Savoca, Storie di Sicilia
Savoca. Un Forziere pieno di Meraviglie (di Santi Muscolino)
“L’opera di Muscolino è una sorta di lente convergente puntata su una miriade di fatti, piccoli o di rilievo, in caso contrario destinati a perdersi o ad avere un utilizzo sporadico”. Questo leggiamo, frà l’altro nella prefazione del Prof. Giuseppe Cavarra. Ebbi modo di conoscere Cavarra (Poeta, Scrittore, fondatore di diversi Premi Letterari, per anni docente del Liceo Classico “La Farina” di Messina), e di seguirne i discorsi in vari convegni, un uomo la cui elevata cultura storica e la cui sensibilità certamente mancheranno al nostro terrirorio. Ci ha infatti lasciato il 4 febbraio 2012.
L’autore, Santi Muscolino, eletto sindaco di Savoca “con la maggioranza assoluta dei voti” nel 1966, pubblico due anni dopo la prima versione di questo libro. Dalla ristampa, -da cui una copia venne donata a Cavarra ed ora in mio possesso e dalla quale estraggo quanto state per leggere- intendo ancora una volta porgervi uno scorcio di Storia di Sicilia che, altrimenti, (come disse il maestro): “sarebbe destinata a perdersi”.
A circa 36 km da Messina, e a pochi chilometri dallo scalo di S. Teresa di Riva, seduta sulla dorsale di un maestoso colle vivertice, a 300 m. sul livello del mare, sorge Savoca, una delle tre famose sorelle (Savoca-Forza d’Agrò-Taormina) le quali, pur separate da diversa fortuna, sono lì a guardarsi dai loro antichi colli riscaldati dallo stesso sole, protetti dall’immensa volta azzurra dello stesso cielo, con di fronte il meraviglioso incanto dello stesso mare.
ORIGINE E NOME. DAGLI ARABI ALL’AVVENTO DEI NORMANNI
Ai primi secoli del Cristianesimo, Savoca divenne un importante centro di religione cristiana, diffusa in queste contrade direttamente da San Paolo e dai discepoli di San Pietro. Nell’828, la fede era tanto forte e sentita che gli Arabi stessi non riuscirono a distruggerla, tant’è vero che i savocesi, fermi e costanti nella manifestazione della loro fede, furono sottoposti al pagamento di una tassa, detta “gezia”, che veniva inflitta a tutti coloro che si ostinavano a rimanere fedeli al Cristianesimo.
Gli Arabi ne fecero una città murata con due porte di accesso, una delle quali ancora esistente; riedificarono l’antico Castello che, già costruito dai Pentefur, conservò sempre lo stesso nome, mentre la città fu chiamata Savoca, nome di origine araba che deriva da due parole: “Kalat e Zabut” che significherebbero “Rocca del Sambuco”. Questa pianta era ed è molto fiorente sulle colline di Savoca.
Sotto il dominio degli Arabi, dall’828 al 1072, Savoca fu molto fiorente. Gli Arabi v’introdussero la coltivazione dei gelsi, degli agrumi, del cotone, dell’albicocco; portarono, e fu fiorente, l’allevamento del baco da seta. Savoca fu un centro molto importante per seta anche sotto i Normanni, conservò sotto gli Arabi e i Normanni la specialità dei maestri tintori, arte che avevano ereditato dai Fenici e che usavano con una tecnica ed una maestria particolare.
Gli Arabi ricostruirono e potenziarono il vecchio maniero, e, per sua difesa, costruirono delle Torri-Vedetta che, disposte a ventaglio, avevano lo scopo di controllare la costa e segnalare tempestivamente al fortilizio l’avvistamento di unità nemiche, in modo che si potesse organizzare la difesa della città. Queste torri-vedetta erano poste tutte sulla costa jonica: ben cinque di esse sorgevano nel territorio oggi appartenente a S. Teresa di Riva: 1) Torre Catalmo, nella zona chiamata Calhat Alveus, ancora esistente e in ottimo stato di conservazione; 2) Torre Avarna, in territorio della vecchia Phoinix, già distrutta; 3) Torre Varata, ad Est di Savoca (è rimasto solo il nome della zona abitata); 4) Torre dei Bagli, a Nord-Est di Savoca; 5) Torre dei Saraceni, a Nord-Est di Savoca; 6) Torre Zì Paola, nel territorio di Palmorium, oggi Roccalumera.
