Storie di Sicilia
LA RIVIERA JONICA ED I SUOI PERSONAGGI ILLUSTRI DEL PRE-POST UNITA’ D’ITALIA (di Santo Lombardo)
ATTIVITÀ ECONOMICHE DELLA ZONA IONICA
PRIMA DELL’UNITÀ D’ITALIA
Relazione tenuta da Santo lombardo in occasione della Settima Edizione giornata mondiale del libro del libro – S.Teresa di Riva, sabato 7 maggio 2011
Per inquadrare il mio intervento sulle attivitàeconomiche della zona ionica del messinese prima dell’Unità d’Italia, ritengo opportuno partire da alcune considerazioni di carattere generale.
Nell’esposizione internazionale di Parigi del 1856 fu assegnato al Regno delle due Sicilie (cosi si chiamava, dal 1816, la dinastia borbonica) il premio per il TERZO PAESE IN EUROPA come sviluppo industriale dopo la Gran Bretagna e la Francia.
Citiamo alcuni primati che, incontestabilmente, nei vari campi vanno attribuiti, durante la sua durata, al Regno borbonico.
- Prima ferrovia e prima stazione in Italia ( Napoli – Portici) nel 1838 , nel 1959 la rete ferroviaria pur non essendo estesa era tecnologicamente più avanzata rispetto alle altri parti d ‘Italiacon maestranze formate in Inghilterra;
- La più grande industria metalmeccanica in Italia, quella di Pietrarsa;
- Primo telegrafo sottomarino dell’Europa continentale;
- Prima cattedra universitaria di economia in Europa all’Università di Napoli, e prima borsa merci e secondo borsa valori dell’Europa continentale;
- Prima flotta mercantile in Italia ( terza nel mondo);
- Prima nave a vapore del Mediterraneo;
- Prima istituzione del sistema pensionistico in Italia con ritenuta del 2% sugli stipendi degli impiegati,
- Prima nave da crociera in Europa ( “ Francesco I”);
- Osservatorio sismologico vesuviano (primo nel mondo), con annessa stazione meteorologica;
- Istituzione dello Stato civile che parte dal 1820, all’avanguardia per quei tempi;
- Istituzione all’Università di Palermo della cattedra di Statistica.
- Miglior finanza pubblica in Italia; Schema al 1860 in milioni di lire-oro): (Regno delle due Sicilie : 443,2; Regno di Sardegna: 84,2);
IN SICILIA:
Sfruttamento sulle miniere di zolfo in Sicilia (la Regione deteneva il 90 % della produzione mondiale ma è notorio lo sfruttamento dei lavoratori del mondo delle zolfare). L’Inghilterra deteneva il monopolio dello sfruttamento delle miniere.
Sorse l’impero economico dei Florio (Il Marsala era un vino molto diffuso in Europa)
Altre considerazione generali di carattere localistico.
LA NASCITA DELL’UNIVERSITÀ DI MESSINA E IL PORTO FRANCO
Nel 1838 i Borboni ebbero il merito di ripristinare l’università di Messina, soppressa dagli spagnoli nel 1678, dopo la nota rivolta della città dello stretto contro la Spagna. Con il ripristino dell’Università si registra il primo passaggio sociale, dal punto di vista professionale, dalla micro-aristocrazia agraria alla borghesia intellettuale ed impiegatizia. Una buona percentuale di professori proveniva dalla terra di Savoca dove, da tempo, era radicata l’abitudine delle famiglie notabili di fare studiare i propri figli (mandandoli a Palermo a Catania e Napoli)
PR0FESSORI DI SAVOCA
Carmelo Pugliatti ( 1899 -1954)- Vice – Preside dell’ateneo e autore di diverse pubblicazioni che, per primo, in Sicilia introdusse l’uso dello Iodio. Il nipote Giuseppe Pugliatti che, poi, divenne professore di Fisiologia nell’ateneo messinese, scrisse “ La vita e le opere del prof. Vincenzo Pugliatti “, pubblicate a Parigi nel 1855.
Santi Scarcella ( morto nel 1868) – Successore di Anastasio Coco (nell’anno 1854) nella cattedra di farmacologia dell’Università di Messina; la sua tomba si trova nella contrada Giardino di Santa Teresa di Riva, dove sta anche scritto : Pari alla nobiltà dell’ingegno ebbe la dignità della vita. Dall’eccezionale memoria sottolinea lo storico coevo Giuseppe Trischitta, recitando il Rosseau dalla a alla zeta.
