Storie di Sicilia
Focus. Il tempo e lo spazio nella teoria della relatività
Sin dall’antichità il tempo e lo spazio erano considerati enti assoluti, indipendenti dagli avvenimenti e dagli oggetti. E anche la Meccanica classica aveva mantenuto il vecchio concetto. Infatti, in un universo dove i segnali possono propagarsi istantaneamente, esiste la possibilità di sincronizzare gli orologi di sistemi di riferimento diversi. E anche di misurare una lunghezza in qualsiasi sistema di riferimento.
Vedremo invece che succede quando al concetto di velocità infinita di trasmissione si sostituisce, come avviene nella Relatività, quello di velocità limite. Per ora potrenmo cercare di rispondere a due domande. Se da un certo istante tutti i fenomeni, compresi i nostri processi mentali, avvenissero ciascuno in un tempo, per es., mille volte minore potremmo accorgerci del mutamento? Certamente no, in quanto non avremmo alcun tempo di riferimento. E, se invece, tutte le dimensioni dei corpi aumentassero o diminuissero in proporzione? Anche in questo caso non potremmo accorgercene, in quanto anche ora ci mancherebbe un termine di riferimento.
Quindi: il tempo è ciò nel quale “collochiamo” le nostre percezioni degli eventi; lo spazio è ciò nel quale “collochiamo” gli oggetti quali li percepiamo.
In un universo dove non avvenissero mutamenti non avrebbe senso parlare di tempo; e così in un universo privo di oggetti non avrebbe senso parlare di spazio.
NON ESISTE UN ADESSO UNIVERSALE
Una conseguenza della scoperta della velocità finita della luce è che due eventi che appaiono contemporanei (che cioè avvengono nello stesso tempo) in un certo sistema, possono non apparire più contemporanei in un altro sistema in moto rispetto rispetto al primo.
ALBERT EINSTEIN E LA TEORIA DELLA RELATIVITA’
La Teoria della Relatività fu presentata la prima volta nel 1905 in una memoria scritta da Einstein venticinquenne. La teoria fu basata su quanto era risultato dalle ultime ricerche dei fisici: la velocità di propagazione della luce nel vuoto è una costante universale; essa non dipende né dalla velocità della sorgente, né dallo stato di moto dell’osservatore che ne esegue la misura.
La conseguenza di questo principio è che per velocità “grandissime” (cioè prossime alla velocità della luce) le leggi della Meccanica Classica non sono più valide. Può sorgere qui una domanda: la Meccanica Classica è dunque da abbandonare? No: per velocità piccole (1000 o 10.000 Km/h sono sempre velocità “piccole”, trascurabili rispetto a quella della luce) vale la Meccanica Classica e nessuna strumentazione può rivelare una differenza tra i risultati di questa e quelli della Meccanica Relativistica.
Per fare un’analogia possiamo dire che la Geometria piana studiata a scuola è esatta quando si deve disegnare una figura sul quaderno, o tracciare sul terreno la pianta di un edificio, o delimitare i contorni di un campo. In questi casi, per es., la somma degli angoli di un triangolo sarà sempre, esattamente, 180°.
Ma quando si devono considerare figure sopra una grande parte della Terra occorre passare alla geometria sferica. Qualcuno potrebbe chiedersi il perché del nome “Relatività”: semplicemente perché parte dall’indagine del comportamento della luce relativamente ai corpi in movimento (v. Esperienza di Michelson).
LE PIEGHE DELLO SPAZIO TEMPO
Ben lungi dal provocare un terremoto, gli articoli che Einstein pubblicò nel 1905 ricevettero un’accoglienza piuttosto tiepida da parte della comunità scientifica. All’inizio solo Plance ammise di averli presi in considerazione. L’ultimo a reagire, ovviamente, fu il modo accademico. Einstein sostenne con quest’ultimo un ostinato tira e molla scandito da vicendevoli concessioni accettate malvolentieri. Nel mondo universitario tedesco il livello più basso della scala gerarchica corrispondeva al posto di privatdozent, incarico non retribuito che consentiva di tenere delle lezioni in cambio di un modesto stipendio a carico degli alunni. Einstein pensò che fosse una posizione per la quale aveva ottenuto meriti sufficienti e presentò domanda nel 1907, senza però considerare la puntigliosità dei funzionari dell’Università di Berna. Nella lista dei requisiti figurava la presentazione di un articolo scientifico inedito. Einstein ne consegnò diciassette. Come minimo due meritano un posto d’onore fra i grandi classici della letteratura scientifica. Nessuna considerazione, tuttavia, pesò più del fatto che li avesse già pubblicati. La commissione avrebbe potuto dispensarlo da questa formalità, se avesse ritenuto che Einstein avesse raggiunto qualche altro merito degno di nota. Paul Gruner, professore di fisica teorica, giudicava la relatività “molto problematica”. Il professore di fisica sperimentale, Aimè Forster, era meno sottile. Sull’elettrodinamica dei corpi in movimento per lui era illeggibile. “Non capisco neppure una parola di quello che hai scritto qui”, disse. Era opinione del capo docente che la relatività fosse stata “rifiutata, in un modo più o meno chiaro, dalla maggior parte dei fisici contemporanei”. Einstein descrisse l’episodio nel suo insieme come “divertente” e desistette.
Impiegò un anno a ingoiare l’orgoglio e ancora una volta a “tentare la sorte, nonostante tutto, […] all’Università di Berna”…
“È difficile che qualcuno capace di comprenderla veramente possa sfuggire alla meraviglia di questa teoria.” Albert Einstein sulla Realtività Generale.
NOTA: i testi sono tratti da un volume di Fisica per Geometri ed il libro “Einstein la teoria della relatività”.
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