Tracce del passaggio dei Saraceni, ancora esistenti a Savoca, sono la “grotta dei Saraceni” nei pressi della Cattedrale; la “strada dei Mori” che, dopo un’ampia curva, scende ripida e tortuosa fino al torrente Rina, da dove, si suppone, salirono gli Arabi per l’invasione; la fontana “Barba” (o dei “Barbari”), ai piedi del Monte Calvario, dal lato Rina.
LE OPERE NORMANNE – LA CATTEDRALE
Numerose sono, sul colle bivertice di Savoca, le tracce che testimoniano la gloria e la grandezza dei nostri avi. Al turista che la visita la città presenta oggi uno spettacolo desolante che sa di potenza e di grandezza: mute rovine e fabbriche vetuste la cui origine si perde nell’immensità del tempo sono i muti testimoni di un’antica gloriosa potenza, il cui culmine di splendore si ebbe nel periodo della dominazione normanna. Verso l’anno 1072, il Gran Conte Ruggero abbatteva il dominio degli Arabi in Sicilia, instaurando il suo dominio. Anche a Savoca, liberata dagli infedeli, s’instaurava il dominio normanno. Il Gran Conte fece ricostruire il vecchio Castello e arricchì la città di basiliche e chiese monumentali. La volle sede dell’Archimandrita, cui facevano capo tutti i conventi brasiliani della Sicilia Orientale.
Sorserò così le antiche chiese. La chiesa Madre, imponente costruzione normanna, restaurata nel 1400, ha il portale principale cinquecentesco con un mirabile rosone di pietra lavica. È visibile uno stemma con tre martelli divisi da una banda orizzontale, con scritta: “Hoc opus fieri fecit M. Petrus Trimarchi”. Due porte minori sono archiacute ed il campanile è del XV secolo. La chiesa, sede dell’Archimandrita e degli antichi abati, ha tre navate con colonne di granito massiccio, sovrastate da capitelli di stile romanico. Troneggia un pregevole altare maggiore di marmo lavorato ed il Coro, in legno scolpito, ove sedeva il Capitolo, stesso stile del pregevole pulpito e del trono (o Cattedra Archimandritale). Le pareti del Coro sono affrescate con pitture sul trionfo celeste della Madonna Assunta, alla quale la chiesa è dedicata.
Fino a pochi anni addietro, esistevano ancora le canne di un antichissimo organo. Di una particolare rarità è la Cappella del SS. Sacramento. Si nota un trittico che rappresenta il Battesimo di Gesù nel fiume Giordano, la Sacra Famiglia, con un San Giuseppe che medita e la Madonna pensosa, opere restaurate di recente. Nell’interrato di questa chiesa si trovano le cripte dove venivano eseguite le mummificazioni dei cadaveri che poi venivano conservati nelle catacombe dei Padri Cappuccini.
In questa chiesa, che fu Cattedrale, molte erano le opere artistiche di pittura e scultura. Molto hanno fatto per la loro distruzione la inesorabilità del tempo, la malvagità degli uomini e l’egoismo degli antiquari. Poco esiste degli antichi e artistici oggetti di culto, dei paramenti sacri, delle artistiche porte secentesche della sacrestia e degli antichi mobili scolpiti. Non rimane che ricordo delle “Laudi Sacre” cantate all’Altissimo in lingua greca e latina dagli antichi abati che, rappresentando i diversi conventi, si riunivano in questo antichissimo tempio e, insieme al loro Archimandrita, rendevano grazie al Creatore, cantando inni di gloria immortale.
