Storie di Sicilia
SANT’ALESSIO SICULO. L’ORIGINE PRESUNTA DEI SUOI NOMI E, LA STORIA DEL SUO CASTELLO
La storia di S. Alessio Siculo gravita attorno al suo promontorio coronato dal castello ed è estremamente legata a quella del consanguineo Forza d’Argrò di cui la cittadina è rimasta frazione fino al 1948.
Il promontorio, costituito da un enorme blocco di dolomia bianca, ci viene rivelato da Tolomeo Alessandrino che, nella sua opera geografica definita monumentale (otto libri e 27 carte geografiche) per i suoi tempi (attorno al 170 d.C.), lo definisce “Arghennon akron” (Capo d’argento).
La definizione è legata alle prime presenze greche sulle coste siciliane perché, a questi navigatori in cerca di spazi pianeggianti da coltivare ed edificare, l’ “arghennon akron” dovette apparire fulgido e rilucente al punto da ricordare il colore dell’argento e, soprattutto, un altro promontorio lasciato nella terra di provenienza e chiamato, appunto, “arghennon akron”.
Con l’avvento dei Romani, l’ “arghennon akron” assunse il nome di “Promontorium”, mentre durante la dominazione araba il capo S. Alessio venne definito “Ad dargah” che significa “scala”, “salita ripida” e tale rimase almeno fino alla venuta dei Normanni; ciò perché soltanto nel 1117, quando Ruggero II concesse le terre di Forza d’Agrò al Monastero basiliano dei SS. Pietro e Paolo, appare per la prima volta, nel diploma di donazione, l’iscrizione “Scala Sancti Alexi”, tramutata successivamente in “S. Alessio”.
Secondo il Casagrandi la denominazione Arghennon akron, riferita e riportata da Tolomeo, è la traduzione ellenica del Leucopetra (bianco capo) che i Siculi avrebbero precedentemente derivata dall’omonima località del Brutium. Il che dimostra come il Casagrandi sia risalito fino ai Siculi, un popolo tra i più antichi abitatori della Sicilia, della quale si impossessarono cacciando i Sicani, popolazione agricola che aveva chiamato l’isola Sicania. I Siculi provenivano dall’Italia. Per Adolfo Holm e per Axt il nostro Capo dovrebbe identificarsi con il “kokkinos àkra” ricordato da Appiano.
Domenico Puzzolo Sigillo, però, che ha vagliato tutto molto diligentemente ed approfonditamente, scrivendo un’ampia monografia sull’argomento, conclude assegnando al Capo di S. Alessio la romantica denominazione di “arghennon akron” (argenteo capo), ormai universalmente accettata dalla critica e dagli studiosi.
Quanto alla moderna denominazione di Sant’Alessio, a prescindere da quanto sopra detto, nella “Sicilia in prospettiva” di Padre Massa, troviamo scritto: “Castello di questo nome perché edificato da Alessio Imperatore di Costantinopoli, al dire di Cieco di Forlì che doveva confermare il suo detto con autorità di qualche antico scrittore”.
Rifacendoci adesso al diploma di donazione già menzionato, la “Scala Sancti Alexi” è la combinazione del nome arabo (“scala”) e del nome latino (“Sancti Alexi”), magnifica indicazione della cultura normanna che incominciava a farsi strada.
“Scala”, in arabo Ad Dargah, è il nome con cui il Capo è chiamato nel libro di Edrisi “Dal Nuzhat àl mustàq”, tradotto e pubblicato da Michele Amari ne “I Rendiconti dell’accademia dei linceri”.
Al nome S. Alessio, dopo l’Unità d’Italia, venne aggiunto l’aggettivo “Etneo” per distinguerlo da altri due centri con la stessa denominazione, uno in Lombardia e l’altro in Calabria; ma alche l’ “Etneo” era destinato a sparire perché S. Alessio non appartiene alle zone vicine territorialmente al Mongibello: infatti con l’erezione a comune autonomo (Legge regionale n. 12 del 7 giugno 1948), la Regione Siciliana stabiliva la definitiva denominazione del Comune: “Sant’Alessio Siculo”.
Sulle origini del nome “S. Alessio” v’è da dire ancora che – a quanto scrive, come abbiamo visto Padre Massa – questo nome andrebbe collegato all’Imperatore Alessio I Comneno di Costantinopoli che, soffermandosi nel castello, sarebbe stato accolto con grande senso di ospitalità e con grandi onori dagli indigeni i quali, felici di avere finalmente vicino un imperatore di religione cristiana, avrebbero deciso di chiamare questo posto S. Alessio in onore del santo di cui l’imperatore portava il nome.
Altri ancora afferma che S. Alessio, come denominazione, nacque negli anni precedenti l’anno 1000, quando si pensava e si temeva la fine del mondo e le popolazioni, prese da un accecato fanatismo religioso che avrebbe dovuto scongiurare tale catastrofico evento, cambiavano addirittura il nome a paesi e villaggi e imponevano quello dei santi ritenuti più “miracolosi” al fine di ingraziarsi i divini favori.
La costruzione del Castello (la prima) risalirebbe agli Arabi soprattutto per la loro necessità di creare punti di avvistamento, anche se è vero che le tracce delle presenze arabe sono più evidenti nei paesi collinari che non sul mare.
Sarebbe stato quindi ricostruito dai Normanni contestualmente alla riedificazione della Chiesa di SS. Pietro e Paolo. Nel ‘500 il Camilliani, che aveva chiesto l’ordine della Deputazione del Regno di ispezionare le coste della Sicilia, così annotava: “si vede un nuovo castello, molto commodo e forte, ma, nello spargimento e superficie del promontorio, si vede un antico castello, rovinato e disfatto dal tempo, dove si è destinata una torre per la guardia, perché di quivi si scopre per infinitissimo spazio, sì il mare, come dell’una e l’altra parte del litorale”. Infine, l’antico maniero, venne ricostruito dagli Inglesi, limitatamente alla cinta esterna, all’inizio dell’800 per difendere le posizioni contro presumibili assalti dei francesi che, dalla Calabria, si preparavano ad invadere le coste joniche della Sicilia.
Per otto secoli, tra ricostruzioni e rifacimenti, battaglie ed invasioni, il Castello di Capo Sant’Alessio è certamente stato un grande protagonista ed un costante testimone di tutti gli avvenimenti accaduti attorno alla sua prorompente mole e non ha negato di volta in volta , la richiesta (o non richiesta) ospitalità.
Al tempo della battaglia di Ottaviano e Pompeo (36 a. C.) il castello avrebbe ospitato lo stesso Pompeo; attorno all’anno 1000 si sarebbe fermato l’imperatore bizantino Alessio e, nel 1117, il vecchio maniero ricevette la visita di Ruggero II, il normanno, che vi incontrò un frate basiliano, Fra Gerasimo, il quale, proprio in questa occasione, si rese portatore delle preghiere verso il Gran Conte al fine di convincerlo (come avvenne) a (ri)costrire il Tempio dei SS. Pietro e Paolo d’Agrò, di cui parliamo in altro scritto.
Nel 1535 il nostro Castello ebbe l’onore di ospitare Carlo V, il re sul cui regno “non tramontava mai il sole” e, nel 1674, reso deposito delle vettovaglie della città di Messina, svolse un valido ruolo a favore dei messinesi capitanati dal marchese di Gallidoro che difendeva il castello contro le truppe del capitano Sembron, ma Gallidoro ebbe la peggio e fu costretto alla fuga.
N.B. Testi tratti dal libro “LA VALLE D’AGRO’” (pubblicato nel 1995), del giornalista e scrittore Carmelo Duro.
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