Giuseppe Crisafulli Trimarchi ( 1818- ? ) – Sacerdote- Primo Preside della facoltà di lettere- Fra i suoi allievi ci fu il poeta Tommaso Cannizzaro. Scrisse la vita di Giuseppe Amodio, un patriota del risorgimento morto nel 1861.
Michele Trimarchi (1926 – 1903) – Primo preside della facoltà di Medicina. Scrisse un trattato sulla febbricola.
Molti altri professori insegnarono nel Collegio di Messina fra cui il sac. Vincenzo Pugliatti. Sacerdote e insigne filosofo. Lasciò scritto Padre Giampietro, in un suo manoscritto: “ Ci fu un tempo in cui Messina era nella mani di Savoca. Non c’era un posto, una carica pubblica che non fosse occupata da un oriundo di Savoca… “
Nello stesso periodo, per incrementare l’economia, il Porto di Messina fu dichiarato “ Porto Franco” il che, in parole povere, significava che le merci potevano essere spedite senza pagare il dazio. Questo attirò nella città dello stretto, che divenne sede di alcuni consolati, numerosi mercanti stranieri.
ATTIVITA’ ECONOMICHE NELLA ZONA IONICA PRIMA DELL’UNITÀ
La Sicilia, pur dotata dai Borboni, a partire dal 1825, di unarete viaria di una certa consistenza specialmente sulle coste ( all’interno vi erano le regie trazzere) era certamente in condizioni più arretrate rispetto ai domini al di là del Faro ( dalla Calabria in su) ad esclusione della città di Messina e zone limitrofe dove vi erano consistenti attività economiche per i motivi che vi ho esposto e come rimarcano anche alcuni studiosi del periodo, citando il censimento industriale del 1855.
Ricordiamo che, nel 1828, fu realizzata la rotabile Messina – Catania. Tagli di roccia furono effettuati a Taormina vicino l’Isola Bella (prima bisognavarisalire nel Centro di Taormina e ridiscendere) ;altri tagli sulle balze scoscese di Capo S.Alessio Siculo, dove la strada fu trasformata in rotabile. Furono usati per i pericolosi lavori dell’epoca anche dei forzati e dei carcerati in cambio di una ridotta amnistia. Alcuni appalti furono dati al padre dell’illustre chirurgo Francesco Durante che aveva origine palermitane. La dura pietra di Taormina era largamente adoperata nell’edilizia. La zona era interessata da giacimenti per la produzione industriale della calce di cui ancora si notano i resti. Il castello di S.Alessio apparteneva direttamente al RE che vi teneva stabilmente una guarnigione di soldati.A S. Alessio, marina di Forza D’Agrò, esisteva anche un piccolo approdo-porto per lo scarico delle merci: nelle carte d’archivio del primo ‘ottocento viene citata la figura di un certo dott. Marco Trischitta “ Regio portulanoto” in Sant’Alessio.
La costruzione della strada favorì il commercio ed un significativo incremento della popolazione della marina; cominciò a popolarsisegnatamente la zona di Furci , l’antico quartiere di Furchi della terra di Savoca come sta chiaramente scritto in più atti. ove già era molto diffusa la pesca tanto che, per i mari dello Ionio, godeva chiara fama“ la cosiddetta squadra di Savoca” che operava fin sotto le coste Calabresi. Era già nei primi anni dell’ottocento Furci un agglomerato economicamente attivo e popolato con gente che proveniva, come vedremo, dai centri più svariati..
Qui si spostarono da Savoca le prime famiglie notabili: i Longo, i Morabito (famiglia estinta), I Procopio (Famiglia illustre ed estinta che abitavano per ultimo a Santa Marina), I Cuzzaniti (famiglia non più presente) e, già, nel primo ‘settecento, i Coglitore che avevano un palazzo a Grotte e per ultimi la nobile famiglia dei Trischitta.
Scrive Giuseppe Trischitta, morto a Furci, nel 1931 in un manoscritto “ Cenni storici su Savoca” che l’odierno Comune di Santa Teresa di Riva doveva chiamarsi Furci, in quanto quartiere più popolato. Giuseppe Caminiti, procuratore dei marinoti, inviato a Palermo per perorare la causa della separazione dei borghi della marina dall’alto di Savoca, disattendendo i patti, si arrogò di cambiare il nome in quello di Santa Teresa in onore della moglie del RE. A Furci si costruirono a partire dal 1850 , delle case secondo degli elaborati tecnici che assomigliano ad una bozza di piano regolatore conservati nell’apposito fondo dell’archivio di Stato di Palermo. Nell’elaborato è indicato il luogo dove doveva sorgere la chiesa della Madonna delle Grazie e dove si trovava il Palazzo dei Principi Mola con la chiesetta annessa. Altra antichissima chiesa era quella dedicata a S.Antonio da Padova.