IL CALVARIO E LE ANTICHE CHIESE
Accanto alla Cattedrale, sorge una casetta rurale contrassegnata col numero due della via San Giovanni. Essa conserva, ancora perfetto, uno dei tesori più preziosi che racchiude lo scrigno misterioso che è Savoca: è un gioiello di finestra bifora medioevale, (nella foto), che sfida i secoli con la perfezione delle sue linee arcuate e che si mostra al visitatore nella interezza della sua perfezione e nella preziosità della sua fattura.
Iniziamo il nostro giro esplorativo dalla regione orientale al lembo estremo della via San Giovanni Battista che nella parte meridionale viene chiamata via “Dei Mori”. Qui, anticamente, vi era l’altra antica porta della città, vicino ai vecchi ruderi della antichissima chiesa di San Giovanni Battista. Si ergono vecchi fabbricati e modeste casette, poste sul vivo masso che lascia ai lati due grandi abissi. In questo luogo sorgeva l’antichissimo Ospedale di San Giovanni.
Proseguendo per questa strada, dopo un centinaio di metri, incontriamo lo squarcio panoramico del Monte Calvario. Attraverso una grande scalinata, piuttosto malandata, raggiungiamo la cima del monte, dove, su un ampio spiazzo, sorge l’antica chiesa del Calvari, con accanto i ruderi di un vecchio convento dei frati brasiliani, monaci di San Basilio Magno, di rito orientale. Qui culminano le varie stazioni della “Via Crucis”, che iniziano nella piazza antistante la chiesa del Convento dei Padri Cappuccini e, attraverso la strada principale del paese, si concludono all’altare maggiore di questa per vetusta chiesa che, ormai scoperchiata, è avviata verso la distruzione. La chiesa è sovrastata da un ampio antichissimo arco normanno di pietra, che ancora oggi si conserva intatto.
Sulla vetta più alta del monte esistevano anticamente tre croci: nel mezzo quella di Gesù con la scritta “J.N.R.J.”; ai lati quelle dei ladroni, anche queste distrutte dal tempo che tutto e tutti travolge. Dall’ampio piazzale, completamente abbandonato, il visitatore gode di un panorama veramente d’incanto: l’occhio spazia in un’ampia visione di monti e vallate poste a scacchiera; di fronte l’orizzonte si perde nello specchio infinito del mare Jonio, mentre un’arietta salubre e fine penetra e ristora i polmoni. Da questa chiesa alcuni anni fa è stato asportato l’ultimo dei cimeli preziosi esistenti: un’antichissima statua lignea dell’Ecce Homo, rubata da ignoti. Di essa non si ha più nessuna traccia.
Lontano è il tempo quando, durante il periodo di Quaresima e specialmente il Venerdì Santo, una enorme folla di fedeli assiepava questa chiesetta e la piazza antistante per assistere con grande devozione alle funzioni della giornata in un clima di umiltà e pienezza. Anche oggi, superata la faticosa salita della scalinata, possiamo raccoglierci e meditare, dimenticando, anche per poco, le cose del mondo in questo mistico sito posto così in alto, quasi sospeso tra il cielo e la terra. Nel ritemprare il nostro corpo, possiamo ritemprare anche lo spirito avvicinandoci maggiormente a Dio Redentore e rafforzare così la nostra fede.
IL CASTELLO – L’IMMACOLATA – SAN ROCCO – IL BANCO DEI NOBILI
Fermiamoci nella piazzetta della Chiesa Madre. Verso levante, notiamo una profonda vallata sulla cui cima, anticamente, erano posti gli enormi anelli di ferro dentro i quali scorrevano le corde dei pirati che risalivano sul colle dopo aver consumato le loro scorrerie.
Sorpassata la piazzetta, lungo la via Matrice, incontriamo a sinistra un’antica costruzione, la casa dei Trischitta, il cui portale si conserva ancora in buone condizioni: in alto è scolpito in pietra di cimino lo stemma di famiglia, con un pino ancora intatto. A fianco, nello stesso edificio, si mostra una finestra bifora che, per quanto in pessime condizioni di conservazione, dimostra, non meno della prima, la preziosità della sua fattura.
