tentò di iscriversi al Conservatorio di Napoli, poi partecipò ad un concorso per impiegarsi nelle Regie Poste, ma nessuno dei due tentativi ebbe successo, perché Dio lo chiamava insistentemente nella sua vigna. Così ripreso l’abito, con l’esempio e le preghiere del futuro santo suo fratello, che lo precedeva nella stessa strada, Francesco Maria Di Francia, riprese gli studi e percorse esemplarmente le varie tappe della formazione al sacerdozio.
Il 18 dicembre 1880 a 27 anni, fu ordinato nella Chiesa di S. Paolo dall’arcivescovo di Messina card. Giuseppe Guarino, due anni dopo l’ordinazione del fratello maggiore. I primi cinque anni da giovane sacerdote, trascorsero impegnati nella predicazione nelle varie chiese di Messina e nei paesi vicini, inoltre nelle numerose missioni al popolo; ogni giorno prestava la sua assistenza spirituale agli ammalati dell’ospedale civico di Messina, di notte usciva spesso a portare conforto a domicilio agli infermi e moribondi. La situazione economica e generale della città di Messina e della sua provincia, risentiva in campo politico, della situazione determinatasi dopo l’instaurazione del Regno d’Italia, con gli effetti negativi della politica economica e sociale, attuata dai governi di quel periodo a cavallo fra i due secoli, che penalizzò tutta l’Italia Meridionale. Non staremo qui ad elencare le inadeguatezze e le ingiustizie subite dal Sud, a favore delle grandi industrie del Nord, provocando una diffusa emigrazione dei meridionali in cerca di lavoro, visto la chiusura delle piccole industrie e il languire dell’artigianato fino allora fiorente. La miseria dilagò portando fame, precarietà, emigrazione, disoccupazione e come conseguenza, anche il brigantaggio e Messina ne soffrì più di altre città per l’abolizione del “porto franco”, a suo tempo concessale dal Regno Borbonico. Le condizioni sociali inoltre erano molto arretrate, con l’80% degli abitanti analfabeti, mancanza d’acqua e d’igiene, concausa delle ricorrenti epidemie di colera e vaiolo. Naturalmente anche la cattolica Messina risentiva della situazione creatasi in campo politico e religioso, a causa della presa di Roma e l’annullamento dello Stato Pontificio, l’anticlericalismo si inasprì, la Massoneria prese vigore e i cattolici per la nota “questione romana” erano in disparte, senza poter determinare in campo politico una presenza cristiana autorevole. Ma proprio in quegli anni che videro operare i due fratelli sacerdoti Di Francia, iniziava a Messina come in tutta Italia, una ripresa del pensiero e dell’attività cattolica, che proprio in Sicilia vide sorgere la grande personalità di un altro sacerdote, nativo di Caltagirone, don Luigi Sturzo (1871-1959); con la guida degli arcivescovi Guarino e D’Arrigo, nacquero così Casse rurali, dormitori pubblici, Monti frumentari, cucine economiche, le Conferenze di S. Vincenzo, il sindacato bianco e un partito politico. In campo caritatevole, a Messina primeggiarono figure del calibro dei due fratelli Di Francia, di don Gaetano Bianco fondatore delle Serve della S. Famiglia e di don Giuseppe Collima, il cui istituto si fuse con quello del canonico Annibale.
Il giovane sacerdote Francesco Maria, seguendo l’esempio del fratello maggiore, si dedicò ai due campi di lavoro preminenti in quel periodo, la formazione cristiana dei fedeli e l’esercizio della carità verso i poveri. Il fratello don Annibale, si dedicò all’assistenza e all’apostolato nel povero e malfamato quartiere Avignone e Francesco, pur restando con la madre, si unì a lui nell’opera di carità e il 6 maggio 1886, presentata da don Francesco, arrivò anche la Serva di Dio Natalina Briguglio (1870-1950), che ben presto e per undici anni, profuse le sue energie come infermiera, questuante, direttrice, nell’Opera del canonico Annibale Maria Di Francia. Alla fine dell’estate 1887, Messina fu colpita dal colera e nello spazio di una settimana la situazione degenerò; la città divenne un campo di morte in un fuggi fuggi generale verso le campagne, i malati venivano abbandonati. Le autorità a stento organizzarono un lazzaretto per i colerosi, con alcuni medici coraggiosi ed eroici; ma il trentaquattrenne sacerdote don Francesco, pensò che per l’assistenza spirituale per gli ammalati e moribondi non c’era nessuno, allora decise di andare lui, chiese la benedizione dello stupito arcivescovo card. Guarino, il permesso del sindaco, la benedizione della mamma, ed entrò nel “Lazzaretto”. In quell’ambiente che richiamava alla mente la situazione degli appestati nel Lazzaretto di Milano, descritta magistralmente nei ‘Promessi Sposi’ del Manzoni; don Francesco ritrovò molti suoi conoscenti ed assistiti e da loro riconosciuto. Divenne un punto di riferimento fra tanta gente sola e desolata, confessava inginocchiato vicino ai giacigli dei colerosi, respirando aria infetta, fra tutti i disagi di una situazione degradata igienicamente.