Si nota la presenza di strutture economiche: la casa dei Gregorio Lopez, provenienti da Fiumedinisi, pastai (esistono atti di compravendita di grano con commercianti che abitavano nella piana di Catania e con molti altri delle Vallate della nostra zona dove abbondavano i mulini ad acqua, segnatamente nella fiumara d’Agrò) e soprattutto quella del sig. Antonino Russo Gatto il cui fabbricato dalla rotabile arrivava al litorale. Scrivevano il Saitta e il Raccuglia nel 1899” … Allora la marina di Savoca godeva già di una certa importanza , il suo nome correa la riviera da un capo all’altro, si celebravano i vini e gli oli delle sue campagne, si vantavano fino a Messina le sue pasti alimentari, si cercavano sino a Catania le sue sete e la borgata Furci acquisiva una preminenza assoluta nel traffico,anche per i forestieri che venivano a stabilirsi tra i quali si ricorda il sig. Antonino Russo Gatto, ricco negoziante di Messina.
RUSSO GATTO. Un grande imprenditore della marina di Savoca.
Nacque a Messina nel 1808 e morì a Furci, quartiere di Santa Teresa nel 1868. Aveva una casa di villeggiatura nella contrada Lacco, recentemente restaurata. Si sposò nel 1856 con Maria Antonia Prestipino di agiata famiglia Savocese. E’ sepolto nel convento dei Cappuccini di Savoca, in una tomba gentilizia. Si trasferì da Messina a Furci verso il 1842 aprendo due grandi magazzini di legumi e cereali ma, poi, si orientò in tutt’altra direzione vesto i derivati agrumari (essenza di limone) e vinicoli e alla produzione del cosiddetto cremor di tartaro di cui esistevano nella provincia di Messina solo due fabbriche di cui una appartenente al Sig.Gatto (censimento industriale del 1855). Il cremor di tartaro è il cosiddetto tartrato acido di potassio che conferisce acidità al mosto. Si presenta, una volta prodotto finito, come una polvere bianca. Il suo impiego spaziava dalla colorazione dei tessuti agli usi medicinali. La sua produzione, legata a quella vinicola,un tempo era cospicua ed alimentava un florido commercio. Il Gatto commerciava con produttori anche del catanese (Mascali e Linguaglossa). Per effettuare i trasporti delle merci acquistate Antonino Russo Gatto si avvaleva anche di una imbarcazione della consistente portata di 25 tonnellate denominata “ San Francesco di Paola” di cui era proprietario insieme a don Giovanni Crisafi e a padron Antonino Briguglio, entrambi commercianti. Con le sue attività, riusci ad occupare con l’indotto 100 operai ma forse il dato è esagerato, Al suo tempo già esisteva nelle nostre zone il verdello che incartava e spediva anche all’estero.
Sul Russo Gatto è stata fatta una corposa e brillante tesi di Laurea, a cura di Giuseppe Treviso,dal titolo “ Un mercante-imprenditore tra la Marina di Savoca e S.Teresa Riva: Antonino Russo Gatto (1808-1868) “ – Facoltà di Scienze politiche dell’Università di Messina, anno accademico 1998-1999.
MERCANTI INGLESI CHE OPERAVANO NELL’ANTICO TERRITORIO DI SAVOCA NEL PRIMO ‘OTTOCENTO
L’inglese John Causton era specializzato nel commercio del vino prodotto nell’isola e si stabilì, per un certo periodo, nella marina di Savoca, nella frazione Cantidati. Qui nacque, nel 1825, la figlia Charlotte. Mori a Messina nella peste di colera nel 1854. Sempre nella marina di Savoca, nella contrada Porto Salvo, si riscontra la presenza costante di un altro mercante inglese, don Giovanni Smith che, nel 1840, abitava, nella contrada Porto Salvo. Altri commercianti stranieri che frequentavano saltuariamente le nostre zone, a partire dal 1815, erano soliti fari affari alla allora rinomata fiera di di S.Pietro e Paolo d’Agrò dove, in anticipo, compravano con rogito notarile, i prodotti vinicoli dell’intera annata.