Proseguendo per la via matrice, ai cui lati notiamo muri antichi, diroccati e silenti che danno un senso misterioso di amarezza e di desolazione, sono i ruderi delle antiche abitazioni dei nobili savocesi, ormai in completo abbandono. Siamo alle falde dell’antico Castello che fu l’antica potenza dei Pentefur, un tempo importantissima fortezza popolata di soldati e fortificata, oggi un avanzo di ruderi recintati da un alto muro merlato con feritoie. Da questo Castello, che anticamente comunicava con le numerose torri-vedetta disposte lungo la costa jonica, oggi si gode solo uno stupendo panorama che spazia nella infinita immensità del mare e della costa calabrese fino alla cima fumante dell’Etna, quasi sempre coperta di candida neve.
Al di sotto, resta Savoca con le sue rovine e i suoi ruderi che sembrano lo scheletro di un mondo perduto. Ecco i resti dell’antica chiesa dell’Immacolata con, alle sue spalle, il plesso scolastico. Questo era il Convento dei frati Minori Conventuali, una delle tre famiglie in cui si divide l’Ordine Francescano. Essi vestivano una tunica nera con cordone sottile di cuoio e portavano il cappello del clero secolare. Officiavano in quest’antichissima chiesa che era ricca di opere d’arte e altari pregiati; oggi è un ammasso di ruderi, con intatto il grande arco che sovrasta l’altare maggiore. Lo stemma dell’ordine francescano risulta scolpito in una cantonata all’esterno della chiesa e sulla colonnina con croce che s’innalza all’entrata della piazzetta. Alcune lapidi di marmo con scritte latine racchiudono le antiche sepolture comuni. Il tutto, desolato e devastato, ci dimostra il tramonto di quello che doveva essere l’antico splendore di Savoca.
Guardando verso il mare, vediamo un quartiere abitato intorno al rudere di un’antica chiesa: è il quartiere San Rocco, con i ruderi della chiesa del Santo, dello stesso stile e stessa epoca di quella dedicata a San Giovanni Battista, nell’omonimo quartiere che abbiamo visto prima. Era una delle più ricche chiese di Savoca e sorgeva nel “quartiere dei marinai”. Le sue ricche opere d’arte, come quelle della chiesa di San Giovanni, sono state spoliate e vendute.
Continuando il nostro viaggio verso il centro, a destra incontriamo un antico sedile di pietra. Questo sedile sfida i secoli ed è chiamato “il banco dei nobili”. La leggenda vuole che su questo banco sedessero gli antichi nobili savocesi nelle ore libere dal lavoro o dalle occupazioni. Tutti i popolani che passavano, in segno di riverenza e di umiltà dovevano togliersi il berretto (“a scurzitta”), postarla sulla spalla sinistra e proseguire così il loro cammino. Guai a colui che non osservava questa legge: diventava oggetto di persecuzione e di vendetta da parte di tutti i signorotti.
CHIESA DI SAN NICOLA – SAN MICHELE
Subito dopo il banco dei nobili, ecco la chiesa di San Nicolò Vescovo (nella foto). Anche questa è un’antichissima costruzione a tre navate, con colonne di granito massiccio sormontate da capitelli. Ha bellissimi altari di marmo pregiato e tante altre opere pregevoli di pittura e scultura. La chiesa è stata ricostruita più volte; la facciata è con portale di marmo sormontata da una piuttosto rustica statua di Santa Lucia. Sul campanile vi è un vecchio orologio che ha sempre funzionato male e che oggi non funziona affatto. Una leggenda dice che la costruzione di questa chiesa fu iniziata contemporaneamente con la Chiesa Madre e, a gara con essa, dal costruttore Trimarchi, fratello del costruttore dell’altra chiesa. Era in gara il titolo di Chiesa Madre che doveva assumere quella delle due che veniva completata prima. Sempre stando alla leggenda, il costruttore della chiesa di San Nicolò era sonnambulo e, durante la notte, mentre dormiva, si portava sul ponte e proseguiva il lavoro, per cui questa chiesa era in una fase molto avanzata rispetto all’altra. Ma una notte il costruttore sonnambulo fu seguito dalla moglie, curiosa di vedere: svegliato sul ponte, cadde e morì all’istante. In seguito questa chiesa fu completata dal fratello, Mastro Pietro Trimarchi, dopo aver ultimato la Chiesa Madre, titolo che ancora conserva. Questa leggenda sembra avallata dal fatto che, per ben due volte, questa chiesa è stata restaurata ed ogni volta ha voluto una vittima umana. Infatti sia la prima che la seconda volta un operaio, caduto dal tetto, si dice sia morto all’istante.
