Storie di Sicilia
Fiumedinisi. il castello Belvedere e il campanile della chiesa di S. Pietro
Attraverso la descrizione storica di questi due monumenti fiumedinisani, vogliamo evidenziare l’importanza di fortificazioni e torri d’avvistamento in rapporto al pericolo che incombeva sulle popolazioni all’epoca. Pericolo di invasioni, si saccheggi, di abusi.
IL CAMPANILE DELLA CHIESA DI S. PIETRO, (Foto in basso), adibito anticamente a torre di avvistamento, venne costruito su un costone roccioso nell’XI secolo. Venne utilizzato primariamente come punto strategico per il controllo della vallata. Questa tesi viene avvalorata dal cornicione e dalle feritoie, elementi tipici delle costruzioni fortificate.
Si noti che a quel tempo la Chiesa di S. Pietro non esisteva ancora e quindi non impediva la visione generale del territorio frontistante. Era in contatto visivo con il Castello Belvedere e la Torre dell’omonima contrada (oggi non più esistente). Queste tre costruzioni, collegate visivamente fra loro, agevolavano il controllo di tutta la vallata, al fine di preservarsi da eventuali attacchi di popoli nemici.
Verso la fine dei XVI secolo la costruzione della nuova chiesa S. Pietro coprì la visuale alla torre, che dovette quindi mutare destinazione. Divenne infatti il palazzo del Magistrato o del Governatore, favorito dalla sua posizione centrale, da dove costoro si affacciavano, sul balconcino, per enunciare importanti editti e provvedimenti.
Nel 1710, dopo il completamento dei lavori di restauro e ampliamento della chiesa, la torre venne annessa alla stessa, assumendo la nuova funzione di campanile.
Nonostante abbia subito, nel XVI secolo prima e nel XVIII poi, sostanziali modifiche rispetto alla costruzione originale, nonché alcuni poco opportuni interventi di restauro, riflette ancora, particolarmente nei prospetti laterali, il suo stile originario arabo-normanno che colpisce per la sua armonia e l’equilibrio strutturale. I lineamenti stilistici, le feritoie praticate nei muri, i cornicioni tipicamente di gusto normanno e la sua collocazione nel centro cittadino fanno di questa torre campanaria il monumento più antico e tra i più interessanti fra quelli rimasti nel perimetro urbano.
IL CASTELLO BELVEDERE, (Foto in alto), cosiddetto per la sua invidiabile posizione dalla quale domina la riviera jonica da Capo Alì a Capo S. Alessio, fu edificato dagli Arabi nel IX secolo.
La fortezza di Nikos, così denominata dai saraceni, venne sicuramente realizzata sui resti di un preesistente tempio, costruito dai coloni greci per venerare il dio Dionisio. I Normanni, successori in Sicilia dei Musulmani, la ampliarono, la modificarono e la adibirono a residenza del signore del luogo.
Nel 1197 il castello ospitò l’imperatore Enrico VI con la sua famiglia e con il suo seguito, ma la venuta Fiumedinisi del figlio di Federico Barbarossa coincise con la sua immatura scomparsa.
Nel 1320 il castello, unitamente a tutto il territorio di Fiumedinisi, è in possesso del milite Ruggero de Vallone e nel 1336 lo stesso possedimento perviene al genero Giamo di Villanova. Dopo pochi anni la fortezza passa al senatore messinese Bonsignore di Ansalone. Costui, considerato un traditore, viene privato del possesso dal Re nel 1354, per mano del mercenario Giovanni Saccano. Il Re, nuovo possessore del castello, lo concedeva nel 1357 al capitano di ventura Giovanni Mangiavacca, ricompensandolo di alcune prestazioni al suo servizio.
Nel 1360 Re Ferdinando il Semplice dovette riconquistare il castello inviando una milizia agli ordini di Jacobello Alifia, che per tale servizio fu ampiamente premiato. Da Re Martino nel 1392 fu concesso alla famiglia Romano Colonna che successivamente lo abbandonò, stante la precarietà dell’antico maniero e la distanza dal centro abitato.
Nel 1495 lo scrittore viaggiatore B. Bembo nota il castello chiamato Niso, che “trovasi sopra una rupe a strapiombo del monte e che è visibile da ogni parte ai viaggiatori”.
Dell’antico maniero rimangono soltanto i ruderi di alcuni muri perimetrali esterni con alti merli, qualche muro divisorio interno e le cisterne sottostanti.
Una galleria delle miniere S. Carlo conduce verso il Castello Belvedere, ma già nel 1899, quando scrive il La Valle, non era più praticabile.
Nella pianura e nel terrazzamento sottostante il castello è stata localizzata la zona archeologica ove sorgeva l’antica colonia greca Nisa.
Recentemente sono stati effettuati dei saggi ed è venuto alla luce parecchio materiale archeologico ma si attende che la Regione Sicilia finanzi una seria campagna di scavi per riportare alla luce gli insediamenti urbani e la necropoli della polis greca. Una remota leggenda vuole che nei sotterranei del castello si celi un antico tesoro, come riferisce pure una guida del 1902.
Gli altri monumenti di una certa rilevanza storico-artistica erano le prigioni e la Curia Capitaniale e Civile, oggi purtroppo non più esistenti. Oltre ai beni monumentali del centro abitato, Fiumedinisi può vantare di possedere, nel suo vasto territorio, posti naturali caratteristici e ricchi di fascino, che suscitano l’ammirazione dei visitatori.