LE FILANDE – Nel territorio di Savoca esistevano cinque filande di cui due operavano stabilmente tutto l’anno e altre tre stagionalmente come ricorda il censimento industriale del 1855 e un manoscritto di P.Basilio Gugliotta, un monaco del convento di Savoca. Una filanda era ubicata nel Vallone Gallo, sotto Misserio, un’altra in località Misericordia fra Savoca e Casalvecchio Siculo. La professione “filandera” è significativamente presente negli atti dello Stato Civile del periodo borbonico. I gelseti abbondavano nelle nostre campagne e la bachicoltura era esercitata anche a livello familiare con la produzione di bozzoli. Pregiate erano le sete prodotte.
LE MINIERE DI ALLUME
Sfruttate significativamente fino al tempo deiborboni; furono abbandonati subito dopo l’unità. Studiati a fondo dal prof. Angelo Cascio di Roccalumera.
A Roccalumera esisteva la celebre locanda denominata “ Zza Paola!!.
FIUMEDINISI
Fiumedinisi fu profondamente colpita dalla tremenda alluvione del 1855 la quale causò la perdita o il danneggiamento di importanti strutture produttive: la fabbrica di Mussola (tessuto leggerissimo semitrasparente, di lana, di cotone o di seta “ l’espressione lenzuola di mussola “ si trova in tanti atti notarili dell’epoca), la fonderia e lo stabilimento di lavorazione cartacea. Ai borboni si deve l’accentuazione dello sfruttamento minerario di Fiumedinisi che durò, con alterne fortune, fino a 1960 circa.
FERROVIA MESSINA- CATANIA
Progettata dai borboni ma tecnicamente rielaborata dopo l’Unità d’Italia. Inaugurata nel 1868 è rimasta, per un lungo tratto, vergognosamente, ad un binario.
IL PATRIMONIO BOSCHIVO
Il territorio dell’interno era fortemente antropizzato e la presenza umana era quasi continua dalla marina ionica fino al Catroreale al cui distretto la zonaionica, dal torrente Pagliara fino a Taormina, apparteneva. I Boschi abbondavano e il taglio di legna era effettuato con raziocinio. Non esistevano praticamente gli incendi. Santa Marina sopra Furci, oggi zona brulla, era, ad esempio un rigoglioso bosco. Dopo l’Unità con lo sviluppo delle ferrovie i querceti furono tagliati in massa per fare le traversine delle ferrovie e altre piante di alto fusto per ricavarne legna (l’alimentazione delle ferrovie era a carbone) come descrive lo storiografo Puzzolo Sigillo Domenico in una monografia su Casalvecchio Siculo del 1909.
NESSUNA VITTIMA NEI FATTI RISORGIMENTALI DEL 1860.
Nella nostra riviera ionica si sono celebrati degli eventi per il 150° anniversario dell’Unità d’Italia che non fu fatta in senso federale come vagheggiava Carlo Cattaneo, interventitutti autorevoli e da apprezzare ma, per amore della verità storica, ritengo opportuno precisare quanto segue:
Fra Scaletta e Giardini negli avvenimenti del 1860 non vi fu nessuna vittima. Nessun paese può vantare un solo caduto. Molto spesso le squadre neanche raggiunsero le zone operative o si intricarono in fatti estranei agli avvenimenti. Il Colonnello Giovanni Interdonato ebbe un ruolo significativo nella repressione dei moti di Alcara Li Fusi, non dissimili a quelli di Bronte, riportati anche nell’opera di Vincenzo Consolo “ Il sorriso dell’ignoto marinaio”.
Luciano Crisafulli di Casalvecchio nella zona di Bronte si intrigò in faccende paesane; dopo l’unità divenne addirittura proprietario della chiesa dei Santi Pietro e Paolo d’Agtrò dove è sepolto.
Risultano feriti un Bongiono di Antillo (medaglia d’argento elargita dall’apposita Commissione Commemorativa dei fatti istituita in Palermo) che riportò due feriti gravi nella battaglia di Milazzo e il giovane Rizzo Antonino di Domenico, originario di Forza d’Agrò, che fu ferito leggermente nella nota battaglia di Calatafimi.
I borboni, subito dopo il 1848, concessero una generale amnistia che comprendeva anche i condannati all’ergastolo intendendosi adoperare per la pacificazione generale.
I Borboni esentarono, durante la durata della loro dinastia, la Sicilia dal servizio militare; subito dopo l’Unità d’Italia il servizio militare durava sette anni e molti disertarono favorendo lo sviluppo del brigantaggio. Fu coniato appositamente nel palermitano, il detto: “ Megghiu porcu ca surdatu”.
Santo Lombardo
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