Il Santo titolare di questa chiesa è San Nicola di Bari, ma il popolo la crede di Santa Lucia, che è la Patrona di Savoca sin dalla sua costruzione, facendo tramontare il culto del Santo titolare, di cui in questa chiesa nemmeno la statua esiste più.
Di fronte, poco distante, su un piccolo caratteristico colle, sorge un raro gioiello di arte normanna: la chiesa monumentale di San Michele Arcangelo, Monumento Nazionale. Essa venne costruita dai Normanni verso il 1400. Ancor oggi si può ammirare bella nei suoi lineamenti architettonici perfetti e nei suoi superbi portali gotici rinascimentali. Quello principale è decorato con palline intorno all’arco e punte di diamante nelle colonne laterali e fasce a scacchi all’intorno. Il portone è di legno massiccio con chiodi di bronzo; il portale laterale opera rinascimentale, è in calcare con architrave di marmo di Taormina.
Nel piazzale antistante la chiesa si trova una botola-ossario. È detto “il Limbo”, ai piedi di un rustico altare di pietra. Qui venivano sepolti i bimbi non battezzati e gli adulti presi dagli spiriti maligni. Dentro si possono ammirare alcuni preziosi arredi sacri; il soffitto è di rara e preziosa fattura in legno scolpito; gli affreschi sono in cattivo stato di conservazione; l’altare maggiore è di preziosa fattura; un pulpito di legno è di vera rarità. Nella parete laterale vi è l’icona dove sorgeva la bellissima Cappella dedicata a San Paolo, scolpita in legno di una superba bellezza, oggi in stato di distruzione. Si nota la preziosa tavola di San Michele Arcangelo, anch’essa Monumento Nazionale. Intorno a questo prezioso dipinto gli storici narrano una famosa leggenda, riportata dal Prof. Stefano Bottari. Secondo la leggenda, questo dipinto fu rubato durante una processione a Forza d’Agrò, allora rivale di Savoca. I savocesi fuggirono con il Santo sulle spalle, oltrepassando il confine, protetti da altri compagni armati di spade fatte con canne e dipinte in rosso col succo delle more, frutto dei gelsi, molto rigogliosi in queste contrade. Successivamente, sempre secondo la leggenda, per rifare la pace, i nobili savocesi invitarono ad un banchetto i nobili di Forza d’Agrò; in segno di omaggio ed amicizia, si sedettero a tavola alternandosi un forzose e un savocese. I camerieri che servivano a tavola portavano due piatti, uno con carne di manzo che mettevano davanti al savocese e l’altro con carne di cane che mettevano davanti al forzose. Da qui per i forzesi è nato il nomignolo di manciacagnola; invece i savocesi ebbero la fama di furbi ed astuti come i passeri, per cui, ancor oggi, circola il famoso detto: Unni viditi passiri e saucoti, / sparàticci cà cunsùmunu casati.
Alle spalle di questo prezioso monumento vi sono i ruderi di un’altra antica chiesa dedicata a Gesù e Maria, antichissima costruzione, accanto alla casa dell’Archimandrita, famosa anche per il culto di grande devozione e perché era la cappella privata dell’Archimandrita. In essa sorgevano bellissimi altari in marmo pregiato colorato, oggi completamente scomparsi. Dietro la chiesa domina il rudere della casa dell’Archimandrita.
NOTA: I testi sono tratti dal libro di Santi Muscolino “Savoca un paese pieno di meraviglie” pubblicato nel Maggio 1996.
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