La madre Anna Toscano, la sera su una barca, si avvicinava sotto le mura del Lazzaretto e scambiava qualche parola d’incoraggiamento col figlio affacciato ad una finestra, benedicendosi vicendevolmente. L’eroica madre dei due sacerdoti, morì nel 1888 poco dopo finito il colera, ammirata da tutta la città e con la benedizione di quanti aveva soccorso e beneficiati. Uscito dal Lazzaretto, padre Francesco rifiutò ogni onore e riconoscimento e ormai solo, si affiancò al fratello Annibale, andando ad abitare in una semplice stanzetta del quartiere Avignone; scegliendo una vita povera, donò al fratello, per le sue Opere assistenziali, tutto il suo patrimonio ereditato. Lavorò per nove anni con il fratello, nelle sue numerose attività, che il vulcanico Annibale aveva intrapreso e che richiedevano molto tempo da dedicare nell’organizzazione; ma se tutto questo era congeniale al carattere estroverso del Fondatore, creava invece in Francesco una grande confusione, egli era amante della quiete, della riflessione e della dedizione alla preghiera, inoltre nutriva una grande preoccupazione per la sorte delle ragazze orfane e abbandonate.
Anche suor Briguglio che aveva preso il nome di Veronica di Gesù Bambino, dopo dieci anni di dedizione, non aveva trovato ancora una preparazione adatta ad una regolare vita religiosa; non trovando una via d’uscita, l’11 marzo 1897, con tre compagne abbandonò Messina e si recò al suo paese natio Roccalumera (Messina), per un “ritiro” come lo definivano loro, per poi ritornare all’Istituto dello Spirito Santo di padre Annibale, ma il fondatore che non aveva gradito l’allontanamento, non le accettò più a Messina. Il ritiro diventò definitivo, si trovò a Roccalumera una casa per accoglierle; intanto l’arcivescovo card. Guarino, affidò a padre Francesco Maria Di Francia la direzione del gruppetto, già da tempo sue figlie spirituali. I primi tempi furono durissimi, tutto si svolgeva in grande povertà, specie quando furono accolte le prime orfanelle, del resto don Francesco non aveva più niente di suo, ma la Divina Provvidenza interveniva spesso e così già due anni dopo, il 30 agosto del 1899, le suore e le orfanelle che erano entrambe aumentate di numero, poterono trasferirsi in un nuovo più grande ed accogliente locale, acquistato dal Fondatore con l’aiuto dei tanti benefattori ai quali si rivolgeva. Don Francesco che era anche canonico della cattedrale, non volle mai il titolo di Superiore o di Fondatore, non emanò mai circolari, né scrisse un codice di regole, ma si sacrificò per il sostentamento delle orfane e per la santificazione delle suore, alle quali trasmetteva il suo carisma d’amore per Cristo e per gli ultimi. Per sedici anni animò il nuovo Istituto delle “Povere Suore del Sacro Cuore”, che in seguito divennero le “Suore Cappuccine del Sacro Cuore”, di cui Madre Superiora e cofondatrice, fu madre Veronica Briguglio per oltre 37 anni; il canonico Di Francia che dal 28 febbraio del 1912, era stato nominato Vicario Generale dall’arcivescovo D’Arrigo, si recava ogni giorno a Messina per assolvere i suoi compiti, continuando nella predicazione e nelle confessioni. Ogni sera tornava fra le sue orfane e suore accolto festosamente, portava spesso regalini e aiuti economici e di sostentamento; dopo aver mandato a letto le piccole, si riuniva con le suore per l’esame delle attività del giorno e alla fine si ritirava per la notte presso uno zio, perché all’Istituto non c’era un posto per lui.
Ma non si può qui dimenticare l’impegno, che vide di nuovo affiancati i due fratelli, nell’opera di soccorso durante il disastroso terremoto che alle 5,20 del mattino del 28 dicembre 1908, distrusse le città di Messina e Reggio Calabria, causando 83.000 morti, con feriti, invalidi e orfani in numero enorme e apportando una nuova e più grande miseria. A Roccalumera non ci furono vittime, ma il grande dormitorio, costruito dal canonico Francesco Maria, con tanti sacrifici appena otto mesi prima, fu lesionato gravemente e le suore e le orfanelle furono costrette ad andare a dormire in una baracca costruita dal Genio Militare. Il fondatore appena poté, corse a Messina per sapere del fratello e dei parenti e si mise ad aiutare i superstiti, senza risparmiarsi a fianco del canonico Annibale. Negli anni successivi riprese alacremente la ricostruzione degli edifici e la guida spirituale ed organizzativa della Congregazione, continuando nei suoi impegni giornalieri a Messina, nel 1913 aveva ottenuto con il permesso dell’arcivescovo, l’aiuto del frate cappuccino padre Salvatore da Valledolmo, che per 15 anni sarà suo successore nella guida spirituale dell’Istituto. Anche la mattina del 22 dicembre 1913, il canonico Francesco prese il treno per Messina, ma giunto alla stazione di Nizza di Sicilia, non si sentì bene e volle ritornare a Roccalumera e a chi gli domandava il perché, rispose: “Oggi devo prepararmi per il Paradiso”. Alle 21 dello stesso giorno, dopo aver benedetto le suore morì santamente; la sua salma fu esposta per due giorni per l’omaggio dei fedeli; il fratello Annibale era a Firenze e ricevette la dolorosa notizia solo il 31 dicembre.
Il 24 maggio 1935 la salma del canonico Di Francia, fu traslata dal cimitero di Roccalumera al Santuario di S. Antonio, fatto costruire da Madre Veronica e annesso all’Orfanotrofio da lui fondato. Il 19 marzo 1984, è stata avviata la causa per la beatificazione di questo colosso della Carità, che svolse il suo ministero sacerdotale consacrandosi a Maria, che cantò in tante sue poesie.
Autore: Antonio Borrelli
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