Wolfgang Goethe, nel suo “Viaggio in Italia”, descrive il paesaggio del medesimo territorio, non tralasciando di notare il prezioso minerale intravisto. Egli scrive: “Nel torrente si rintracciano detriti di granito. I frutti gialli del solano ed i fiori rossi dell’oleandro danno un tono vivace al paesaggio. Abbiamo attraversato innumerevoli torrenti; uno, il più grande, il Nisi, porta l’onorevole titolo di fiume. Questo fiume rotola a valle schisti micacei, come anche i torrenti incontrati in seguito”. L’illustre scrittore tedesco si fermò a Fiumedinisi insieme al suo amico pittore Knich, per riposarsi, il martedì 8 maggio 1787, proveniente da Taormina ed in viaggio verso la città dello stretto. Venne ospitato, per poche ore, nella villa di contrada Croce del barone Parisi e su questo episodio scrisse: “Abbiamo goduto la vista sino alla spiaggia dall’alto di un balconcino fra rose che occhieggiavano e usignoli che cantavano. Sono rimasto a meditare”.
Oltre a W. Goethe tanti altri personaggi illustri conobbero la cittadina peloritana e, tra gli altri, desidero ricordare la visita del Re Ferdinando II nel 1852.
Il Re venne accolto dal popolo con entusiasmo e compostezza. Il paese risplendeva di lumi ed anche sulle montagne si notavano fuochi accesi in onore del sovrano. La sua venuta serale fu accolta dagli abitanti con una fiaccola accesa, in segno di benvenuto al monarca e di speranza per positivi sviluppi della sua visita al paese. Il Re nella notte dimorò nella casa del nobile Don Carmelo Parisi al quale donò un suo bastone personale con lo stemma del casato reale. Si recò il giorno seguente nelle miniere di S. Carlo ed offrì un calice d’argento alla Chiesa Madre che visitò con piacere e profonda devozione.
Uno dei luoghi più incantevoli è senz’altro il Monte Scuderi, che divide i territori dei Comuni di Fiumedinisi, Alì ed Itala. Dalla sua pianeggiante altura si possono osservare oltre ai paesi della costa jonica anche alcuni del versante tirrenico come Rometta, Monforte S. Giorgio, i Comuni del Mela, il Capo di Milazzo e perfino le Isole Eolie. Si scorgono pure Messina, buona parte della Calabria e l’imponente montagna etnea.
Il gruppo montuoso è costituito da un ammasso di pietra di natura calcarea e sulla sua sommità si aprono diversi orifizi che immettono nelle vuote viscere del colosso. Molti antichi storiografi si sono occupati di questo monte. Veniva chiamato anticamente Nettunio perché sovrastava i monti Nettunei (oggi Peloritani). Fu detto anche Saturnio e Spraverio e assunse l’appellativo Scuderio nel XVI secolo, poi modificato in Scuderi.
L’Abate V. Amico ci tramanda che ai suoi tempi si osservavano vestigia di costruzioni e sepolcreti di tempi remoti, forse mulini a vento già allora in rovina.
Si narra che un’altura rocciosa, situata a ponente del monte Scuderi, probabilmente corrispondente alla valle della Santissima, si spaccò in due nell’ora della morte di Gesù Cristo. Questo avvenimento viene riportato da antichi e autorevoli storici quali A. Mongitore, G. B. Massa, T. Fazello, A. Calì, P. Molino e O. Caetano.
Lungo l’alveo fiumarino sono molteplici i luoghi interessanti e degni di essere visitati. Le numerose sorgenti d’acqua potabile, sparse nel perimetro urbano e nelle campagne, arricchiscono notevolmente il pittoresco paesaggio. In particolare le “fontanelle” di Acqualagna, Ortera e l’acqua oligo-minerale della contrada Tommasa sono giornalmente meta di “assetati”, provenienti dai vicini paesi per rifornirsi di una scorta di buona acqua naturale. Altre zone suggestive sono pure la sorgente della “rocca di Capitello”, le cave di marmo delle contrade Neci e Fala o Colonne e le caverne naturali di Rope, Lameri e Milinari.
Molti altri posti interessanti, sotto il profilo paesistico, ricadono nel territorio di Fiumedinisi tra cui l’antico e vasto bosco comunale, le sorgenti del fiume in contrada Scala, il Pizzo Poverello che è la cima più alta dei Peloritani, il Piano Margi, il Pizzo di Caloro e la storica Valle degli Eremiti.
La regione di Fiumedinisi è pure meta di cacciatori e di cercatori di funghi, che soddisfacendo i loro hobbies, colgono l’occasione per assaporare un po’ d’aria pura e scoprire i tesori della natura in parte incontaminata.
I MULINI AD ACQUA – Meritano di essere menzionati per l’importanza vitale che rivestivano. Servivano per la macina del grano e funzionavano per mezzo di un getto continuo di acqua, che a Fiumedinisi non si può dire che non sia abbondante.
Nel territorio esistevano parecchie di queste estrose macchine che, oltre ad essere utili all’economia rurale, arricchivano il paesaggio con la loro vitalità lavorativa e particolare bellezza.
Oggi purtroppo rimangono soltanto i resti di alcuni mulini e soltanto uno è sopravvissuto ai tempi, per mezzo di un adeguato intervento di restauro. Lo stesso si trova in contrada Ruppone, oggi territorio di Nizza di Sicilia, sulla strada provinciale N. 27 e funziona ancora con i sistemi tradizionali.
NOTA: I testi sono tratti dal libro di Carlo Gregorio “I TESORI DI FIUMEDINISI”. Seconda edizione del 1993. Tutti i diritti sono riservati all’autore dell’opera.
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