Storie di Sicilia
SALVATORE QUASIMODO: UNA MISERA GIOVENTU’, MA CHE GIA’ LO VEDEVA POETARE
SALVATORE QUASIMODO. Il Premio Nobel per la letteratura nel 1959, a Roccalumera aveva diversi parenti ed amici, ma un amico in particolare ha voluto e saputo realizzare un libro che unisce Roccalumera ed il poeta stesso in un susseguirsi di ricordi dell’autore, racconti, trascrizioni di lettere e poesie, che fanno rivivere alla nostra cittadina ancor oggi l’orgoglio di essere parte del paese dei Grandi Talenti. E Salvatore Quasimodo fu uno di questi. Ebbene, l’autore del libro di cui sto per estrapolare alcuni tratti salienti della biografia di Quasimodo è Carmelo Calabrò, insegnante delle Elementari e Maestro di vita mio per averlo avuto quale insegnante per quattro anni. Calabrò scrive: “Ho voluto soprattutto sottolineare quanto il poeta ha avuto in comune con Roccalumera, il paese dove ha trascorso la sua fanciullezza, e dove, ormai adulto e famoso, veniva a trovare i suoi genitori e parenti”.
–
Salvatore Quasimodo nacque a Modica (Ragusa) il 20 agosto 1901 da Gaetano e Clotilde Ragusa. In quel periodo suo padre, capostazione delle ferrovie, era in servizio presso quella cittadina. A Modica rimase solo pochi giorni; infatti, a causa di un’alluviove che nel 1901 aveva colpito quella zona, la madre, preoccupata per la salute del figlio, lo portò a Roccalumera dai nonni. Secondo quanto riferito dal figlio Alessandro, pare che in quell’occasione il nonno Vincenzo sia partito da Roccalumera, con mezzi di fortuna, per andare a prendere il neonato assieme alla madre Clotilde e portarli a Roccalumera, perchè il padre Gaetano non poteva abbandonare il servizio. Salvatore fu così battezzato nella nella chiesa della Madonna del Rosario, ad Allume, frazione di Roccalumera. Si dice che il signor Agatino Scarcella, padre del Vicario Generale della Curia di Messina Monsignor Scarcella, abbia tenuto a battesimo il premio Nobel.
–
I Quasimodo sono di Roccalumera e una buona parte di essi sono sepolti nel cimitero locale. Il capostipite della famiglia fu Vincenzo Quasimodo, nato a Messina il 24 novembre 1843 da madre e da padre ignoti. Il 20 di maggio 1867 sposa Rosa Papandreu, cognome in seguito cambiato in Papandrea, nonna amatissima dal poeta, la quale visse circa 100 anni (1850-1950). Quasimodo, in una intervista, afferma che la nonna paterna, Rosa Papandrea era figlia di oriundi greci provenienti da Patrasso; per questo motivo dei suoi genitori non si conosce nè il nome nè la data di nascita. Vincenzo Quasimodo faceva il cantoniere e per otto anni, dal 1902 al 1910, fu assessore al Comune di Roccalumera con i sindaci Luigi Caminiti e Francesco Mastroeni.
–
1908: VISSE ANCHE NEI VAGONI FERROVIARI
Quansimodo visse i primi anni della sua fanciullezza a Roccalumera dai nonni. In seguito, è stato un continuo peregrinare per le località della Sicilia dove il padre, capostazione delle ferrovie, veniva trasferito: Gela, Palermo, Sferro, Girgenti, Modica, Acquaviva, Platani, Licata… Il padre del poeta ne ha enumerate quindici.
Fequentò le scuole elementari fra Comitini, Gela e Messina, e la scuola secondaria a Palermo, da dove proveniva la famiglia della madre.
Tre giorni dopo il disastroso terremoto del 1908, il padre il padre fu trasferito a Messina per sistemare la stazione ferroviaria che era stata semidistrutta. In quel periodo la famiglia Quasimodo era alloggiata dentro i vagoni ferroviari che si spostavano sui binari ogni qualvolta si avvertiva una scossa.
Nella poesia dedicata al padre il poeta dice:
…le nostre notti cadono/sui carri merci e noi bestiame infantile/contiamo sogno polverosi coi morti/sfondati dai ferri, mordendo mandorle/e mele disseccate a ghirlanda/“.
–
Il piccolo Salvatore di ciò conserverà un doloroso ricordo: quello della paura, delle case distrutte, degli sciacalli sorpresi a rubare sui cadaveri e fucilati sul posto (tagliavano anche le dita della mano per poter prendere gli anelli). Dai vagoni ferroviari la famiglia Quasimodo si trasferì prima in una baracca di legno e poi in una delle casette costruite per i ferrovieri nel quartiere americano, che ancora oggi sono regolarmente abitate.
Per saperne di più sulle abitudini e anche sulle marachelle del piccolo Totò (come veniva chiamato in famiglia) ricorriamo alle parole della sorella Rosa Quasimodo che nel testo “Tra Quasimodo e Vittorini” scrive: “Di Totò non ricordo che studiasse, ma che leggeva di tutto si. A scuola era bravo, i suoi componimenti il professore li leggeva a tutta la classe.
Totò e il fratello Vincenzo studiavano a Palermo e abitavano in casa dei parenti della mamma. Venivano ad Acquaviva Platani nelle feste (a quel tempo mio padre faceva lì il capostazione)…
Totò incominciò a fumare le prime sigarette, ricordo l’amarezza della mamma. Aveva dieci anni e promise che non l’avrebbe fatto più, ma ormai aveva iniziato. Nella campagna correva libero, si fermava a cercare le erbe dolci quale la porcellana e assaggiava tutto anche le erbe amare e velenose. Con le foglie secche si faceva le sigarette. Mamma lo picchiava”.
–
Il padre, don Gaetano, in un’intervista rera a Silvano Gaudio, corrispondente dellla rivista “Vie nuove”, pubblicata nel febbraio 1960, così ricordava il figlio Totò: Il professore Fulci dell’istituto Iuvara di Messina mi scrisse: (Salvatore aveva dodici anni) – suo figlio fa sempre poesie, se non la smette lo perderà, – Scriveva persino i temi in versi così non potevo mai sapere se a scuola andava bene o no”.
Dal libro di Carmelo Calabrò: “Un Nobel a Roccalumera”, edito dal Comune e pubblicato nel giugno 2006.
Invia un Commento